Nel mondo del design e dell'architettura, l'approccio proposto dall’antropologo Tim Ingold rappresenta una svolta radicale nel modo in cui comprendiamo e interagiamo con il nostro ambiente. Ingold, attingendo agli insegnamenti dell'Ontological Turn in antropologia, propone una visione in cui le linee che collegano l'umano (cultura) al non umano (natura) non sono statiche o unidirezionali, ma sono invece in costante movimento, creando una rete di relazioni viventi e respiranti. Questa visione trasforma radicalmente il ruolo della natura nel processo creativo, elevandola da semplice sfondo o materiale a parte attiva e intenzionale nel dialogo del design.
Tim Ingold è un antropologo britannico contemporaneo, le cui opere hanno avuto un profondo impatto su diverse discipline, tra cui l'antropologia, la geografia, l'arte, il design e l'architettura. Nato nel 1948, Ingold ha trascorso la maggior parte della sua carriera accademica esplorando le intersezioni tra ambiente, cultura e percezione umana, cercando di capire come queste dimensioni si intreccino nella vita quotidiana. Ha esplorato una vasta gamma di argomenti, tra cui la percezione dell'ambiente, le pratiche di abitazione, l'etnografia del camminare, la manualità, e la relazione tra umani e non-umani.
Il suo lavoro è caratterizzato da un interesse per i processi piuttosto che per le strutture statiche, sottolineando il flusso, il movimento e la formazione continua delle relazioni sociali e materiali. Per l’autore britannico, il camminare è un'attività fondamentale che connette le persone con l'ambiente. Nei suoi studi, considera i percorsi non solo come tracce fisiche, ma come intrecci di storie, apprendimenti e relazioni. Ad esempio, in The Perception of the Environment, esamina come i cacciatori e i raccoglitori si muovono nel paesaggio, interpretando segni e tracciando percorsi che riflettono una profonda connessione con il loro ambiente.
Ma di una realtà in movimento si parla fin dall’antichità in Asia Minore, a Efeso per esempio attraverso i pochi frammenti di Eraclito.
Eraclito di Efeso, filosofo presocratico attivo intorno al 500 a.C., è una figura enigmatica nella storia della filosofia occidentale, noto principalmente attraverso frammenti e testimonianze secondarie, dei suoi scritti non resta quasi nulla. La sua filosofia è spesso riassunta nella celebre frase Panta rei (tutto scorre), sebbene questa formulazione precisa non appaia nei frammenti sopravvissuti. La sua dottrina centrale sostiene che il cambiamento costante e il divenire sono le caratteristiche fondamentali dell'universo.
Eraclito sosteneva che tutto è in uno stato di flusso perpetuo, sottolineando l'importanza del movimento e del cambiamento come realtà essenziale dell'essere. Contrariamente ai filosofi eleati, come Parmenide, che negavano il cambiamento e sottolineavano l'unità e l'immobilità dell'essere, Eraclito credeva che l'unicità dell'essere risiedesse proprio nella sua capacità di mutare. Questa visione dinamica dell'universo suggerisce che anche le entità che appaiono stabili sono in realtà soggette a un processo di trasformazione costante.
Nella sua opera De rerum natura, ispirata anche all’opera di Eraclito, il poeta e filosofo romano Lucrezio ha esposto le teorie atomiste di Leucippo e Democrito in versi, enfatizzando l'incessante movimento e trasformazione degli atomi che compongono il mondo. Questi filosofi presocratici, noti per la loro teoria atomista, sostenevano che l'universo fosse composto da atomi in eterno movimento nel vuoto, portando a cambiamenti continui nelle forme e nelle aggregazioni di materia.
Ingold vede la natura non come un oggetto da dominare o manipolare, ma come un soggetto con cui entrare in relazione, ascoltare e da cui imparare. Questa relazionalità tra umano e non umano apre nuove possibilità per il design e l'architettura, spingendoci a considerare non solo come costruiamo nel mondo, ma anche come il mondo costruisce sé stesso attraverso di noi. In questa visione, ogni atto creativo diventa un dialogo, un'interazione in cui sia gli umani sia la natura sono coinvolti in un processo di co-creazione.
Uno degli aspetti fondamentali del lavoro di Ingold è l'esplorazione della "linea" come concetto chiave per comprendere il mondo. Nella sua visione, le linee non sono semplicemente tracce o segni, ma vie di movimento e crescita attraverso le quali si intrecciano le vite degli esseri umani e degli altri enti.
Questa riflessione sulle linee lo ha portato a esaminare pratiche come il disegno, la scrittura, il camminare e il tessere, tutte viste come modalità di coinvolgimento e conoscenza del mondo. Ingold introduce il concetto di "linee" per descrivere i percorsi attraverso i quali la vita si snoda e si intreccia. Questo concetto si estende oltre i percorsi fisici per includere anche traiettorie di pensiero, relazioni sociali e scambi culturali. Secondo Ingold, la vita non è composta da punti fissi (come le stazioni o le tappe lungo un percorso) ma da linee in continuo movimento e interazione. Questo approccio enfatizza il processo e il flusso piuttosto che gli stati o gli oggetti definiti.
In questa prospettiva di linee, il “tessere” è un altro concetto fondamentale per illustrare come gli individui e le comunità intreccino insieme elementi diversi della loro esistenza per creare il tessuto della vita sociale e culturale. Questo processo non è statico ma dinamico, con nuovi fili che si aggiungono, si intrecciano e si modificano nel tempo. Il tessere simboleggia la costruzione attiva e continua della vita, della conoscenza e delle relazioni attraverso l'interazione.
Ingold vede l'antropologia non solo come uno studio accademico ma come una pratica viva, che coinvolge un dialogo costante tra l'osservatore e l'oggetto di studio, tra il pensiero e l'azione. I suoi laboratori e seminari sono esempi concreti di come queste idee vengano messe in pratica, offrendo nuovi modi di conoscere, insegnare e interagire con il mondo. Stimola al fare esperienze per rientrare in contatto con le linee della natura, incoraggiando gli studenti a esplorare le connessioni tra disegno, scrittura e percezione dell'ambiente. Tra forma e materia, tra progetto e artefatto.
Questi laboratori sono spazi in cui la teoria delle "linee" viene messa in pratica, con i partecipanti che imparano attraverso il fare, tracciando linee fisiche, corporali e metaforiche per esplorare la loro relazione con il mondo. Lo studioso stimola i giovani e promuove progetti che attraversano i confini disciplinari, riunendo artisti, antropologi, architetti per esplorare temi come il paesaggio, l'abitare e il fare.
Per esempio, accompagnò degli studenti di design sulla spiaggia per costruire cesti di vimini guidati da un’artigiana del mestiere. Voleva spiegare come forma e materia si incontrano. Soprattutto ricordare loro che la forma non è un a priori all’artefatto prodotto, ma un intreccio delle intenzioni di entrambi, del creatore e della materia, in dialogo tra loro, la creazione è un’orchestra di linee di tutto quello che partecipa alla trasformazione della materia in artefatto che, una volta creato muterà nel corso del tempo intrecciandosi con altre linee.
I ragazzi inginocchiati a mani nude sulla spiaggia, al freddo, intrecciarono i filari orizzontali dei vimini a fatica, il materiale era resistente e il vento storceva gli elementi verticali piantati nella sabbia che davano la forma al cestino, la forma cambiava secondo le raffiche del vento controllate dall’abilità delle mani dell’artigiano. Quella resistenza dei vimini a farsi intrecciare è quella che lo rende forte una volta Cestino. La materia attraverso le sue proprietà suggerisce come essere lavorata.
L’autore è anche conosciuto per il suo contributo alla "antropologia oltre l'umano" o "ecologia delle vite". Proprio in questo contesto, analizza le relazioni reciproche tra umani e non-umani, sottolineando come queste interazioni configurino le società e gli ambienti. La sua ricerca mette in discussione la dicotomia tradizionale tra natura e cultura (paradigma ilomorfo), proponendo invece una visione più integrata e relazionale dell'essere nel mondo. Attraverso il suo concetto di "fare", Ingold si è interessato particolarmente alle modalità con cui le persone si impegnano attivamente con il loro ambiente.
Le considerazioni di Ingold sugli artigiani e i saperi dell'arte sono centrali in questa discussione. Egli sostiene che gli artigiani, con la loro intima conoscenza dei materiali e dei processi, incarnano un modo di essere al mondo che è profondamente radicato nel fare. Questo "fare" non è un semplice atto di produzione, ma è un modo di conoscere, un modo di stabilire un rapporto dialogico con il mondo. Gli artigiani non impongono la loro volontà ai materiali; piuttosto, ascoltano, rispondono e collaborano con essi. Questo approccio al fare richiede una sensibilità e una apertura al "linguaggio" dei materiali e delle forme della natura.
L'importanza del fare, nel contesto dell'arte e dell'architettura, diventa così un atto di partecipazione attiva nel mondo, un modo di conoscere che è incorporato e situato. Questo processo non solo porta alla creazione di oggetti o strutture, ma contribuisce alla continua trasformazione del nostro ambiente e della nostra relazione con esso. Per Ingold, quindi, fare arte o architettura non è semplicemente un atto di espressione individuale, ma un modo di intrecciare ulteriormente le linee che connettono l'umano al non umano.
Conclusioni
L’approccio di Tim Ingold al design e all'architettura ci invita a ripensare il nostro posto nel mondo e il modo in cui interagiamo con esso. Sfida la concezione tradizionale del design come atto di imposizione umana sulla natura, proponendo invece una visione collaborativa in cui umani e non umani lavorano insieme nella creazione di un mondo condiviso. Questo richiede un cambiamento non solo nelle nostre pratiche, ma anche nel nostro modo di pensare, un riconoscimento che siamo parte di un tessuto più ampio di vita, in continuo movimento e dialogo. Ingold ci mostra che attraverso l'atto del fare, possiamo imparare a percepire la natura da dentro il processo, non come un oggetto esterno, ma come un partner vitale nel nostro viaggio creativo.
Il disegno, diceva l'artista Paul Klee, è come portare a spasso una linea. Prova tu stesso. Prendi una matita in mano e lasciala posarsi su un foglio di carta. Mentre la punta entra in contatto con la carta, inizia a comparire una linea. E continua fino a che, con un leggero movimento del polso, permetti alla punta di sollevarsi di nuovo. Quello che rimane sul foglio è la traccia di un gesto manuale. A seconda di come hai mosso la mano e le dita, può curvarsi, torcersi o formare anelli, in un senso e nell'altro. Ma non sarà mai perfettamente dritta. Allo stesso modo, nessuno cammina mai in linea retta, come si può vedere dalle tracce di impronte su una spiaggia sabbiosa. C'è una differenza, ovviamente, tra camminare e disegnare, poiché camminando ogni passo fa un contatto separato con il terreno. Mentre il movimento del corpo è continuo, il modello delle impronte ha un ritmo pulsante intermittente. Solo quando molti piedi sono passati dalla stessa via si forma un sentiero ininterrotto. Ma il sentiero, come la linea tracciata dal disegno, si torce e gira. Così fa anche la vita stessa. La vita continua, proprio perché non viene vissuta in questo punto o in quello, ma è piuttosto in cammino da un luogo all'altro. È nelle deviazioni che succede tutto. Ecco perché le storie che raccontiamo, delle nostre vite e di quelle altrui, girano anch'esse intorno. Dobbiamo girare anche noi, per seguirle.
(Lines, Tim Ingold)