Scrivere è trasmettere uno sguardo interiore
alle parole, ricercare un nuovo mondo
nella propria mente con pazienza, ostinazione e gioia;
costruire un nuovo mondo, una nuova persona dentro di me1.
Adoro il mare d’inverno, osservare la sua immensa distesa, il mistero della sua mutevole continuità; mi aiuta a staccarmi dalla compiutezza delle forme per lasciarmi libera di immaginare il cangiante divenire delle cose, il loro incessante farsi e disfarsi come quello delle onde, secondo un ritmo che non è dissimile da quello della danza, della musica.
Il mare d’inverno è visione senza incontro, è separazione e ritorno, è presente che non lascia tempo per ritrovare il passato.
Seduta sugli scogli frastagliati dall’incessante lavorio dell’acqua osservo mondi che vanno e tornano come lucide parvenze d’infinito.
Il mare si spinge verso di me, lambisce i miei passi, si lascia scivolare come in un abbraccio.
È tempo di oltrepassare il limite della ragione per incontrare l’altra sponda dell’oceano senza chiedersi come raggiungerla.
La parola sfiora lo sguardo con gentilezza antica e lo induce ad accogliere il silenzio che accompagna la non-azione, la condizione dell’anima che sta sospesa tra ascolto e speranza di trovare il luogo nel quale si acquieta l’urgenza del desiderare, del preparare nuove partenze, dell’inseguire nuovi approdi.
La parola intona un canto senza voce che ben si accorda con l’osservazione silente del moto. Le parole che vengono dal mare camminano nel vento e conservano il bisbigliare delle onde, hanno in sé una forza misteriosa: felice chi le riceve e sa ascoltarle.
Storie di naviganti: dolce incantesimo
Fantasmi di sirene e pesci volanti: la mente fugge altrove
Memorie di antichi viaggi in terre lontane: il mare le custodisce
Riflessi di luna sull’acqua: lucente magia
Gli scogli attendono l’urto dei flutti: ed è per sempre
Il sole tramonta e già l’occhio corre verso Lucifero
Riesco a ricordare che ogni cosa ha una salita e una discesa, che nulla resta infinitamente uguale e che nel mutamento c’è un’armonia che è la nostra consonanza con l’accadere della vita.
Non c’è obiettivo, non c’è meta da raggiungere, l’effetto non è lo scopo, c’è soltanto il senso profondo di beatitudine che mi comunica il silenzio freddo di gennaio, l’assenza di ogni altra azione che non sia il cercare di mantenere caldo il corpo, il permettersi di sentire, di lasciare che ogni sfumatura del mio essere qui sia vissuta con pienezza, irripetibile.
Si fa l’esperienza di trovare dentro di noi il posto nel quale ci spogliamo di tutto e incontriamo quel sentire primo che è l’agire silenzioso, l’agire senza compiere altro gesto che non sia rimanere là dove si è, in armonia, senza sforzo, lasciarsi trasportare da un movimento calmo e tranquillo, attendere senza volere un risultato, aspettare senza bisogno di ricevere una risposta.
L’avvicendarsi delle nuvole fa spiccare il volo ai pensieri che iniziano a volteggiare nell’anima ancor prima che nella mente disegnando costellazioni di parole ognuna delle quali fa nascere un mondo.
Anche le parole non dette hanno in sé misteriosi messaggi, nascondono più di quanto sia in nostro potere far loro dire.
Mi concedo tempo per dare fiducia, attenzione e ascolto alle percezioni.
Dentro di me c’è stato a lungo il silenzio e poi un suono è comparso ed era quasi al tramonto.
A volte la voce che cerchiamo si manifesta soltanto alla fine del giorno, a volte restiamo nel buio senza poesia della nostra solitudine, della nostra paura di non vedere oltre l’oscuro manto della notte.
Eppure, sul mare di gennaio può risuonare il capriccio divino che spalanca l’orecchio ad una musica mai udita, ad una speranza non più conosciuta che lambisce il cuore e ne placa il frastuono in una inattesa calma di vento.
Anche il mare riposa e ascolta. Non un’increspatura turba la sua vastità.
All’improvviso tutto si fa chiaro. Gli infiniti frammenti che tanto ho inseguito senza mai riuscire a ricondurli all’unità compongono ora una limpida visione. Quelle che erano figure abbozzate, intuizioni passeggere, immagini fugaci convergono in una sconosciuta compiutezza.
Mi attraversa la certezza di essere uno con l’anima universale. Senza più attese, senza altri richiami assaporo la dolcezza del riposo infinito.
In questa chiarezza sento di poter rendere manifesto ciò che in me è rimasto inespresso e riuscire così a far emergere la vera natura interiore.
Sento il Tutto pervaso da un’emozione sacra e il mio cuore la condivide. Provo una sorta di rapimento. La quiete che impregna l’aria induce al raccoglimento, alla preghiera.
C’è un sentire amorevole che non si identifica con nessuna religione.
C’è un sentire compassionevole che è di ogni cuore puro.
Trovo dentro di me parole da tempo dimenticate, parole che ignoravo e che ora nascono come fiori dalla neve:
Divina Madre che dai vita a ogni creatura
ascolta la voce del mio cuore
e accoglimi nel tuo amorevole abbraccioFiore del silenzio mattutino
che segni i sentieri dell’innocenza
dai gioia alla nostra anima
Le parole si sono fatte immagini di luce, ne colgo il profumo, il caldo sentore, un dolce velo di bruma avvolge il paesaggio e mi sento in pace. Non ritrovo tracce di sillabe scritte altrove, accolgo la parola capace di non essere quella che dice, la frase priva di senso del paesaggio senza case.
Mi sembra di percepire il suono frusciante dell’immensità, la voce di spazi lontani.
Piccole nuvole bianche fluttuano insieme là, verso l’orizzonte. Le inseguo per un istante nella chiarità del cielo e già sono svanite, disperse da un’invisibile brezza: la fugacità della bellezza è pur sempre presagio di eternità.
Mi lascio coinvolgere in un ritmo che non so definire, ma che mi culla dolcemente. È il ritmo che mi accompagna mentre i piedi si posano sulla sabbia inumidita: è il soffio stesso della Natura. L’acqua cancella le orme così come i miei pensieri svaniscono in fretta trasportati dal silenzio che ricopre le emozioni. La prima falce di luna mi fa dono del suo splendore.
Smetto di cercare, di interrogarmi sul senso delle cose e tutto ciò che appariva ineluttabile, oscuro, complicato si fa lieve, semplice: quando sei stanco riposa, quando sei felice non voler essere felice per sempre. Non lasciarti spaventare dal mutamento che è naturale come quello del torrente che corre attraverso le rocce, come il passaggio dal giorno alla notte.
Gli universi periscono e gli oceani evaporano nell’eternità. Un uomo emerge dalle tenebre, sorride un istante nel chiarore della luce che lo circonda e scompare2.
Con queste emozioni rendo omaggio al termine cinese Wu-Wei espressione della antica saggezza di Lao-Tzu. Una visione del mondo racchiusa in una parola che, in modo inadeguato, viene tradotta con “inazione” poiché “quando Lao-Tzu parla di Wu-Wei, di non agire non intende l’inazione volgare, il pigro appagamento ad occhi chiusi … intende altresì l’azione delle cose reali, ovvero un’energica attività dell’anima che bisogna liberare dal suo triste corpo, come si apre la gabbia per liberare un uccello”3.
Risuonano le parole del Maestro:
Quando tu saprai essere Wu-Wei, non-agente nel senso ordinario e umano del termine, tu sarai veramente, e compirai il tuo ciclo vitale senza sforzo, come l’onda che ci lambisce i piedi. Niente potrà più turbare la tua quiete. Il tuo sonno sarà senza sogni e ciò che entrerà nel campo della tua coscienza non ti causerà alcuna preoccupazione4.
Mi immergo nella visione e ascolto: “altissimi, sparsi cirri dorati veleggiavano lentamente verso il mare; risplendevano di una luce pura simile a quella di un amore sublimato e andavano alla deriva con la mollezza di un sogno”5.
A cura di Save the Words®
1 O. Pamuk, La valigia di mio padre, Einaudi, Torino, 2007.
2 Henri Borel, Wu-Wei, Fantasia ispirata dalla filosofia di Lao-Tzu, Neri Pozza Editore, Vicenza, 1999.
3 Id. ibid.
4 Id. ibid.
5 Id. ibid.