Paesaggi e territori, luoghi e città costituite da segni e colori che si dipanano in una mappatura geografica, tra metafore e rinvii. È il paesaggio metafisico, esistenziale di George Tatge a cui il comune di Pistoia a Palazzo Fabroni - Museo del Novecento e del Contemporaneo - dedica la mostra George Tatge – Il colore del caso1.
L’esposizione, curata da Carlo Sisi, muove da una svolta nel modus operandi dell'artista di origine turca; nato ad Istanbul nel 1951, Tatge, inizia a fotografare negli Stati Uniti d'America nel 1966. Laureatosi in letteratura inglese nel Wisconsin, si trasferisce in Italia nel 1973 lavorando a Roma come giornalista e, nello stesso anno, come fotografo con la sua prima mostra in Italia alla galleria Il Diaframma di Milano. Dopo una lunga tradizione legata al bianco e nero, presenta ora un lavoro tutto a colori che si sviluppa in 74 fotografie articolate in sei diverse sezioni: da Metaspazi alle Superfici, passando per Apparizioni, Colore, Vegetazione e Recinti.
Il titolo – che ha per protagonista il “Caso” – presenta un tema quanto mai complesso circa le indagini fotografiche territoriali, ovvero la necessità di scandagliare edifici, alberi, oggetti, e luoghi urbani in maniera tale da creare - come ricorda Carlo Sisi - un “catalogo” di impreviste apparizioni e di disordini compositivi legati alla realtà quotidiana. E in questa direzione va la mostra pistoiese con luoghi di misteriosa metafisicità, con paesaggi tesi a sottolineare la solitudine esistenziale. Vi concorrono in maniera costante alcuni degli oggetti ricorrenti nel lavoro di Tatge quali i muri, le barriere, i recinti e le staccionate che riecheggiano lungo un paesaggio spesso disadorno e abbandonato, in luoghi mutati dal tempo ma anche dall’uomo.
E infatti, già in apertura della mostra i “Metaspazi” si connotano attraverso geometrie che si diramano nel paesaggio livornese – dallo scoglio della Regina al Cantiere vecchio dove tra i ferri arrugginiti fanno da sfondo ruderi antichi – o a Torino tra condomini, sottopassi e sopraelevate. Mentre a Salerno, di contrappunto, ad “apparire” è la nuova edilizia con palazzi in cui risaltano le terrazze colorate in giallo, arancio, viola, verde e blu, e ai cui piedi è un giardino cementificato dai minuscoli cactus. Forse un modo per rendere visibili grigi oggetti, che spesso nel tempo sono poi diventati elementi degradati, ma che in questa circostanza risultano efficacemente e allegramente colorati. E alle porte di Firenze, a Calenzano, è un magazzino di rottami davanti al quale campeggia una statua di Venere, quasi un richiamo ai lavori di Michelangelo Pistoletto. E ancora a Chioggia, nel cortile dell’azienda agricola, tra i cartelli appesi alla rete che riportano i prezzi di meloni e zucchine, è un manichino su di una bicicletta.
Il colore nelle fotografie di Tatge appare forte e intenso; a Prato, nelle sequenze di cenci rosa o ingabbiati in intense cromie blu, rosse, marrone, come in una installazione. Mentre nella vegetazione a risaltare sono ora tamerici e aloe, un platano dopo la bora a Trieste e un’erosione in una spiaggia a sottolineare non solo più il caso ma anche la consapevolezza di drammatiche situazioni ambientali. E, ancora, giova ricordare, che ad accompagnare la rassegna è anche un bel video che raccoglie gli scatti di George Tatge dedicati alla città di Pistoia.
Così, tra recinti e superfici, Tatge riordina il filo del discorso, lungo una narrazione che si snoda dalle fabbriche dismesse di ceramica a un passaggio murato, tra persiane scrostate e tre cipressi allineati, attente sentinelle di uno sguardo che si spinge fino a un “paesaggio invernale” (Firenze, 2018), come metafora di una poetica che si spinge oltre il visibile, e che coniuga per frammenti, tra realtà e melanconia, il colore del caso ma anche dei nostri tempi.
1 George Tatge – Il colore del caso. Pistoia, Palazzo Fabroni, fino al 16 febbraio 2020.