I ragazzi di oggi svolgeranno lavori che non esistono ancora, è questo che si sente spesso dire da chi studia il mercato del lavoro. In effetti, tanto è cambiato di recente, e la metamorfosi è stata velocissima, tanto che alcuni non se ne sono neanche accorti. Molti mestieri sono andati già perduti come gli antichi mestieri di Napoli, che nel corso degli anni hanno tracciato il profilo di un popolo e di una città, con un bagaglio di cultura e storia antichissimo. L’arte di arrangiarsi è nata proprio a Napoli, per necessità si improvvisava, si inventava qualcosa per sbarcare il lunario.
Sarebbe impossibile elencare tutti i mestieri della Napoli antica, non solo perché molti non esistono più, ma anche perché, alcuni di essi sono talmente antichi, che nemmeno gli anziani di oggi ne hanno ricordo. “O Pazzariello”, ad esempio, era un artista di strada, che si divertiva a intrattenere i passanti, indossava abiti stravaganti e colorati, era accompagnato da un’orchestrina, sempre presente alle sagre o fuori dai negozi con pasta o pane, che pubblicizzava. Nel film L’Oro di Napoli, Totò interpretava appunto il Pazzariello, eccentrico, simpatico e burlone.
Grazie al “Lutammaro”, le strade di Napoli erano sempre pulite, perché questo personaggio provvedeva a raccogliere escrementi di cavalli, carcasse di animali morti e puliva i bagni pubblici, rivendendo gli scarti come concime.
“O ‘nciarmatore”, nell’antichità era considerato un guaritore, infatti, conosceva la medicina naturale, per cui ne capiva di erbe, decotti e impacchi. Questa figura, però in perfetta sintonia con la tradizione teatrale napoletana, doveva guadagnarsi la fiducia della gente, e per questo si abbandonava a scenette e riti per dimostrare le sue doti magiche e straordinarie.
“A Scapillata” o “Chiagnazzara” era semplicemente una comparsa che dietro pagamento, si recava al capezzale di un defunto e al corteo funebre per piangere e disperarsi; queste figure erano delle vere e proprie professioniste del dolore e della sofferenza e riuscivano a rappresentarli come dramma, che andava in scena sotto gli occhi di tutti. I parenti dei defunti, credevano che con le scene di pianto si sarebbe dato più onore ai loro cari, alcuni lo credono anche oggi.
“L’Arriffatore” organizzava la riffa (sorteggio in spagnolo), ovvero un gioco molto simile al lotto, che si proponeva in prossimità delle festività e in palio vi era cibo, cenone natalizio, uova di Pasqua e altri premi scelti in base alle ricorrenze.
I “Monzù” napoletani sono, invece, gli antenati dei grandi chef di oggi; tali personaggi hanno il merito di aver sperimentato e favorito l’incontro di tante culture culinarie, di aver avviato un processo che ha portato all’attuale cucina napoletana. Grazie anche a Ferdinando IV di Borbone, la cucina partenopea ha conosciuto le spezie arabe e le influenze francesi; infatti, sua moglie Maria Carolina era disturbata dai sapori troppo forti della cucina napoletana, così sua sorella Maria Antonietta, Regina di Francia le inviò chef francesi. L’esperimento, però non riuscì alla perfezione, perché i cuochi napoletani, prendendo spunto dai francesi riuscirono a creare una nuova cucina, integrandola con nuove preparazioni.
Chissà se per mestieri che vanno altri ritorneranno; la cosa certa è che la fantasia è fondamentale in ogni cosa che si fa e a volte ne serve davvero tanta. Due mestieri antichi napoletani li farei ritornare sicuramente: Il Lutammaro e il Monzù. Per il primo, credo che la fantasia abbia fatto un enorme passo indietro, visto che le strade non sono mai pulite e che per camminarci bisogna prestare molta attenzione a ciò che si calpesta. Per quanto riguarda i Monzù, sarebbe un’ottima idea se prima di studiare le ricette, si studiasse anche la storia di questi personaggi pieni di inventiva, ma molto meno Vip degli chef moderni. Oggi nel mondo della cucina la fantasia galoppa e chi prepara manicaretti è simile a una Rock Star.