Il teatro è il luogo delle riflessioni alte, profonde, probabilmente è proprio in un momento come quello attuale che si avrebbe bisogno di beneficiare emotivamente di tutte le sue qualità. Il teatro nutre l’anima, nel contempo regala distrazione diventando quella che Vittorio Gassman definiva “zona franca della vita”.
Tornerà la magia delle luci che si spengono, del sipario che si alza e della sensazione di fondersi, finalmente live, con tutta la bellezza che l’arte del teatro sa trasmettere a chi la ama. Di questo e molto altro abbiamo parlato con Claudio Pinto che, oltre ad essere attore caratterista della storica Compagnia Italiana di Operette, conduce laboratori teatrali nella regione pugliese e si dedica alla scrittura, alla regia e alla messa in scena di testi teatrali inediti. Attore di prosa e regista diplomato alla Scuola di Teatro “Alessandra Galante Garrone” di Bologna, durante il suo iter accademico è stato allievo di insegnanti del calibro di Vittorio Franceschi, Pierre Byland, Susanna Marcomeni, Giovanni Pampiglione, Toni Cafiero, Clara Zovianoff. Innamorato dell’operetta, da oltre un decennio si esibisce nei più prestigiosi teatri, interpretando il ricco e annoiato vedovo Toby Gutter in Scugnizza o il segretario pasticcione ne La Vedova Allegra oppure La Gaffe ne Il Paese dei Campanelli, ma anche altri ruoli in Cin Ci Là, La Principessa della Czardas, Bajadera, Al Cavallino Bianco.
Quello attuale è un momento delicato e difficile che sta inevitabilmente pregiudicando anche la salute dell'intero settore culturale e musicale. Qual è lo stato d'animo di un artista in questa situazione?
Noi artisti, spesso e volentieri, ci sentiamo un po' abbandonati a noi stessi. È vero che il Teatro è una passione, una vocazione, ma è anche una professione che richiede molta applicazione, aggiornamento, allenamento. In Italia, quella dell’artista è riconosciuta come una professione. Siamo paragonati a coloro che praticano un hobby. Siamo poco tutelati ed è anche per questo che, anche qualitativamente, il Teatro sta perdendo molto. La mia categoria, quella degli attori, è poco coesa. Non facciamo quasi mai fronte comune per una causa giusta. Spero che, dopo questa situazione epocale, questa pandemia che stiamo vivendo, riusciremo a riunirci e a far valere quelli che sono i nostri diritti.
Il teatro, un sogno coltivato sin dall'infanzia o una consapevolezza acquisita in età adulta?
Il mio primo incontro col teatro è stato alle scuole elementari, con due maestri che ci facevano fare delle attività ricreative nel pomeriggio. Ho conosciuto Gaber, allora. Un incontro costruttivo, perfino per un bambino di 8-9 anni, quale io ero. Poi alle medie, ho recitato la mia prima commedia, grazie ad un regista locale, col quale poi ho collaborato anche in età più adulta. E da allora non ho più saputo fare a meno del teatro.
Quando è salito sul palco per la prima volta? Quali emozioni ha provato?
La prima volta su un vero palcoscenico è stata a 12 anni. Frequentavo la prima media. Portammo in scena, con la regia di un regista locale, Nico Manghisi, una tragicommedia di Ermanno Carsana: Il valzer del defunto signor Giobatta, nella quale interpretavo il ruolo del protagonista, sebbene fossi uno dei più piccoletti presenti (superai la mia prima audizione, per quel ruolo). Ricordo che il giorno della rappresentazione, era marzo del 1990, avevo una brutta bronchite e recitai con la febbre. Ero stranamente tranquillo. Normalmente, adesso, prima di andare in scena, mi prende una “strizza” incredibile (i miei colleghi possono confermare) ed invidio il ragazzino di allora, tranquillo e felice. La “strizza” mi passa non appena entro in scena, sempre.
Come ha avuto inizio la sua collaborazione con la Compagnia Italiana di Operette?
Era ottobre del 2009. Ho risposto ad una chiamata per un'audizione a Forlì. L'ho superata e mi sono ritrovato membro di questa famiglia. È stato il mio primo incontro con l'operetta. E da allora me ne sono fatalmente innamorato.
Fare teatro è una vocazione?
Per me lo è. Una chiamata di una “voce interiore” che ti avvicina a questo mondo e che ti guida nelle scelte. I primi corsi, le prime volte con una compagnia amatoriale. La voglia di crescere e fare del Teatro la propria vita. L'Accademia teatrale. E poi... il Teatro a vita. Non per sopravvivere, ma per vivere.
Com'è la sua giornata tipo prima di andare in scena?
Non ho delle vere e proprie giornate tipo. In genere, quando sono in tournée, amo, durante le mattinate ed i pomeriggi che precedono gli spettacoli andare in giro per le città, esplorarle, frequentare i circoli dove sono gli anziani, per “respirare” la cultura, la lingua e i modi di dire propri di ogni città. Poi, pranzo, cercando sempre luoghi particolari e, anche se la convocazione per ritrovarsi in teatro è due-tre ore prima dello spettacolo, preferisco arrivarci anche quattro, cinque ore prima, per organizzare il mio camerino, renderlo “mio” e concentrarmi. Diciamo che amo vivere in teatro.
C'è un ruolo in particolare che le piacerebbe interpretare?
Senza alcun dubbio, Cyrano de Bergerac, il Guascone protagonista dell'omonima opera di Edmond Rostand. Uno dei primi copioni teatrali che ho letto, amato, divorato, riletto, ma mai interpretato.
Cosa potrebbe fare a suo avviso il teatro per avvicinarsi di più ai giovani?
Il problema è che si ha l'opinione del teatro come di qualcosa di distaccato, complicato e noioso. Ricordo che fin da bambino, già alle elementari, periodicamente andavamo a vedere delle rappresentazioni teatrali. Io spingerei ancora per portare i più piccoli a teatro, far loro scoprire la magia di uno spettacolo, magari, qualche volta, portandoli dietro le quinte, nei camerini, prima o dopo che gli attori vadano in scena. C'è bisogno di esempi. È altresì vero che in molte scuole, molti colleghi preparano spettacoli per ragazzi e conosco alcuni di questi ragazzi che ora sono attori di professione. La strada è questa, secondo me. Se non si diventa attori, per lo meno si diventa fruitori. Ed il teatro ha bisogno del pubblico.