Per l'artista bergamasca Patrizia Fratus il segno è valore di un processo identitario che si raccorda alla Storia ed al Mito che attraverso di esso si declama. Il gesto che lo genera diviene autore del significante che accosta ognuno di noi al tempo che lo ha preceduto sino al senso profondo dell'esserci nel ruolo di creature umane nel processo naturale dell'evolversi.
Negli spazi nuziali di colei che porta il nome del mito della tessitrice “Penelope” e che oggi è legato all'insegna dello stile internazionale nella moda di frontiera, nella città della Leonessa, approda la visione progettuale di questa significativa rappresentante dell'arte relazionale ed il suo pensiero sulla donna e sulla creatività come necessità di esprimersi nell'abbraccio al sociale attraverso grandi tableaux di maglia evocativi del ruolo di “Eva” nella storia.
Non tanto il 15 dicembre o il luogo (Brescia) come start dell'azione, ma il significante che dal nome Penelope emerge portando alla penetrazione nell'universo di Fratus per un quesito spaziale nel telaio della polis tra patriarcato e matriarcato.
La vicenda mitologica di Penelope e Ulisse ci viene narrata da Omero nell'Odissea; Ulisse, partito per la guerra di Troia, viene atteso per anni dalla fedele moglie, la quale, minacciata dai Proci, promette che avrebbe contratto un nuovo matrimonio solo al completamento del sudario per Laerte. Penelope però, simbolo d'astuzia e di fedeltà femminile, di notte disfa ogni volta la tela tessuta di giorno, in modo tale che il lavoro non abbia mai fine. L'obbiettivo è quello di non sposare un altro uomo e di aspettare, fedele, il ritorno del marito.
Negli arazzi di Patrizia si innesta l'arte dell'ingegno femminile. L'esperienza della donna come protagonista della trama circolare della storia. L'uterina genesi della realtà e della mitologia come emblema della natura attraverso un tessuto solidale che si impagina nella titolazione dei materiali, in quei diametri ed in quelle profondità giustappositive che dalle rimanenze di maglia si esprimono in cromatismo e rilievo chiaroscurale del pensiero umano. Attraverso la figurazione emotiva il viaggio che ognuno compie nella vita terrena si manifesta in simboli tratti dall'immaginario collettivo.
Per Patrizia Fratus l'arte è tecnica ed assume la creazione a contratto nell'azione fluida del pensiero privato dalle convenienze e dalle convenzioni, vigente nell'espulsione sintomatica di una necessità comunicativa che non ha eguali nell'edificazione emotiva.
Privato ed universale si uniscono ed intrecciano nel gesto creativo.
Comporre arte è possedere la trama di quel filo nascosto nei nodi dell'anima che dialoga con il tempo: assaporare la testimonianza della creazione come dialogo tra la germinazione della vita e “l'astuzia” che vi è insita nel libero discernimento e conseguente scelta nel quotidiano respiro dell'esserci. L'artista chiama in campo le figure cardine del naturale (Divino) come parte della “Materia” che ha la sua origine nella “Mater” latina che è “Madre” e come tale sacra.
Patrizia Fratus realizza sinapsi in maglia tra la psiche dell'uomo e il concetto di genere e generazione; partendo dal bestiario rettile del serpente giunge al corpo antropomorfo dell'essere umano che nel passaggio attraverso il sinuoso animale vive il suo stato di coscienza senza subirne il male di cui è per tradizione portatore.
Fratus priva Eva dell'accento seduttivo e tentatore della tradizione testamentaria e trasforma il gesto verso Adamo in un porgere senziente tra manifestazione ed accoglienza.
Nell'arazzo Il dono, raffigurante i progenitori tratti dal quadro Adamo ed Eva (1528) del pittore tedesco Lucas Cranach, l'autrice separa nettamente le figure dei protagonisti e permea l'azione di Eva del valore della proposta come omaggio nei confronti di un Adamo che può liberamente accogliere il frutto senza i vincoli della “Tentazione”.
L'artista delocalizza in un altrove artistico di fili di maglia la figura del serpente smaterializzando il potenziale negativo dell'animale nella vividezza cromatica e nell'eleganza formale che interseca la purezza orfica del colore. Purezza che è nuova nascita, fanciullezza di materia e maternità d'azione, nel riuso sostenibile dello scarto del filato naturale purificato dal “gesto nuovo” ad esso rivolto.
*Come spiega il Rabbino Riccardo Di Segni nella Genesi la concezione in cui c’è soltanto Dio che gestisce tutto esclude un serpente che comanda. Il serpente è soltanto una creatura, residuo simbolico del processo di ribellione a Dio che verrà ulteriormente bastonata e sconfitta alla fine di questo racconto.
A proposito del fatto che il serpente non esiste, ma è qualcosa che agisce dentro la mente di Eva l’etimologia popolare spiega il significato del nome che Adamo dà alla sua compagna: Eva (in ebraico Hawwah) ha relazione con l’idea di ‘vita’, perciò era o doveva essere “madre di tutti i viventi” (Gen. 3, 20), ma in aramaico con un termine analogo si dice serpente, quindi donna e serpente hanno lo stesso nome.
Problematico è il passaggio tra la conoscenza del bene e del male e l’astuzia. L’astuzia che è attribuita al serpente, in realtà è attribuita anche ad Adamo ed Eva i quali vivono in uno stadio primordiale in cui non possono distinguere il bene e il male, ma non sono stupidi. Questa idea della furbizia fa vedere che anche loro hanno capacità di scelta, perché se non c’è capacità di scelta non si capisce dove sia il peccato.
Il primo divieto che viene dato all’umanità e che trasgredisce è un divieto alimentare: “Non mangiare”. Nell’Ebraismo i divieti alimentari costituiscono un pilastro fondamentale della struttura religiosa. Nel Cristianesimo, anche a seguito delle parole di Gesù che dice che non è importante ciò che entra nella bocca ma ciò che esce, i divieti alimentari sono stati progressivamente spazzati via.
Questo divieto rappresenta attraverso l’alimentazione la primordialità.
È interessante che in questa primordialità istintuale non ci sia un divieto sessuale, perché quale divieto sessuale poteva essere dato ad Adamo ed Eva, visto che a loro era stato dato l’ordine preciso di riprodursi?
Il reato alimentare rappresenta uno stato di natura primitivo, originale.
Quando a un lattante viene dato un oggetto, lui se lo porta alla bocca. Il modo di relazionarsi di un bambino con l’ambiente esterno è portare tutto alla bocca, è la modalità basilare per rapportarsi con l’esterno.
Il divieto alimentare sta a dire che nel rapporto con l’esterno non puoi fare qualsiasi cosa, ma devi scegliere.
Su questa scelta si base l'arte relazionale di Patrizia Fratus dove la possibilità si genera dalla sacralità delle cose: dal loro principiare alla loro fine apparente nella possibilità che ad esse noi diamo di vivere nella loro sacra conformazione (natura).
Per quest'autrice le cose posseggono dei cicli vitali, nei quali il filo è il medium per l'agire comune e sonda il terreno di una plausibile rinascita. Il termine (inteso come conclusione) coincide con l'origine di una nuova vita ed una nuova esperienza aggregativa nel valore dei segni e della simbologia che ad essi si collega.
Questo è il processo che l'artista bergamasca s'impegna ad innescare per comprenderne la fertilità e portare a riemersione le figure femminili di un sociale fragile che attraverso la necessità dell'arte (Ananke è la dea greca della “necessità” colei che guida verso ciò che è necessario: il proprio destino), possono trovare nuova dignità nell'autodeterminazione data dal lavoro, dalla tecnica, e “dall'uso”.
Il significante è centrale per relazionare l'esperienza dell'uomo alle sue radici e non a caso le parole che definiscono tale passaggio sono indissolubilmente legate alla natura (radici).
Patrizia si propone come autrice di un progetto prototipico di rigenerazione del filato estratto dagli scarti della lavorazione a maglia per donare ad essi una nuova partitura cromatica e volumetrica, una nuova esistenza tecnica, funzionale all'emozione e all'apprendimento di un'esistenza qualitativa e non quantitativa. Nella traccia grafica esprime i caratteri del femminile in dialogo con il maschile addizionando alla fase patriarcale dominante nella storia l'essenza stessa dell'alternanza da cui essa ha origine: il matriarcato.
Dalla figura di Eva a quella di Diotima, maestra di Socrate, citata nel Simposio di Platone, passando per il gesto sacrificale di Abramo nei confronti del primogenito Isacco, maschio che per tradizione si voleva morto, sottendendo ad un sistema sociale matriarcale, sino alla donna contemporanea e alla desacralizzazione del suo corpo in favore di una visione meramente ludica e carnale sono passaggi che rendono necessaria la riflessione sul ruolo della donna e sua sacralità in quanto parte della natura e del tutto divino che la costituisce in un unico filo conduttore (Filo di Arianna) che traccia la strada verso l'uscita dal labirinto del conflitto di genere.
Il serpente coincidente con Eva, come colei che dona la vita, è l'acuta visione di una fluidificazione dell'uomo nella natura (Divino) a cui appartiene la figura femminile nella sua sacralità donatrice di vita attraverso la dimensione liquida dell'esistenza.
La traccia del rettile formante una serpentina geofisica del significante idrico del fiume lo rende formalmente portatore d'acqua e portatore di vita esattamente come l'essere umano (la nascita avviene attraverso la rottura delle acque).
L'impronta zoomorfa delle figure di Patrizia Fratus forma una spirale giocosa quanto ipnotica della psiche che proietta nel braciere incandescente del conflitto tra “Marte e Venere”. La sua tavolozza cromatica è derivata dal caso di quanto ritrovato e posto in riuso del filato e si accende a contrasto con il fondo cupo dell'arazzo come coscienza del pensiero.
Ogni trama diviene tassello di una ricerca dialogica con il mondo esterno all'artista e a coloro che ad essa si connettono. Traccia formativa ed edificativa dell'uomo assimilata alla poetica esecuzione di un gesto per un luogo la cui bontà (Eutopia) equivale alla bellezza da cui emerge la verità che la Fratus addiziona alla giustizia.
Questi arazzi sono mosaici di un tutto coincidente con il sacro dell'essere umano. Attraverso l'azione creativa si esprimono nei simboli della natura per parlarci del “genere” nell'arte: arte che è tecnica, materia, mater-madre e “a-matrice” di quella “F” del “Femminile” che apre il nome “F”RATU “S” alla “Fratellanza” e si converte nel finale “serpentino” alla “S” di “Sorellanza”.