Arrivederci Roma... Good bye... Au revoir...
Correva l'anno 1954 quando un romantico Renato Rascel, il famoso 'corazziere' più piccolo d'Italia, compone e canta una canzone che diventa il simbolo di una città consacrata a mito internazionale. Sarà stato per la frescura del 'ponentino' nelle sere d'estate, per l'imponenza del Colosseo o per i marmi bianchi 'der fontanone', ma il mondo intero, romani compresi, passava e ripassava da via Veneto, si incontrava nei locali eleganti sulla via Appia o nei parchi cittadini, si godeva un'opera alle terme di Caracalla, ascoltava un'orchestra sinfonica sotto le arcate della basilica di Massenzio.
La guerra era ormai un ricordo e da Roma ripartiva la voglia di vivere mentre Giardinette, Topolino e Lambrette scorrazzavano tra le fontane a zampillo del centro storico, simboli di un progresso che sembrava non dovesse avere mai fine. Già... Com'è bella la città, com' è grande la città, com' è viva la città, com'è allegra la città... Solo una quindicina di anni più tardi le parole evoluzione e sviluppo sono sinonimo di benessere ed elisir di felicità. E se le canzoni della nostra vita quotidiana di allora ce lo ricordano in maniera ostinata, questa del geniale Giorgio Gaber è ancora più impertinente mentre declama le vetrine piene di luce... i grattacieli sempre più alti e tante macchine, sempre di più.
Basta camminare oggi lungo le strade di Roma per capire che qualcosa nella corsa al progresso non ha funzionato. Roma ai tempi del Coronavirus non è solo una città mutilata dei suoi negozi e dei suoi caffè, spogliata delle vecchie abitudini, derubata del suo passato e anche delle sue smisurate bellezze. Roma è una città apparente, un'allucinazione. Come se pochi giorni si fossero dilatati in anni, mentre è bastato girare la testa un attimo per trovarsi davanti a un baratro agghiacciante come un incubo. Via le vetrine, via le luci, via le serate romane, gli aperitivi a San Lorenzo e lo 'struscio' di via del Corso. Via anche gli infusi di Babingtons, le fettuccine di Augusto, la gricia di Giggetto, l'ossobuco della Sora Lella e i cannolicchi di Perilli al Testaccio. Chiusa a tempo di record, ad appena pochi giorni dall'apertura, persino la grande mostra che doveva celebrare Raffaello alle Scuderie del Quirinale. Oggi Roma, per la prima volta, è una città senza storia. Manca tutto, anche l'acqua alle fontane. E neppure un sussurro di quel 'te possino...' canzonatorio dall'aria apparentemente truce. Solo edicole, tabacchi e farmacie montano la guardia come soldatini di piombo in una città deserta dove si respira l'odore della paura. Unica merce venduta: sigarette, giornali enigmistici, mascherine e gel. Intanto i tassisti si raccomandano al Padre Nostro mentre gli operatori televisivi filmano piazze e strade spopolate e stuoli di vigili allontanano - invitandoli a tornare in albergo - i rari turisti che vorrebbero almeno godersi Piazza di Spagna e Fontana di Trevi nell'atmosfera surreale del 'vuoto da Coronavirus'. Viene a mente quell'inglesina e quella soffitta di via Margutta, dove il romano di turno l'aveva tenuta stretta stretta, come ci raccontava Rascel. Nel 1954. Un tempo non vicinissimo, ma che appare così lontano da sembrare finto. Chissà dove sarà quella soffitta agognata? Oggi di inglesi ne abbiamo incontrati due, spaesati nell'area dei Fori Imperiali. Sono arrivati da Norfolk e volevano visitare il Colosseo, ma tutto è chiuso. Anche il loro volo di ritorno è stato cancellato e hanno dovuto accettare un volo sostitutivo, però da Milano. Il destino può essere beffardo, ma non lascia spazio a scelte: prendere o lasciare. E loro hanno preso. Cosa altro potevano fare? È andata meglio - si fa per dire - alla coppia di americani di Boston che stava cercando di 'gustare' almeno il paesaggio immobile da Trinità dei Monti. Avevano prenotato a settembre un viaggio nella vecchia Europa, ma appena arrivati, i primi di marzo, il concerto di Bocelli in Slovenia è stato rimandato e Venezia è stata chiusa ai turisti. Hanno inseguito la vacanza a Roma, ma anche la capitale del mondo era ormai blindata. Adesso sono gli unici 'abitanti' dell'albergo e il vero problema resta la cena. Forse digiuneranno, però sono sicuri di rientrare l'indomani. Le ultime notizie confermano che l'aereo per gli Stati Uniti ci sarà. Ed è già buono.
Ma cosa abbiamo fatto per trasformarci in un set da fine del mondo? Noi che abbiamo passeggiato sulla Luna, noi che programmiamo un viaggio su Marte, che possiamo fare colazione con cappuccino e brioche nel bar sotto casa e cenare sushi nel centro di Tokio, che progettiamo il teletrasporto. Noi che possiamo sconfiggere persino i tumori, siamo in ginocchio davanti a un piccolo virus. “In una società che ha nel profitto la sua stella cometa, forse ci siamo dimenticati l'armonia. Abbiamo forzato la natura superando il limite. E non ce ne siamo neanche resi conto. Eppure periodicamente ci scontriamo con la natura pagandone il prezzo. È successo nel 2003 con la Sars, nel 2012 con la Mers e ora con il Covid-19”. Ce lo dice il professor Francesco Menichetti, docente di Malattie infettive all'Università di Pisa e direttore dell'omonima unità operativa dell'azienda ospedaliera pisana, tra i molti in prima linea nella battaglia di trincea contro il morbo contagioso che ci costringe alla paralisi.
E così, come Faust a Mefistofele, stiamo pagando un prezzo alla nostra sete di conoscenza. Le cambiali arrivano a scadenza irregolare, ma è impossibile saltare le rate. Anche se non c'è al momento nessun legame comprovato tra Coronavirus e inquinamento atmosferico sono in molti a sostenere, come l'Epha, Alleanza europea per la salute pubblica, che, visto il legame stretto tra smog e malattie polmonari e cardiache, il tasso di mortalità maggiore nella nuova infezione si registra proprio in Lombardia.
“No, questo non è un virus benigno e i numeri dimostrano che c'è stato un difetto di tempestività nell'affrontarlo”, sottolinea il professor Menichetti. “Abbiamo perso un mese di tempo e alla fine ci è scoppiato in mano come un tubo di acqua bollente. Non c'è ancora un vaccino, ma uno strumento di difesa ce lo abbiamo. Test-test-test è il messaggio dell'Oms. Ascoltiamolo perché è l'unico mezzo per evitare il moltiplicarsi dell'infezione”.
E mentre a Roma, come in altre città d'Italia, si aprono nuovi presìdi per fronteggiare almeno l'emergenza, mentre il Papa esce dal Vaticano in forma privata per andare a pregare davanti al crocifisso in legno che si dice abbia salvato la città dalla peste, i nostri passi risuonano nelle vie deserte fino quasi a sentirne l'eco. A Roma Termini, militari con mascherina e guanti controllano l'accesso ai treni: sembra di vivere in un film di fantascienza senza effetti speciali. Se è vero che il plurimiliardario Bill Gates aveva da tempo 'predetto' epidemie come bombe atomiche del futuro, ci piace rispondere con la saggezza popolare di Eduardo: “Ha da passa' 'a nuttata”.
Passerà. Good bye, Au revoir... Arrivederci Roma. Solo arrivederci.