Il fascismo è il canto del contadino quando torna a casa a piedi al tramonto dopo una giornata di lavoro.
(Benito Mussolini)
Umberto Eco nel riflettere sul fascismo quale categoria dello spirito (Eco, Il fascismo eterno) si dimostra non solo hegeliano-crociano ma pure evoliano. Ma come, l'alfiere più prestigioso e più recente dell'Illuminismo quale scelta di vita appare vicino al più radicale filosofo e intellettuale del Fascismo? Questo paradosso accade proprio per un errore di analisi dato dall'ossessione antifascista di Eco. L'antifascismo quale mania, quale atteggiamento ideologico, vede il fascismo ovunque e questo il senso del libello dello scrittore dove sostiene, irrazionalmente, che ogni ritenuta primazia di qualsiasi concetto di tradizione cela in se stessa germi perenni di fascismo.
Eco risale nei secoli individuando il modello archetipale fascista nel mito di Ur quale prima radice della civiltà occidentale. Un vero e proprio delirio (anche i migliori talvolta vaneggiano!) anche perché Abramo viene da Ur dei Caldei e quindi si potrebbe sostenere, nel seguire Eco, che Abramo sia in realtà un protofascista e, con lui, l'intera nazione di Israele, con il suo spirito militante, eroico, guerresco. Non sono Davide e Salomone i modelli di ogni re guerriero e di ogni re sacrale?
Il fascismo non si può vedere quale laicizzazione di un'idea regale-aristocratica di élite spirituale connessa organicamente con un'idea mistica (già mazziniana, già romana) di popolo? Eco alfiere indiretto delle mitologie indoeuropee che bene conosceva? Così facendo l'ossessione antifascista di Eco trasla un'idea politica sconfitta militarmente nel 1945 e impensabile senza il mito patriottico della Grande Guerra e la delusione sociale del dopoguerra sul piano del puro spirito, delle dimensioni dell'anima, degli stati religiosi e mistici, avvicinandosi proprio al pensiero di Evola, per il quale il fascismo fu una prova, un tentativo, una forma storica ibrida rispetto all'eterna tradizione solare-eroica indoeuropea. Come Evola Eco, connettendo la dottrina del 1919-1943 a Ur quale mito eroico-iniziatico-aristocratico, concorda con Evola sull'immortalità di un nucleo spirituale proprio della tradizione che carsicamente emerge e si occulta tra le pieghe della storia: Sufi, Zen, i Veda della Bhagavadgītā, il Bushido, lo Stoicismo, i culti propri di Alessandro Magno, l'arte alchemica, la magia naturale rinascimentale, il mito neoimperiale dei Rosacroce, le ritualità cavalleresche e ghibelline, l'eterno sogno di una Repubblica dei migliori, insomma tutti i “mondi e retromondi altri” cantati da Battiato e allusi da Roberto Calasso.
L'esoterismo, quindi, si dividerebbe in due blocchi: quello non ebraico che passa per le forche caudine nicciane e per il quale si può ancora creare e inventare miti ed eroi, e quello ebraico, da cui viene Eco, che scommette invece sul Linguaggio e sull'Interpretazione (kabala significa: interpretazione). Chi vuole mutare il mondo agendo con il Logos e chi vuole reinventarlo tramite il Mithos. Entrambi concordano sull'insopportabilità di questo mondo “solo liberale”, sordo alle essenze e alle profondità.
Se fai del Fascismo una “terza via” non solo politica ma anche totale nella spiritualità poi non devi sorprenderti che sia ancora suggestivo oggi, quale “metafisica dell'inattualità”. Ciò che appare attuale, di moda, cioè “già accolto”, si rivela già “non visto”, subito vecchio. È l'inattuale che s'irradia quale classico, senza tempo, sempre nuovo e fresco. Carmelo Bene accolse la definizione di Calasso: “Classico è ciò che appare sia barbarico che neoclassico”. Giusto: ogni secolo ha avuto il suo “tempo nuovo”, la sua rinascita e non a caso si è sempre trattato di una rinascita tramite ripresa di un'idea di Antico: l'epoca carolingia, ottoniana, federiciana, dantesca, neoplatonica, il neotemplarismo dei Gesuiti, il teatro barocco quale enciclopedismo aristotelico, il Settecento ripresa del Mito di Roma e di Atene (Rivoluzione Francese inclusa), l'Ottocento quale riscoperta dei Presocratici e il Novecento cos'è se non il ritorno al mito di Sparta? In questa definizione il fascino culturale oggi (incredibilmente) ancora presente del Fascismo. Fascino che risiede non in una dottrina o ideologia politica ma nelle sue neomitologie rituali, nel “inconscio collettivo”, nel suo tentativo di andare oltre romanticismo e modernità con l'assumerli totalmente, volontaristicamente, specie nelle loro radici classiche greco-romane.
Per questo il Fascismo appare simbolicamente attuale: perché è stato l'ultimo esperimento vivo che ha cercato di uscire dalle gabbie e dai fallimenti della modernità senza rifiutarla in toto. La prima praxis già post-moderna anche se di una post-modernità per via “ultramoderna”. Non a caso si è trattato dell'ideologia meno ideologica. Nessun Marx, nessun Adam Smith ha avuto il fascismo. Nessun dogma e invece molte anime radunate per la prima volta insieme: spirito risorgimentale, pensiero sociale (preso dal sindacalismo rivoluzionario francese), futurismo nell'esigenza di modernizzazione tecnologica, corporativismo (preso dal pensiero cattolico medioevale), idea imperiale romana, esoterismo dannunziano.
Il fascismo ambiva a porsi quale sintesi totale. Appare in parte non del tutto evaporato e ritornante in quanto la società di massa contemporanea deve al fascismo la sua prima instaurazione. L'opera di americanizzazione consumistica e massificante è stata più facile in Italia perché c'è stato il Fascismo. Se oggi l'Italia appare una massa di telebeoti lo dobbiamo all'uso commerciale e sistematico di strumenti testati con successo dallo Stato fascista. La società attuale è assolutamente fascista nella sua totalità liberistica e reificante. Un fascismo però non idealista e gerarchico ma orizzontale e materialistico. Non è un caso che il Codice Penale sia oggi ancora il Codice Penale del Fascismo: il diritto penale si rivela sempre la prima filosofia sociale.
I fondamentali dell'Italia non sono mutati: affetto per le antiche tradizioni mescolato con il desiderio di innovare e sperimentare. La forza specifica del suo fascismo fu la sua originalità e la sua inclusività (da Gandi a Marconi, dal Papa ai nativi americani), il suo unire l'istanza di una modernizzazione da avanzare e completare con la parallela e simmetrica istanza di un ritorno alla terra, all'Antico, alla società organica e mitica. Il fascismo fu il sogno giovanile, in gran parte inconscio, di un equilibrio dinamico tra pre-modernità postmodernità e modernità. Questo anche perché fu la realizzazione dei reduci della Prima guerra mondiale, ecatombe che seppellì il primo liberalismo.
Oggi il “fascismo spirituale e democratico” di Alexandr Dugin, e non poteva esserci che la Russia quale ultimo vivo laboratorio culturale al mondo, appare non a caso, e coerentemente, l'ideale più partecipativo e più popolare che sia mai stato concepito in quanto riprende questo ponte ideale e inclusivo tra pre-moderno e post-moderno, generando una visione del mondo organica e viva, totale e libera, sciamanica e proiettiva, costruttiva e unitiva, selezionando e unendo hegelianamente quanto di vivo e di migliore e si cela nelle grandi idee novecentesche.
Un nuovo hegelismo. Lo potrebbe chiamare “hegelismo di centro”. L'autogoal ermeneutico di Eco rischia quindi di divenire una profezia che si autoavvera se non fosse che manca al mondo oggi la presenza di due fattori che sono assolutamente necessari per la riemersione di qualsiasi idea (vera o artificiale) di fascismo: il culto della volontà e il suo esercizio (oggi la società televisiva è una società abulica e dispersiva) e la percezione della radicalità eroica di una situazione socio-economica tragica e collassata. Puoi anche vivere nel fallimento economico (come i 70 anni dell'URSS) ma se non percepisci socialmente la gravità della situazione allora nessuna decisione interiore può maturare.
Non sussistono quindi né le condizioni soggettive (la società liquida opera potente contro l'emergere di individualità reali) né quelle oggettive (il senso dello Stato e della Nazione) affinché possa riemergere un nuovo fascismo. Quindi stiano tranquilli i mediocri epigoni di Umberto Eco, che ne scimmiottano i vizi e ne dimenticano le molte virtù: il ritorno culturale del Fascismo non è l'epifania o la conseguenza del sovranismo, non è il segno di un ritorno di un culto dell'identità eroica ma assomiglia di più ad un “interesse compensativo” proprio di un corpo sociale ormai quasi privo di senso dell'identità e di coscienza sociale.
Come un malato terminale che voglia assaggiare un tamarindo o una cedrata con spuma, perché suo nonno o bisnonno ne era appassionato e ne parlava. Comprendere il fascino del fascismo significa superarlo evitando il doppio rischio di demonizzarlo come di sacralizzarlo.
Il Fascismo fu l'ideologia più creativa del Novecento non solo perché fu latina, italica, mediterranea ma pure perché sorse quando già le altre ideologie, liberalismo e socialismo-comunismo, dimostravano l'impalcatura fallimentare e antipopolare delle proprie cerebrali costruzioni.
In una cosa Eco ha visto giusto: nel considerare Ur, nome che in sanscrito significa “fuoco” la radice mitica dell'Occidente greco-romano. Ur dei Caldei, popolo di Maghi, di sacerdoti-astronomi, di costruttori di altari e torri ciclopiche. L'errore illiberale di Eco dimostra come anche la critica alle ideologie non debba mutuarne le rigidità e i fanatismi a pena di rinnovarne la forza. Se si vede ogni tradizione quale nemica del liberalismo questo accade perché si accoglie una visione ideologica e totalitaria del liberalismo, che non lo differenzia a sufficienza dagli avversari combattendo i quali si autoidentifica. Siccome anche il liberalismo a suo modo è una tradizione, che viene dal protestantesimo e dall'Illuminismo, allora negare il concetto e il valore della tradizione si rivela pure autocontraddittorio e suicida.
Se ne faccia una ragione Umberto Eco: non si può scindere la società di massa dall'esigenza di riti collettivi e non a caso i riti di oggi, lo sport, il ritorno delle sagre paesane e delle feste medioevali, la rievocazione di tradizioni locali, ebbero la propria nuova vita moderna, iniziarono il loro riemergere proprio durante il Ventennio fascista.