Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992) presenta Tre bagnanti nel febbraio del 1992 a una personale alla Galleria Ruggerini e Zonca di Milano, pochi mesi prima di morire. Si tratta di uno degli ultimi due quadri da lui dipinti. Questa tela suggella quarant'anni di infaticabile ricerca e riflessione sul tema del nudo e su quello del paesaggio e si costituisce come un nuovo ed ennesimo approdo a un motivo, quello appunto delle bagnanti, che ha attraversato tutta la storia dell'arte da Tiziano, a Correggio, a Giorgione, a Renoir, a Cézanne, a Kirchner, per citarne solo alcuni. Tre bagnanti rappresenta uno ʻscompartoʼ di quello che Testori definisce il “nuovo polittico dell'Ennio nostro e nazionale”, ovvero un'ampia serie di oli e di disegni in cui si esprime, per l'ultima volta, la tensione creativa del pittore.
A partire dagli anni Sessanta, infatti, Morlotti aveva iniziato a lavorare per cicli, i cui soggetti - cactus, teschi, rocce, bagnanti – dovevano essere in grado di condensare il senso della pienezza dell'esistente, inteso in quanto intreccio inestricabile di pulsioni di vita e di morte. È la vita stessa a dover essere considerata la vera protagonista delle sue opere, quella vita a cui il pittore aderisce in modo così autentico e sincero. Ma la vita trasposta in arte, per Morlotti, non è mai vita reale, è ricordo di vita, è l'esito di un processo di rilettura degli accadimenti esteriori e interiori attuato dalla memoria che li riempie, li colora, talvolta li redime, e comunque li rende gravidi di sentimenti. Come scrive Gianfranco Bruno: “Oltre l'apparenza la realtà cresce nella coscienza che la pensa”. Grazie a questo surplus di sentimenti l'opera è capace di arrivare allo spettatore e di commuoverlo, permettendogli, per un attimo, non già di vivere meglio, ma di sentire che lo sta facendo, di intuire che, in qualche modo, è parte di quel movimento e agitazione esistenziale che trapela dalla tela. Tuttavia, avere a che fare con la vita non vuol dire solo entrare in rapporto con lo spirito, ma anche con la materia, il corpo, la carne ed è da qui che deriva quella pittura densa e impastata di terra caratteristica dell'arte morlottiana.
L'anno di avvento di un acceso interesse per il tema del nudo nella natura può essere considerato il 1937 quando Morlotti, recatosi all'Esposizione Universale di Parigi, aveva potuto ammirare Le grandi bagnanti di Cézanne, oggi al Museum of Art of Philadelphia. Intervistato trent'anni dopo, nel 1964, da Marco Valsecchi, il pittore dichiarò che il quadro dell'artista di Aix-en-Provence era quello che aveva lasciato su di lui l'impronta più forte:
Fu come un pugno nello stomaco. Quell'azzurro, quegli arancioni, e la bruschezza di quella pittura. Sapevo già dai libri chi fosse Cézanne; ma adesso dinanzi a quella grande tela, mi si spalancavano gli occhi e l'anima. Lo sentivo pittore; ma lo sentivo anche come maestro di vita per via della sua solitudine, della sua cocciutaggine, della sua ostinazione sul lavoro (…).
Come riferiscono queste parole, non si tratta solo dell'inizio del rapporto con un soggetto ma è, ancora più significativamente, l'inizio del rapporto con Cézanne, maestro caro e prediletto, al cui modello Morlotti rimarrà sempre fedele.
Rientrato a Milano, dopo due anni di inattività che gli erano serviti per interiorizzare le scoperte parigine, tra cui c'era oltre a Le grandi bagnanti anche Guernica di Picasso, egli riprese a dipingere, soprattutto paesaggi. Sono gli anni dell'adesione al gruppo di Corrente e poi, dal 1946, a quello del Fronte nuovo delle arti.
È del 1954, però, la prima emblematica serie di nudi esposti alla Biennale di Venezia di quell'anno. Si trattava di tele intrise di “una passionalità e un'euforia vitale straordinarie”, in cui in un paesaggio fatto di una spessa materia pittorica i nudi emergevano individuati unicamente da possenti tratti di contorno, realizzando così la sensazione di una panica fusione tra l'uomo e la natura. Questi quadri vennero poi distrutti dallo stesso pittore a seguito della scarsa risonanza che essi avevano ottenuto alla mostra.
Nonostante questo spiacevole episodio, dal 1955 si aprì una feconda stagione creativa che si protrasse fino agli inizi degli anni '60 e che permise a Morlotti di emergere come figura di spicco dell'arte Informale in Italia. Il pittore si dedicò all'indagine di una molteplicità di soggetti, le rive dell'Adda, i campi di granoturco, le calendole, gli intrecci vegetali, le bagnanti, ma, secondo quanto afferma Roberto Tassi, è la riflessione sulla figura umana a dover essere considerata, già a questa altezza, come la più significativa. È infatti “anzitutto attraverso le figure, o almeno prevalentemente in esse, si manifesta quell'erotismo che, inteso nella sua essenza più drammatica, indica il fondo su cui cresce tutta l'opera di Morlotti, il punto in cui essa è più vicina all'essere”. L'erotismo è la forza creatrice delle cose, è la pulsione fondamentale che ci tiene in vita, esso sta alla base della dinamica generatrice della natura e proprio per questo viene utilizzato dal pittore come spinta-guida per plasmare le sue forme, per modellare la pasta pittorica sulla tela. Nella donna morlottiana si ritrova allora la Mater fertile e fecondatrice in cui si incarna la natura stessa. Tuttavia, da questi quadri emerge anche una potenza di segno opposto, identificata dallo stesso artista come una forza di ʻerosioneʼ che sfalda le forme e le amalgama con il paesaggio in un incendio crepitante e totale che non distingue più tra carne e natura. È l'ennesimo ed eterno riproporsi del binomio classico Eros-Thanatos.
Passarono alcuni anni, poi, perché Morlotti tornasse al nudo, presentando prima nel 1988, alla Biennale di Venezia, e poi nel 1992, alla Galleria Ruggerini e Zonca di Milano, un nuovo importante ciclo di Bagnanti, resurrezione splendente del tema ed esito supremo della sua ricerca artistica. Deposti i potenti accumuli di materia e le paste alte e spesse, queste nuove figure appaiono finalmente libere dalla materia informe in cui si trovavano michelangiolescamente imprigionate e si rivelano impetuose e sensuali, irradiate da una luce trasparente e diffusa. In queste ultime prove l'essenza della fusione donna-natura non risiede più in un'unione violenta e improvvisa di forme, ma nell'avvolgente e immobile respiro della luce che le attraversa come una linfa vitale. Sono opere connotate da un lirismo e una carica poetica straordinaria che - afferma Testori - non possono lasciare insensibile lo spettatore, coinvolto fino alle lacrime.
Vorrei suscitare quell'emozione di cui non si capisce il perché, che non si può tutto spiegare, come sono le cose dei poeti, ma che si può vivere. Ottenere che il quadro riveli qualcosa di nuovo, anche di terribile, ma che sia dell'uomo.
Così si confessa Morlotti a Marco Valsecchi. Ritornano qui, inoltre, più vitali e attuali che mai i colori, le forme, l'architettura dei dipinti di Cézanne e - ironia della sorte - il secolo che si era aperto con Le grandi bagnanti e la morte del loro creatore, si chiuse con Tre bagnanti e la scomparsa di Morlotti, devoto allievo del grande pittore francese.