La Colonna Traiana faceva parte dell’ultimo dei fori imperiali costruito a Roma agli inizi del II secolo d.C., quello di Traiano, e di questo straordinario complesso di monumenti, che suscitava meraviglia ancora alcuni secoli dopo la sua costruzione, essa rimane l’unico elemento praticamente intatto. Oggi appare completamente isolata ma è così solo perché tutti gli edifici che la circondavano sono scomparsi. La sua altezza, pari a 100 piedi romani, ossia quasi 30 metri senza il basamento e la statua che oggi la sormonta, equivaleva all’altezza della sella (una collinetta) che univa le pendici del Quirinale a quelle del Campidoglio e che venne rimossa per ricavare la spianata destinata ad accogliere tutto l’insieme del foro.

Solo questo dato ci dà l’idea della grandiosità del progetto e di quanto lavoro ci fu dietro solo per creare lo spazio necessario per il foro e le sue costruzioni. Conosciamo questo dettaglio grazie all’iscrizione che si trova ancora in situ sopra la porta di ingresso al basamento della colonna. Essa si compone di diciassette colossali rocchi monolitici in marmo di Carrara (diciannove se consideriamo anche la base e il capitello) posizionati uno sull’altro sopra un alto basamento decorato con un bassorilievo raffigurante le armi sottratte ai Daci (e anche armi romane). I blocchi non sono uniti da malta ma vincolati con perni di bronzo sigillati con piombo fuso colato dall’esterno. Tutto il monumento pesa 1036 tonnellate.

All’interno del basamento vi è una piccola stanzetta dove anticamente c’erano le urne dorate con le ceneri di Traiano e della moglie Plotina. Questo fu uno dei rarissimi esempi di sepoltura all’interno del pomerio. L’interno della colonna presenta una scala a chiocciola che con i suoi 185 gradini ancora permette (anche se ora non si può più entrare) di arrivare fin su in cima, da dove si può ammirare il panorama di Roma. La colonna così ideata sembra una colossale vite di Archimede – solo in versione gigantesca e marmorea. Concepita con la scala a chiocciola interna, era più leggera rispetto a una colonna piena e più rigida rispetto a una vuota; il vuoto della scala alleggerisce ogni rocchio di un terzo rispetto all’equivalente rocchio pieno: una struttura ideale per resistere ai terremoti.

In cima alla colonna era collocata la statua in bronzo dorato raffigurante Traiano, che forse era rivolta verso il suo stesso foro. La statua originale scomparve in un periodo imprecisato e nel 1587 venne sostituita da quella di San Pietro (alta 4 metri) per volontà di papa Sisto v. Da notare come San Pietro guardi verso la basilica a lui dedicata in direzione del Vaticano. La scala a chiocciola all’interno della colonna dava e dà tutt’ora il nome tecnico a questo tipo di monumento, che all’epoca della sua inaugurazione rappresentava un’assoluta novità nel panorama dell’arte romana: la colonna infatti viene definita coclide per la presenza della cochlea, “chiocciola”, con riferimento alla scala ellittica al suo interno e anche per lo sviluppo del fregio che decora la sua superficie esterna.

Guardando il fusto della colonna si potranno notare delle piccole feritoie (quaranta in tutto) usate per aerare l’ambiente interno fra le molteplici scene e figure che animano il fregio. Quest’ultimo si dipana su tutta la superficie del fusto della colonna, che viene letteralmente “avvolta” da 155 scene, poste una di seguito all’altra in un’ininterrotta continuità spaziale. ll concetto era nuovo: le colonne trionfali fino ad allora infatti erano funzionali alla statua che le sovrastava e servivano unicamente a elevare il personaggio cui erano dedicate “al di sopra degli altri mortali”. Qui invece per la prima volta anche il fusto diventa oggetto di interesse progettuale e artistico.

Così i due elementi tipici dell’arte celebrativa romana, la colonna onoraria e la rappresentazione su fregio continuo, si fondono in un’unica gigantesca creazione marmorea destinata a essere imitata e riproposta: basti pensare alla Colonna di Marco Aurelio che si trova a poche centinaia di metri e che venne eretta un’ottantina di anni più tardi; alle due colonne realizzate a Costantinopoli tra il IV e il V secolo; alla Colonna di Bernward nel duomo di Hildesheim, risalente all’XI secolo; alle due colonne della facciata della chiesa di San Carlo a Vienna, realizzatenel XVII secolo; mentre la più recente è a Parigi, in place Vendôme, dedicata a Napoleone e fabbricata nel 1810 con il bronzo fuso di centotrenta cannoni presi ad Austerlitz.

Le scene sul fusto della Colonna Traiana raffigurano i momenti salienti delle due campagne daciche che hanno portato alla conquista di quelle terre lontane. Non sappiamo il nome dell’ideatore (né degli scultori – almeno cinque a giudicare dalle differenze stilistiche delle varie scene) che ha realizzato questo lunghissimo fregio che, se messo in orizzontale, coprirebbe una distanza di circa 200 metri. L’anonimo artista viene genericamente definito Maestro delle imprese di Traiano. Nel fregio,che “gira” intorno alla colonna per 23 volte, sono ritratte più di 2500 figure (di cui 634 sono Daci) e l’imperatore Traiano vi compare certamente almeno 58 volte. Alle scene di battaglia che mostrano come l’esercito romano sia riuscito a sottomettere i fieri Daci, si alternano momenti logistico-organizzativi (come ad esempio la costruzione di accampamenti, strade o navi), rituali o politici (come i sacrifici purificatori o i discorsi di Traiano alle truppe) e ovviamente gli eventi bellici in sé, come le battaglie, le rese, gli assedi, la cattura di prigionieri ecc.

Uno spazio importante viene riservato ai Daci, presentati come un nemico coraggioso, forte e valoroso. Sottolineando visivamente la statura morale del nemico, si voleva allo stesso tempo magnificare ancora di più l’impresa romana: tanto maggiori furono le difficoltà superate nell’impresa, tanto più gloriosa essa appariva agli occhi dei Romani. Diverse volte compare Decebalo, indomabile capo dei Daci, fino alla drammatica scena del suo suicidio quando, di fronte all’ineluttabilità della sconfitta e per non cadere prigioniero nelle mani dei Romani, preferì togliersi la vita. Nella cultura romana il suicidio poteva essere letto in modi diversi: se a commetterlo era un cittadino, specie se di status elevato, era considerato un atto degno di rispetto, nobile. Se invece a suicidarsi era un criminale o un personaggio “negativo”, era visto come un atto di codardia. Quando poi a commettere il suicidio era un barbaro, vi era un’ulteriore interpretazione, quella del furor: il barbaro, in pratica, era assimilato a un animale selvaggio, feroce verso gli altri e, se necessario, anche verso se stesso.

Nonostante il suicidio di Decebalo potesse essere letto dagli osservatori contemporanei come un atto di barbarico furore, resta il fatto che il suo gesto, disperato quanto nobile, lo consegna a una dimensione epica. In linea generale, comunque, i sentimenti dei Daci vengono espressi in maniera tragica in contrapposizione alla tradizionale compostezza dell’esercito romano. Traiano viene caratterizzato da una rappresentazione equilibrata e razionale dove manca completamente qualunque enfasi sulla persona e le sue gesta. L’alto numero di scene in cui compare può essere considerato come una prova di quella mistura tra la ricostruzione più o meno verosimile degli eventi rappresentati e una calcolata propaganda che sottostà all’intero fregio. Le scene infatti non rappresentavano per forza di cose l’effettiva realtà dei campi di battaglia o degli accampamenti ma, attraverso una serie di elementi convenzionali, dovevano fornire all’antico Romano gli strumenti per aiutarlo a capire appieno la grandezza dell’impresa.

A tal proposito, oggi guardando la colonna si può notare come non solo il fregio appaia molto piccolo e di difficile lettura, ma risulti anche difficoltoso riuscire a vedere bene le scene nella parte alta del fusto. Solo le spire più in basso del fregio erano (e sono) facilmente leggibili dal livello del suolo. Come facevano gli antichi Romani a ovviare a questo problema e a “leggere” compiutamente gli avvenimenti? Innanzitutto, si variò l’altezza delle scene del fregio: a mano a mano che “salgono” dal terreno si fanno più grandi, così da correggere le distorsioni prospettiche. In secondo luogo, a facilitare la lettura e l’interpretazione vi erano i colori. Oggi la Colonna Traiana appare interamente bianca, ma in passato era completamente colorata, incluso il basamento. Questo non solo dava un tenore totalmente diverso a ciò che era rappresentato nel fregio ma aiutava anche a distinguere molti dettagli che oggi non sono facilmente percepibili.

Non bisogna dimenticare poi che la colonna anticamente era circondata da vari edifici e che forse solo salendo sulle probabili terrazze di questi edifici si potevano apprezzare i dettagli delle scene situate più in alto. Va in ogni caso detto che, nonostante questi accorgimenti, nessun fruitore antico riuscì mai ad apprezzare unitariamente tutte le scene dell’immenso fregio. Questo non era un “difetto” solo della Colonna Traiana ma anche di molti altri monumenti antichi: basti pensare al fregio della cella del Partenone ad Atene, anch’esso poco visibile per l’altezza e per essere stato posto in un ambiente in penombra. Con ogni probabilità, però, la difficoltà di lettura di tutte le scene del bassorilievo a spirale è un problema “moderno”: agli occhi di un antico Romano, attento o distratto che fosse nell’ammirare questo capolavoro, esso rappresentava comunque un monumento spettacolare, indipendentemente dalla sua leggibilità.

Grazie all’enorme sforzo architettonico e di mezzi profusi per la sua realizzazione, il bassorilievo, anche in presenza di un “difetto” come questo, raggiungeva il suo scopo: quello di glorificare le imprese daciche e la figura dell’imperatore. Se si interpreta la lettura del fregio in questo modo è più facile immaginare lo stupore di un qualunque antico Romano nell’ammirare la grandiosità di quest’opera straordinaria (foro nel suo insieme e colonna) che non il suo disappunto per non riuscire a includere in una visione globale tutta la spirale del bassorilievo. Anche agli occhi degli stessi Romani, abituati a grandiose architetture nella loro città, la monumentalità del complesso forense e in particolare della colonna, realizzata sovrapponendo piedistallo, rocchi, capitello e la statua dell’imperatore per un’altezza totale di circa 40 metri, doveva sembrare un prodigio per cui rimanere decisamente stupiti. E lo stupore dovrebbe essere la reazione di chiunque oggi ammiri la Colonna Traiana con il suo lunghissimo fregio, una delle più grandi opere di scultura di tutti i tempi.