L’arte, in un certo senso, ci salva la vita consolandoci dal dover morire, come se Dio avesse dato all’uomo questo dono, tramite lo stupore e la bellezza prodotti dal potere taumaturgico dell’arte.
Se è vero, come scrive Leonardo, che il grande amore è figlio della grande conoscenza (indotta dall’arte!), allora “sopravvive” o “vive più a lungo” colui che narra il mondo e l’uomo attraverso la musica, le forme figurative, e la parola. Questa idea diventa così strategia in Sharazad, l’eroina del mitico libro delle Mille e Una Notte, che, per salvare le fanciulle dall’ira del re Shahriyar, il quale tradito dalla propria moglie fa uccidere le vergini che hanno trascorso con lui una notte di voluttà, decide di diventare il mezzo di liberazione del regno. Essa riesce nel suo intento raccontando, così, ogni notte per mille notti una storia tanto avvincente che il sultano vorrà ascoltarne il resto, e per questo motivo le risparmierà la vita rinunciando così a farle tagliare la testa. Sharazad diventa per questo il simbolo della liberazione dalla morte grazie al “narrare” e, più ampiamente possiamo dire, grazie alle suggestioni e alle emozioni prodotte dall’arte in generale che dà all’uomo la possibilità di trasformare ogni cosa in un'altra, e, nella fattispecie, per non uscir di metafora, l’odio in amore duraturo (re Shahriyar infatti sposerà Sharazad).
Ecco allora che l’arte, pur nel suo multiforme manifestarsi nello spazio e nel tempo è una sorta di medicina alchemica con effetti taumaturgici per l’uomo. Non a caso infatti secondo la medicina indù – e il ciclo delle Mille e Una Notte è di origine indo-persiana – alla persona mentalmente turbata viene raccontata una storia: e la meditazione su questa storia l’aiuterà a superare il suo disturbo emotivo.
E così è anche la pittura di Octavia Monaco che come un “rimedio alchemico” sa come curare facendoci ritrovare emozioni lontane, e in questo modo, fatalmente, ci porta a ritrovare qualcosa anche di noi. L’artista infatti è tra quelle figure umane che, come ho scritto nel catalogo Il Canto dell’Eros che accompagna l’omonima mostra, è in contatto con le Grandi Intuizioni delle Origini e ad esse attinge, inconsapevolmente con tutti i suoi sensi, facendosi medium e canale per gli altri uomini.
L’opera d’arte è come un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma. W. Kandinsky.