Settant’anni sono molti, e si vede. La Nato — che il suo Segretario generale attuale, Jens Stoltenberg, ha cercato di descrivere come un “eccezionale successo” — è invecchiata bruscamente negli ultimi anni, come succede agli ex atleti usciti dalla professione, che perdono, con quella, ogni ragione di vita.
Eppure, a prima vista, la sua crescita muscolare è in pieno sviluppo. Erano sedici i suoi membri alla nascita e adesso sono diventati trenta. Quasi il doppio, Anzi, tra non molto, con l’ingresso forzoso della ex Macedonia, saremo a un passo dal raddoppio che, nelle intenzioni di Bruxelles (quella della Nato, non quella dell’Unione Europea) dovrebbe diventare raddoppio effettivo con l’ingresso trionfale dell’Ucraina. E poi con un trionfante en plein con quello della Georgia.
Il programma di accerchiamento della Russia, sul fronte europeo, è ormai pressoché completo. Il controllo politico di quella che un tempo era definita come “Europa Orientale”, tutta all’interno della Cortina di Ferro sovietica, è totale. Quello militare è semplicemente ferreo, come lo è l’intera struttura dei servizi segreti di tutti i Paesi che si sono (o sono stati costretti) a sottomettersi. Dal colosso tedesco, al peso-mosca del Montenegro, nessuno osa, anzi nemmeno pensa, di poter discutere gli ordini di Washington. Solo che, negli ultimi tempi, gli ordini di Washington sono diventati sempre più incomprensibili. La Francia, unico Paese europeo che era rimasto fuori dal comando unificato, è entrata nei ranghi della Nato, armi bagagli e ideologia, dai tempi di Sarkozy, cioè dopo l’uscita di scena di Chirac. L’unica eccezione — giudicata da Washington, con una sprezzante alzata di ciglia, come banalmente temporanea — è la Serbia. Ma è la solita stravaganza degli ortodossi, ai quali saranno piegate le braccia con la forza necessaria.
Ha ragione Stoltenberg: un successo eccezionale. Tuttavia il presidente francese Emmanuel Macron, se n’è uscito, proprio nei giorni delle celebrazioni del settantesimo compleanno, e in quelli, addirittura più solenni, del trentennale della caduta del Muro di Berlino, con la diagnosi stupefacente di una Nato in “morte cerebrale”. E, dietro a lui, un coro di invettive così rumoroso da non avere precedenti in tutti i settant’anni della sua esistenza. Certo l’Europa non è contenta delle imperiose richieste americane di ulteriori aumenti delle spese militari. Lo scontento popolare, assai diffuso a causa dell’austerità in cui si dibattono ormai tutti gli alleati, richiederebbe una distribuzione dei redditi meno diseguale. Chiedere loro di buttare altri soldi in armi appare esagerato e, alla lunga, pericoloso per la coesione sociale in molti paesi dell’Unione. Solo i baltici, ipnotizzati dalla paura della minaccia sovietica, tanto inesistente quanto lo è ormai l’Unione Sovietica, sembrano disposti a svenarsi per difendersi dalla presunta e non presumibile minaccia. Per gli altri, Germania inclusa, la vera minaccia è quella delle tariffe americane, o delle inchieste della Federal Reserve sui conti della Deutsche Bank. Tutti fattori che non contribuiscono certamente alla coesione inter-atlantica. Il problema è che le critiche, i malumori, i dubbi, vengono da due dei maggiori alleati: la Francia di Macron, e addirittura il Grande Fratello che tutto comanda, cioè l’America. Ai quali si aggiunge lo scontro vero e proprio tra Francia e Turchia, cioè tra Macron e Erdogan, per la guerra riaccesa da un alleato della Nato contro la Siria, passando sul cadavere dei curdi, alleati con un altro alleato della Nato, cioè la Francia, e contro un altro quasi alleato della Nato, cioè Israele. Un atto che Parigi ha definito inconsulto oltre che insopportabilmente unilaterale, i cui effetti sono stati ingigantiti dal sostegno al leader turco giunto inopinatamente dal soprannominato, il norvegese Segretario Generale della Nato che, senza consultarsi con nessuno, è andato ad Ankara a sostenere Erdogan.
Il Pentagono ha avuto le sue buone ragioni per scandalizzarsi, a sua volta, apprendendo che la Turchia comprava gli S-400 dai russi, violando la legge scritta e quella non scritta secondo cui gli armamenti della Nato devono avere il marchio di qualità della Nato. Tutte cose che, fino a tre o quattro anni fa non erano nemmeno concepibili. Alle quali non si può non aggiungere la sciagura del Brexit (per l’Unione Europea, si noti, ma non per Donald Trump), che toglie alla Gran Bretagna ogni possibilità di fungere da ponte di collegamento tra Unione e Stati Uniti, siano essi quelli di Trump o quelli dei nemici di Trump.
Macron guarda alla Russia, non piacendogli una strategia (quella americana) che propone Russia e Cina come gli inevitabili nemici, e chiede ormai a gran voce una strategia che si basi su una nuova analisi degli equilibri geo-strategici mondiali. Ma provoca la reazione stizzita di Angela Merkel che gli rimprovera (colta da un microfono segreto) di costringerla a incollare i cocci della sua “avventata” apertura al Cremlino. E i cocci sono tanti e tutti sbrindellati dalla parte dei Paesi del Nord cui fino a ieri è stato detto che la Russia di Putin li minaccia. E ora — pensano preoccupati a Tallinn, Riga, Vilnius e Varsavia — dopo esserci armati fino ai denti per fronteggiare la minaccia del Cremlino, andiamo a pranzo e a cena con l’orso russo? Mentre l’America di Trump — che potrebbe vedere con favore una certa distensione con Mosca — reagisce come punta da uno scorpione quando avverte che Parigi vorrebbe dialogare anche con Pechino, che costituisce per Washington il principale problema strategico del XXI secolo.
Parlare, in queste condizioni, della reale possibilità di applicare il famoso articolo 5 del Trattato atlantico (difesa comune in caso di attacco contro uno dei Paesi membri sul proprio territorio) ha per altro perduto quasi ogni significato dal momento che la Nato è divenuta nel frattempo un’alleanza che prevede e attua i suoi interventi su scala planetaria, ma con una visione delle crisi che deriva unilateralmente dall’alleato “Numero Uno”. Il quale, giorno dopo giorno, manifesta comportamenti errabondi e inspiegabili, frutto delle sorti incerte della lotta politica senza regole in corso dentro l’establishment di Washington.
Così si spiega la diagnosi di Macron: “stato comatoso della Nato”. E così si spiega, in parte, la decisione di Aquisgrana di Germania e Francia, di avviare (con estrema prudenza e ambiguità, tuttavia) la creazione di una “forza militare europea”. Ma quale? Autonoma dalla Nato? Non se ne parla neppure. Chi mai avrebbe il coraggio anche solo di immaginare una forza europea militare che si stacchi dalla Nato? A parte le spese, che ricadrebbero su un’Europa disunita anche al suo interno, una decisione del genere sarebbe in primo luogo pericolosa per chi tra gli alleati la proponesse. Chi tocca i fili muore. A Jens Stoltenberg è stato detto di chiarire questo punto prima di essere sostituito e andare in pensione: “La Nato è europea e americana, entrambe le parti sono necessarie”. Restando implicito che il comando resta interamente in mano americana. All’Europa, che non ha la forza di essere unita, non resta alcuno spazio per decidere. A decidere sarà il caos che avanza e sarà dunque un evento drammatico.