Vi è mai capitato di incontrare un uomo vestito completamente di bianco e con una mascherina di garza davanti la bocca? Ebbene, avete incontrato un devoto jaina che usa la mascherina per evitare di uccidere, ingerendoli, microbi o piccoli insetti… La sua religione è il Jainismo, religione che non crede in una rivelazione divina e, come il Buddismo, nasce in contrapposizione al pensiero induista e si basa innanzitutto sulla negazione di un dio.
Il Jainismo fu fondato da Rishabh Dev, una divinità minore nel Rig Veda del terzo periodo di Avasarpini, che aveva capito che gli uomini avevano bisogno di un insegnante (Tirthankara) per far fronte ai problemi della vita. Ma nel quarto periodo il male proliferò così tanto che ci vollero altri 23 insegnanti (Jina-Jaina, "vittorioso", “vincitore” delle transmigrazioni) per cercare di risolvere tutti i problemi. L'ultimo e il 24° fu Vardhaman (Colui che si accresce), un contemporaneo vicino a Buddha del V secolo a.C., epoca in cui il movimento religioso si organizzò per reazione contro il Brahmanesimo. Vardhaman è chiamato sia dai jainisti sia dagli indù anche Mahavir (Grande eroe) e aveva vinto sugli attaccamenti, sulle avversioni, sull’egoismo, sul materialismo, sulle passioni, sull’aggressività. Mahavir, come Siddharta, era figlio di un raja, e come altri jina, raggiunta progressivamente con l’ascesi la perfezione e l’onniscienza, predicò la via della salvezza.
Circa 200 anni dopo la morte di Mahavir, il capo dei monaci Bhadrabahu previde un periodo di carestia e condusse circa 12mila fedeli nell’India meridionale. Quando dopo vent’anni fecero ritorno nella loro terra, scoprirono che i jainisti che non li avevano voluti seguire avevano creato una setta (Shvetambar: coloro che vestono di bianco). Attualmente, vivono nell’India settentrionale, in particolar modo in Gujarat, e sono coloro che rappresentano iconograficamente il loro profeta e le sue reincarnazioni precedenti in posizione seduta su un fiore di loto come il Buddha. I seguaci di Bhadrabahu divennero i Digambar (coloro che vestono di cielo), più numerosi nell’India centro-meridionale, e che ancora oggi girano completamente nudi coperti di cenere bianca, più simili ai fedeli indù perché venerano le manifestazioni del loro maestro come tante divinità induiste.
Le due dottrine non hanno sostanziali divergenze di vedute, ma non riconoscono le stesse Scritture. Gli shvetambara ammettono l’eguaglianza dei sessi di fronte alla Liberazione; i digambara la respingono e si caratterizzano per maggior rigore. Contrariamente a quanto accade presso altre religioni, dove il progredire di rango nella gerarchia ecclesiastica comporta un sempre maggiore prestigio, maggiore ricchezza di paramenti e vistosi miglioramenti materiali ed esteriori, nel Jainismo, con il progredire dell’evoluzione sul piano spirituale, aumentano le rinunce e le restrizioni.
Il Jainismo è il massimo tentativo in ambito spirituale per ridurre o annullare la violenza perché insegna che ogni singolo essere vivente, dal moscerino all'uomo, è un'anima eterna e indipendente, responsabile dei propri atti. I jainisti ritengono che il loro credo insegni all'individuo come vivere, pensare e agire in modo tale da rispettare e onorare la natura spirituale di ogni essere vivente, al meglio delle proprie capacità. L’impegno individuale finalizzato alla percezione della realtà cosmica eterna consente di liberarsi dai karma accumulati nelle precedenti esistenze e di porre fine al ciclo trasmigratorio di morti e rinascite che incatena l’anima alla materia. Occorre sciogliere il nodo tra l’anima e la materia, determinato dai frutti delle azioni che sono state compiute, sia cattive che buone, che generano inevitabilmente karma (negativo o positivo).
A differenza dell’Induismo, in cui l’uomo subisce il proprio karma, nel Jainismo è l’individuo che interviene direttamente sul proprio karma e se nel Buddismo si cerca una “via di mezzo”, nel Jainismo ogni individuo è dotato di un’anima propria attiva nel processo della sua stessa Liberazione, e il distacco è un passaggio indispensabile per ottenere la rifusione nell’Assoluto. Predicando un'assoluta non-violenza, il Jainismo prevede una forma estrema di vegetarismo: la dieta del fedele è da sempre molto restrittiva: oltre a non cibarsi di alcun animale, esclude anche molti vegetali che contengono princìpi di vita, e quindi l’anima, estirpando le quali si uccide l’intera pianta, come bulbi, radici, patate, carote e rape, e anche il miele non può essere mangiato perché è prodotto mettendo in pericolo la vita delle api. Persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. È fatto divieto di mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto ed è invece necessario alzarsi prima dell'alba, poiché la luce del sole (e quindi del mondo) deve cogliere l'uomo sveglio e vigile.
Malgrado il numero esiguo rispetto al totale della popolazione, in India i jainisti si mettono in evidenza e molti di loro occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della scienza. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell'arte, dell'architettura, della scienza e della politica dell'intero paese (lo stesso Mahatma Gandhi, apostolo della pace e della non violenza, fu profondamente influenzato dallo stile di vita pacifico proposto dal Jainismo, integrandolo nella sua personale filosofia, e la città di Ahmedabad viene spesso associata alla sua figura, con il suo semplice ashram sulle rive del fiume Sabarmati meta di pellegrinaggio).
Fra i templi (derasar) più belli e importanti vi sono il Dilwara presso il monte Abu e il Bhagwan Adinath derasar, quest'ultimo di recente costruzione e situato nella città di Vataman. Nelle foto del grande artista Sergio Pessolano si può riconoscere la città di Palitana, nella regione di Gujarat, in cui c’è un sito sacro per i cultori del Jainismo: si tratta della collina di Shatrunjava, un luogo così sacro e venerato dai pellegrini – che ogni anno accorrono numerosissimi – che neanche i monaci possono risiederci. Su questa collina sono presenti una infinità di templi – non esiste un censimento completo ma si stimano circa 1.300 strutture – e una scalinata di circa 3.300 passi che rappresenta l’ascesa verso la salvezza. Un po’ come per La Mecca per i cultori dell’Islam, ogni cultore del Jainismo deve recarsi alla collina di Shatrunjaya almeno una volta nella vita.
Il luogo, come dice Pessolano nella sua intervista, è particolarissimo e trascina lo spettatore in un’atmosfera “magica” ed emozionante: la presenza di un numero incredibile di templi e il fatto che i dettami di questa religione dice che nessun essere vivente può essere oggetto di violenza, fa sì che la natura domini incontrastata su questa collina, con piante, insetti e animali più o meno pericolosi. I fedeli qui riuniti venerano le statue dei loro Tirthankara guardandole attraverso degli specchi situati nei tempi (per non osare di guardare direttamente le divinità con i propri occhi) e offrono loro oggetti simbolici con lodi cantate.
Qui incontriamo i due tipi di credenti: il religioso, errante, mendicante, insegnante e il pio laico. I monaci praticano un rigido ascetismo e si sforzano perché questa loro nascita sia l'ultima. I laici perseguono pratiche meno rigorose, sforzandosi di ottenere fede razionale e di fare buone azioni in questa nascita. A causa delle rigorose etiche radicate nel Jainismo, il laicato deve scegliere una professione e uno stile di vita che non coinvolga violenza verso se stessi e verso gli altri esseri umani. Per il Jainismo c’è un complesso sistema cosmologico composto da cinque stati dell’essere: la materia, lo spazio, il tempo, il movimento e l’immobilità e poi ci sono tre mondi, il medio con la terra, l’inferiore con l’inferno ripartito in sette strati e il superiore che comincia sopra le stelle e si estende fino ai confini dell’universo. Questa suddivisione è rappresentata nell’iconografia jaina come una forma umana alla cui testa corrispondono gli stadi superiori e ai piedi quelli inferiori. Inoltre, nel cosmo esiste una serie infinita di microrganismi (nigoda) che attraverso passaggi graduali compiono la trasformazione da esseri unicellulari fino a diventare animali, uomini e dei.
Il codice etico del Jainismo è considerato in modo molto serio e si basa su Cinque Giuramenti (come per i buddisti Panch Sheela), seguiti sia dalle persone laiche che dai monaci. Questi sono: la non violemza (ahinsa, o ahimsa), la verità (satya), il non furto (asteya), la castità (brahmacharya) e il non possesso o la non possessività (aparigrah). Per le persone laiche, “castità” significa confinare l'esperienza sessuale al rapporto matrimoniale. Per i monaci e le suore, ciò significa totale celibato. La non violenza coinvolge l'essere rigorosamente vegetariani. Ci si aspetta che il jainista segua i principi della non violenza in tutti i suoi pensieri, parole e azioni.
I monaci e le monache swetambara-vestiti di bianco come quelli incontrati a Palitana possiedono solo un abito bianco, una ciotola per elemosinare il cibo e l’acqua, un bastone, un piumino per rimuovere gli insetti dal loro cammino e prima di sedersi e coricarsi, una pezzuola sulla bocca per non nuocere ai batteri dell’aria. Gli asceti Digambara-vestiti di cielo possiedono il piumino e il contenitore per l'acqua con cui lavarsi i piedi prima di entrare nei templi; elemosinano il cibo e l’acqua da bere nell'incavo delle mani giunte. I jainisti hanno pochi simboli fondamentali. Un simbolo jainista comprende una ruota sul palmo della mano. Quello più sacro è una semplice svastica spoglia.
Dall’estrema forma di vegetarismo deriva il veganismo che, prendendo spunto dal Jainismo, limita la sopravvivenza umana a elementi come le verdure, l’acqua, il fuoco, la terra e l’aria. Il veganismo (neologismo creato da Donald Watson della Vegan Society di Londra negli anni Quaranta, contrazione del termine inglese vegetarian), è uno stile di vita incruento che sceglie di non sfruttare in alcun modo gli animali e che coinvolge non solo l'alimentazione e l'abbigliamento, ma anche la spiritualità, la vita quotidiana, l'interesse per l'ambiente. Chi è vegano infatti non mangia e non utilizza alcun prodotto di origine animale.
Vorrei terminare ricordando, con un ultimo sguardo a una delle tante splendide fotografie di Pessolano, la fondamentale proposizione dottrinale jainista che dice “Vivi e lascia vivere, ama tutti, servi tutti” dove per “tutti” si intende ogni creatura umana, animale e vegetale, ma anche la terra, il vento, l’acqua, la rugiada, l’aria…
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