Un proverbio cinese recita: “Purtroppo sono più numerosi gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti”.
Fase 2. Siamo sommersi dai numeri. Numeri delle vittime, dei contagiati, dei guariti, dei tamponi, degli aiuti umanitari, delle mascherine.
"Il mondo non sarà più come prima, ma nessuno sa dire come sarà", ha detto il Presidente Mattarella alle nuove generazioni. Ora, che Il mondo è entrato nella Fase 2, possiamo dire che il momento delicato che stiamo vivendo è da considerarsi un investimento sul nostro futuro.
Intanto facciamo i conti con le conseguenze. Una di queste, che sta mettendo a dura prova i bisogni umani, prima in casa ed ora nei luoghi di lavoro e in generale in tutti i luoghi del quotidiano, è il distanziamento sociale. Ecco perché abbiamo deciso di intervistare Filippo Berta, artista bergamasco, che dal 2015, col suo progetto One by One, si è preoccupato di dare visibilità alle divisioni internazionali.
One by One è stato premiato alla V Edizione dell’Italian Council, ha ricevuto il supporto di Nomas Foundation che ospiterà una mostra e sarà presentato al museo GAMeC di Bergamo, che accoglierà l’installazione video finale nella sua collezione. La presentazione sarebbe dovuta avvenire questo Aprile, ma è stata posticipata per via dell'emergenza che stiamo vivendo. Quali aggiornamenti ci sono?
Sebbene la pandemia globale del COVID-19 ci obbliga a un’attesa disarmante, non manca di certo il lavoro per lo sviluppo del progetto One by One. Principalmente sto lavorando sul montaggio del video, che al momento vede coinvolte nella performance trentuno persone riprese sulle linee di confine di 9 diversi Paesi. Per ciascuna di essa è dedicato un processo di selezione di inquadrature, con successivo montaggio e sincronizzazione della loro voce rispetto al gesto svolto. Inoltre, oltre al lavoro madre, che consiste in una video-installazione, ci sono altre opere parallele da realizzare. In questi giorni di quarantena mi sto tenendo aggiornato costantemente con il team di One by One, in modo da fare le scelte più adeguate in base all’evoluzione della pandemia e dare il prima possibile aggiornamenti certi sulle inaugurazioni in Italia e all’estero, presso le sedi delle istituzioni coinvolte.
Il progetto nasce nel 2015, quando hai dichiarato di esser rimasto emotivamente colpito dalle notizie riguardanti la costruzione di nuovi muri lungo i confini politici nei Balcani, per bloccare il flusso migratorio proveniente soprattutto dalla Siria. Cosa è scattato in te e come sei riuscito a scegliere le altre tappe del viaggio?
La mia urgenza artistica si concentra sulle differenti forme di dualismi e confini, prodotti da tensioni sociali e individuali. Nel caso del progetto One by One il passaggio alla pratica è stato quasi istantaneo, con il proposito di interrogare lo spettatore sulle molteplici forme di confini invisibili celate nella società. Ognuno di noi ha delle spine interiori con cui confrontarsi e scontrarsi. Nel 2015, ho fatto il primo sopralluogo lungo i confini tra l’Ungheria, la Serbia e la Croazia, per vedere con i miei occhi ciò che stava accadendo, scavalcando i filtri delle molteplici immagini passate dai media. La diretta conseguenza è stato il video One way girato una notte nella stazione ferroviaria di Zákány, un piccolo villaggio di frontiera in Ungheria. In quell’occasione sono riuscito a entrare in stazione grazie il supporto di una associazione umanitaria, che dava un aiuto a tanti profughi che venivano letteralmente chiusi in vagoni e spediti in Austria. Mentre respiravo l’aria pesante di un incubo reale, non ho potuto esimermi dal video-registrare ciò che stava accadendo, ma senza riprendere i visi disorientati di persone disperate per un mero effetto spettacolare. La scelta delle tappe di One by One si basa su un semplice criterio, ovvero realizzare la performance in Europa, concepita come un punto geograficamente centrale, per poi spostarsi in estremo Occidente (U.S.A. e Messico) ed estremo Oriente (Corea del Nord e Corea del Sud). Un prezioso aiuto è stato offerto dalle persone che vivono in quei luoghi, conosciute per lo più via web, attraverso gli enti culturali e gli enti di competenza diplomatica che hanno contribuito nei contatti con le diverse autorità nazionali e locali. Il progetto non sarebbe mai stato realizzato senza la collaborazione delle molte persone coinvolte in tutti i Paesi che One by One ha attraversato.
Le riprese sono state realizzate lungo i confini che separano Slovenia, Croazia, Serbia, Ungheria, Grecia, Macedonia del Nord, Bulgaria, Turchia, Messico e U.S.A. C'era un'ultima tappa?
L’ultima tappa è la barriera spinata che separa la Corea del Nord dalla Corea del Sud. Questo viaggio era previsto per novembre 2019, ma era stato posticipato in aprile 2020 a causa della peste suina, che aveva colpito le campagne circostanti e la zona di frontiera. Poi è scoppiata la pandemia del COVID-19 e, come il mondo intero, anche il gruppo di lavoro di One by One osserva i suoi sviluppi procedendo nell’elaborazione del lavoro. Infatti le pagine social dedicate al progetto sono attive, il sito web – che raccoglierà riflessioni, immagini e alcuni video - è in lavorazione e il team sta strutturando le strategie di produzione su diverse ipotesi.
Chi si trova al confine, davanti a un muro di spine, può farlo solo con dei permessi speciali. Dopo averne visti tanti, in tutto il mondo, cosa hai provato?
La “presenza monumentale” di queste barricate incute nell’individuo una disarmante impotenza, facendolo sentire inerme, come se si trovasse di fronte all’onda d’urto di un’inondazione. Il silenzio che avvolge questi luoghi di confine si lascia ascoltare prepotentemente, evocando nella mente eventi tragici passati, e tangibili nei piccoli oggetti abbandonati da chi cercava una vita migliore oltre i confini imposti. Questa è la sensazione che ho condiviso con i local coinvolti nel progetto One by One, molti dei quali non avevano mai visto queste barriere, perché è assolutamente vietato avvicinarsi. Sul confine tra la Grecia e la Macedonia un agente della polizia di frontiera che ci scortava mi ha confessato il suo disagio nel compiere un lavoro sporco, che sottintende l’esclusione del proprio simile. Le sue parole si palesavano come uno spiraglio di umanità tra i bottoni di una divisa uniformante, che anestetizza ogni forma di empatia per il prossimo.
Bergamo è una delle città d'Italia più colpite dal virus. Come hai vissuto questo periodo? Credi siano nati dei nuovi muri di spine, seppur invisibili?
Credo che questo periodo di quarantena possa essere diviso in tre momenti differenti. Siamo partiti da una prima fase di preoccupante sfida da affrontare con forza, per poi passare a un intermezzo di consapevolezza del dramma, fino a giungere a una terza pericolosa fase di “quasi abitudine”. In futuro vivremo la distanza sociale come un’imposizione necessaria per far fronte ai pericoli di questa malattia, ma dovremo intellettualmente e cognitivamente opporci ad essa, per non diventarne schiavi. Questo è un vero impegno individuale che ci potrà preservare dalla nascita di nuovi confini invisibili, ovvero un terreno fertile per le ideologie basate sulla paura dell’altro. Persino i perimetri delle nostre case possono diventare i primi focolai di un altro virus difficile da estirpare, vale a dire l’assuefazione mentale indotta dall’abitudine, che ci porta all’accettazione inerme di una società inumana. Per questo motivo non dovremo mai abituarci all’idea di vivere in una società basata sul distacco, sebbene oggi le mura domestiche sembrino delle barriere insormontabili. Così eviteremo che la distanza sociale possa diventare un confine invisibile di cui contare le infinite spine, proprio come nel caso delle frontiere prese in esame nel progetto One by One.
Tanti i numeri a cui siamo sottoposti da sempre e in particolare in questo momento. In One by one hai scelto di contare le spine dei fili metallici delle recinzioni. Un gesto simbolico che fa riflettere sotto diversi aspetti ma che si sintetizza nell'ossessione, quasi, di riuscire a poter “contare ogni singola spina” e di superare quelle barriere invalicabili. Credi che con questa video-installazione, alla fine, ci riuscirai?
La video-installazione non è strutturata su una narrazione, che come tale, sottintende un finale logico. Al contrario, l’opera si basa su un conteggio infinito delle spine ammassate lungo i confini i Stato. Le voci delle persone coinvolte si sovrappongono come fosse un coro globale, o una preghiera laica, che sottintende la presa di coscienza della natura umana e alimenta il desiderio di trovare una conclusione a una condizione disumana. In questo modo, l’opera cede allo spettatore il peso del dubbio, inerente alla reale possibilità di trovare finalmente una fine dell’ammasso di spine, che non ci permette di oltrepassare i limiti umani.
Nel promo del video si vedono un signore anziano e una bambina. Dove siamo? E come hai scelto i performer che hanno partecipato all’installazione?
Il video che citi è stato girato a Slum, in Istria, lungo il confine tra Croazia e Slovenia, dove sono stati coinvolti un pastore e sua nipote. Il progetto non è strutturato su un rigido criterio di scelta delle persone, ma l’importante è coinvolgere gli abitanti delle zone di confine, i quali, a lavoro finito, formeranno gruppo di persone eterogeneo. L’eterogeneità dei performer è fondamentale per il lavoro, perché ad essa si contrappone un gesto uniformante che però assume significati diversi se compiuto da un anziano o da un bambino, sollecitando così nello spettatore altrettante domande.
L'attività di regia, ha in sé un certo senso di distacco e di controllo che però ti permette di entrare e di far vedere poi anche ad altri, pezzi di vita reale in un dato momento. Tante le iniziative nel mondo della cultura di promuovere i luoghi d'arte, chiusi in questo periodo, attraverso i video e la realtà immersiva. Qual è il limite di questi mezzi, secondo te, se c'è?
Se concepiamo l’arte come un’attitudine umana che nasce nelle pieghe della società, è impossibile pensare che essa trovi il suo naturale sfogo nell’immaterialità del web. I canali social sono utili per la comunicazione in una rete di contatti potenzialmente senza confini, ma il desiderio di essere sollecitati nella pienezza dei nostri sensi, non potrà mai essere soddisfatto da questi mezzi di relazione sociale. Un’intervento artistico si completa sempre con la presenza fisica dell’essere umano.
Il giornalista Tim Marshall, nel suo libro I muri che dividono il mondo, denuncia che sono oltre 6000 i chilometri di barriere innalzati nel mondo negli ultimi dieci anni. Le nazioni europee avranno ben presto più sbarramenti ai loro confini di quanti non ce ne fossero durante la Guerra fredda. Cosa ne pensi?
Quando mi trovavo con la mia troupe nelle vicinanze del confine tra la Bulgaria e la Turchia, era possibile vedere in lontananza il nuovo muro spinato che separa i due Paesi, caratterizzato da un impianto di controllo di alta tecnologia. Nelle vicinanze c’erano i fili spinati arrugginiti del vecchio confine, costruito negli anni del regime comunista bulgaro. Questa immagine, in cui passato e presente si fondono, ci racconta come l’imposizione di confini si ripeta ciclicamente per motivi differenti, ma che sottintende sempre la stessa chiusura mentale forzata. Questo amaro destino ci suggerisce che se l’essere umano è destinato a un’evoluzione del suo intelletto, ci troviamo ancora in una fase primordiale.
One by One (Video_Promo) from Filippo Berta on Vimeo.