È una sensazione forte, di straniamento, una novità improvvisa alla quale siamo ormai disabituati, un vuoto che ci preoccupa e ci agita nel profondo del cuore, un dato quotidiano con il quale non siamo abituati a convivere e che ci crea agitazione e preoccupazione ma del quale avvertiamo anche il valore. Un valore che è difficile misurare, difficile circoscrivere, difficile definire. Immersi come siamo nel fluire rumoroso di una quotidianità in cui ogni cosa ha un suono, un rumore, deve avere un suono o un rumore per essere identificata e conosciuta, definita per rassicurarci e anche per agitarci, ma chiara ed evidente, quando ci troviamo dinanzi al silenzio, all’assenza del suono, alla mancanza di rumore, ci troviamo spaesati, disorientati come se ci mancassero i punti di riferimento.
Eppure quel silenzio, quell’assenza di rumore, fa parte anche del nostro onirico bisogno di altro. Scegliamo il luogo delle vacanze per allontanarci dalla realtà rumorosa del nostro lavoro, delle nostre città, della nostra vita quotidiana immersi nell’umanità, cerchiamo lo svago in luoghi che ci possano portare in dote proprio questa assenza, questo vuoto. Spesso sentiamo dire ho tanto bisogno di silenzio, quanto vorrei non sentire nulla, per ricaricarmi, per ritrovare una misura della vita. E però, quando quel silenzio per così dire “lo sentiamo”, in riva al mare, nel deserto, sulle balze di una montagna, nei ghiacci polari o sui ghiacciai, nel mezzo di un bosco piccolo o grande, allontanandoci dal sentiero, all’improvviso qualcosa ci attanaglia, un senso di timore, di paura ci assale e quel bisogno si trasforma in una preoccupazione, non subito ma dopo un lasso di tempo variabile speriamo di sentir qualche rumore, anche un fruscio che ci ricordi dove siamo prima di lasciarci andare alla dimensione incommensurabile del silenzio.
Questo accade perché la dimensione del silenzio si accompagna quasi sempre alla solitudine. Stando soli di fronte alla natura, immersi in essa, avvertiamo il valore superiore di quell’assenza, il senso delle cose altrimenti soverchiato dal suo opposto, e tuttavia un attimo dopo, in senso cosmico per così dire, ci assale la sensazione opprimente di essere soli, senza nessuno per condividere quella meraviglia alla quale siamo dinanzi. Ed è così che riprende consistenza in noi la necessità di andare lontano da questa verità semplice e autosufficiente che il silenzio rappresenta. Perché esso non ha bisogno di essere definito, anzi ogni definizione creerebbe suono e rumore, attraverso le parole i versi, vanificandolo in un batter di ciglia. Se volessimo cercare una cifra interpretativa dei giorni che stiamo vivendo all’interno di quella che ci appare come una bolla inquietante, creata dall’ansia, dal timore, dalla paura, dal panico per la pandemia del Coronavirus, la troveremmo senza alcun dubbio proprio nel silenzio.
Silenzio dei cieli dove non passano più aerei, silenzio sui mari dove non passano più navi, silenzio sulle strade un tempo trafficate, silenzio nelle vie cittadine, nei luoghi una volta affollati, nelle piazze, nelle rotonde, nei crocevia, silenzio nei palazzi dove abitiamo dove all’improvviso non sembrano più abitare quegli stessi vicini con i quali di consueto ci scambiamo qualche saluto, silenzio nelle nostre abitazioni, intorno a noi e che cerchiamo di rompere facendo qualcosa, spostando qualcosa, cercando qualcosa, quasi a spezzarne l’ondata.
È una dimensione prima sperimentata nei primi luoghi della quarantena, poi via via in tutto il mondo mano a mano che il virus si è distribuito tra i continenti. E come se qualcuno all’improvviso abbia via via abbassato il volume dell’umanità e delle attività umane sino ad annullarlo, lasciando una scia sempre uguale: un silenzio antico, quasi naturale, nel quale persino gli animali avvertendolo si conformano quasi per rispetto di quella natura alla quale sono certamente più vicini di noi.
Certo, questo mantello che ci sta coprendo, come una coltre di neve, non è frutto di una scelta dell’umanità di privilegiare ritmi diversi, modi diversi di vivere e convivere ma il risultato di un accidente della storia, di un elemento a suo modo naturale sfuggito al normale fluire delle cose e dinanzi al quale attoniti reagiamo come l’uomo primitivo dinanzi alla grandezza anche catastrofica della natura, con un misto di paura profonda, ancestrale, di rispetto per qualcosa la cui potenza e grandezza ci sfugge, facendoci domande ontologiche e cercando risposte rassicuranti e conclusive e quindi creando tanto rumore intorno a noi per non sentirci soli sulla terra, pur in mezzo agli altri. Però, quando scende la sera e il buio ancorché illuminato della nostra civiltà ci sovrasta, quando spegniamo gli apparecchi che ci informano e ci collegano, abbassiamo le luci, ecco che intorno a noi, accanto a noi, “sentiamo” (è il paradosso) proprio il silenzio, anzi quel suono del silenzio che ci affascina e ci atterrisce.
Un “suono” che avvertiamo anche camminando frettolosamente per le strade improvvisamente deserte, guardando da lontano i nostri simili, guardinghi per la distanza che deve separarci. E in qualche modo ci tornano alla mente e nel cuore le note e le parole di una canzone che ha segnato un’epoca: The Sound of Silence, di Paul Simon ed Art Garfunkel, affresco di un’epoca di grande evoluzione anche tumultuosa della storia recente dell’uomo e nella quale si rispecchiavano incertezze, paure, bisogno di sicurezza. Parole che si rivolgono all’oscurità “vecchia amica” e alla sensazione di chi ricorda “nei sogni agitati io camminavo solo attraverso strade strette e ciottolose sotto l'alone di un lampione al freddo e all'umidità ... e nella luce spoglia vidi migliaia di persone forse più che parlavano senza dire niente, persone che sentivano senza ascoltare...”. Liriche di una canzone, certamente, ma nelle quali aleggia quel senso di timore che ci assale oggi mentre ci spostiamo per le uniche cose che possiamo fare prima di rientrare in quella quarantena di massa alla quale siamo costretti per le misure a loro modo necessarie per aiutarci tutti a superare la crisi.
O ancora, quando guardando i nostri simili pensiamo a quanto era semplice stringere una mano, dare una carezza e la canzone ci ricorda “...prendete le mie braccia che potrei raggiungervi. Ma le mie parole caddero in silenzio come gocce di pioggia e riecheggiarono nelle sorgenti del silenzio...”.
Molti scrittori, pensatori, musicisti si sono misurati con il silenzio tanto che qualcuno ha provato a definirlo come “poesia della solitudine”. Come non pensare ai “sovrumani silenzi, e profondissima quïete io nel pensier mi fingo” di Giacomo Leopardi) o al “divino del pian silenzio verde” del Carducci. La meditazione e il silenzio sono parte integrante di molte religioni e pensieri filosofici, ne costituiscono anzi elemento distintivo e costruttivo. Consultando la letteratura su questo non luogo ritroviamo le riflessioni di Buddha sulle sponde del fiume Nairanjana, la preghiera di Gesù nel deserto, quella del profeta Maometto nelle grotte del Monte Hera, ancora le meditazioni di Lao-Tse sulle montagne della Cina. Numerosi i mistici europei che hanno esaltato le virtù del silenzio, come San Bernardo di Clairvaux, Meister Eckart, San Francesco d’Assisi. Nella contemporaneità il Mahatma Gandhi e Madre Teresa di Calcutta. Il silenzio è anche al centro di ricerche scientifiche moderne come quelle di un asettico laboratorio americano, Orfield Labs di Minneapolis, negli Stati Uniti, dove è stata costruita la camera anecoica più silenziosa del mondo. A questo punto come non ricordare nell’infanzia lo strano fenomeno di rifrazione del suono, l’eco, che in alcune condizioni fisiche sembra dare vita e voce proprio al silenzio.
È, forse, allora il momento, imprevisto, inaspettato, di riflettere e quando la paura, il dolore, la sofferenza, diventeranno un brutto ricordo, non dimenticare ma tenere nel proprio cuore questa sensazione, innaturale nella nostra società moderna tumultuosa e apparentemente senza scopo, e al contrario insita nel nostro stesso essere umano come bisogno, come esigenza in quella dimensione del pensiero o dell’anima che ci caratterizza con le nostre certezze e soprattutto con i nostri dubbi: la sensazione, la percezione del silenzio e del suo sono inconfondibile. Se anche solo in parte riusciremo a conservarla, forse la prova grande e sofferta alla quale come umanità siamo dinanzi ci avrà fatto migliorare, recuperare un po’ di più quell’essere a questo mondo non per “viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Una dimensione che ha nel silenzio la sua perfetta realizzazione.
E poiché il silenzio non è mai totale intorno a noi, cercare di percepirne la vera ed eterna natura. “In un atteggiamento di silenzio l’anima trova il percorso in una luce più chiara, e ciò che è sfuggente e ingannevole si risolve in un cristallo di chiarezza, sottolineava Gandhi. E, per Madre Teresa di Calcutta “abbiamo bisogno di trovare Dio, ed Egli non può essere trovato nel rumore e nella irrequietezza. Dio è amico del silenzio. Guarda come la natura – gli alberi, i fiori, l’erba – crescono in silenzio; guarda le stelle, la luna e il sole, come si muovono in silenzio... Abbiamo bisogno di silenzio per essere in grado di toccare le anime”. Un grande pensatore, Sören Kierkegaard, rifletteva “lo stato attuale del mondo – e in effetti tutto ciò che è vivente – è ammalato. Se fossi un medico e mi venisse chiesto un consiglio, direi: create il silenzio! Conducete gli uomini al silenzio!” Più duro Josè Saramago per il quale “forse solo il silenzio esiste davvero”. Concludiamo allora questo excursus con Antoine De Saint-Exupery, autore del Piccolo Principe, per il quale: “Amare vuol dire soprattutto ascoltare in silenzio.”
L’insicurezza di questi giorni, il silenzio che ci circonda, il silenzio del dolore per chi non c’è più, il silenzio nel nostro cuore pur bombardati da notizie, dati, dichiarazioni, smentite, speranze, devono allora essere i nostri futuri alleati. Per ricordare, per non dimenticare, per saperci rialzare, per affrontare il futuro, per sentirci più vicini come umanità tutta, per saper fare la differenza tra il prima dal quale veniamo e il dopo verso il quale dobbiamo andare. Come nelle grandi tragedie, nei momenti più bui, le cesure della storia debbono essere il momento per far progredire il genere umano, nel rispetto della natura e dei suoi abitanti, nel rispetto reciproco, nella fratellanza che ci vede tutti insieme su questo pianeta e tutti responsabili per esso.
Se un valore si può annettere ad una disgrazia come la attuale, questo è certamente nel condurci, meglio costringerci, a riflettere sulla nostra debolezza contro un nemico invisibile e insidioso, sulla insicurezza che ci accomuna senza differenze. La scienza e la conoscenza dell’uomo sono in grado di trovare le difese e farci rivedere la luce, ma sarebbero meno utili se non si traesse la lezione più importante: meglio il silenzio operoso che il chiasso e le parole altisonanti ma inutili o fuorvianti.
Quel suono del silenzio che ora ci avvolge deve diventare allora la chiave di volta per il domani, quando torneranno i rumori, quando torneremo a far rumore. Deve essere la cifra interpretativa del nostro vivere e crescere in armonia. È forse utopico, ma è anche una speranza perché il mondo possa invertire o cominciare a rallentare una china rischiosa per la stessa sopravvivenza della civiltà nella quale viviamo.
A farci silenziosamente da “grido d’allarme”, un’infinitesimale entità vivente che ci avverte del pericolo e dei nostri limiti mentre in silenzio ci attacca e ci provoca dolore e sofferenza. Una lezione da meditare quando tutto questo sarà concluso e diverrà un ricordo nei nostri cuori e un elemento di riflessione per le nostre menti! Solo così sarà vero quel che vediamo nelle strade deserte e leggiamo: andrà tutto bene e... ce la faremo!