Il cibo quale elemento universale, oggetto di valore e di consumo, ma anche ponte della conoscenza tra i popoli, tra identità e civiltà, storie e pratiche. È quanto indaga uno dei più grandi fotografi americani, Steve McCurry, attraverso la rassegna Cibo, in corso fino al 6 gennaio 2020 ai Musei San Domenico di Forlì. Curata da Monica Fantini, Fabio Lazzari e Biba Giacchetti, l’esposizione presenta 80 scatti, per larghissima parte mai esposti e stampati prima, del plurivincitore del World Press Photo.
Un racconto fotografico sul cibo e sui modi di produrlo, trasformarlo e consumarlo e nella messa in evidenza del suo valore. E la maestria di McCurry sia nell’uso del colore, che dell’empatia e dell’umanità rendono queste immagini indimenticabili.
Nato a Darby, in Pennsylvania, nel 1950, McCurry è stato insignito del Robert Capa Gold Medal, del premio della National Press Photographers e per quattro volte ha vinto il World Press Photo. Di certo “ogni fotografia di Steve McCurry – ricorda Monica Fantini – cerca l’universale nel particolare. È paradigmatica di una persona o di un’intera comunità: vale sia per le figure commoventi che consumano un pasto nella solitudine, come per i frammenti di mercati in cui i pesci, la frutta o le spezie si fanno odori, suoni, sapori e partecipazione emotiva a una realtà”.
Il progetto scenico della mostra, ideato da Peter Bottazzi, si sviluppa in cinque sezioni che seguono il ciclo di vita del cibo, tra l’America Latina, l’Asia e l’Europa, e con strutture scenografiche e video che rendono la mostra un’esperienza immersiva dal punto di vista fisico ed emozionale. Così se la prima sezione introduce al ciclo di vita del cibo, la seconda rappresenta il pane come alimento primario, e come linguaggio universale. E a seguire è la produzione del cibo e quindi il lavoro nei campi, nelle piantagioni e nel mare. E allo stesso modo, se la quarta sezione è focalizzata sulla trasformazione del cibo, l’ultima invece si caratterizza per la dinamica dedicata alla coesione che il cibo genera, allo stare insieme e nel consumarlo per sfamarsi e per non sprecarlo, e per riportare il cibo al suo valore centrale di vita. Un messaggio etico è anche quello che risalta da queste fotografie. E in questo modo ogni fotogramma di McCurry cerca di raccontare per intero la storia di una persona, di una comunità, o di un Paese.
Ed è così che nella rassegna Cibo ogni foto risulta essere una traccia e un segno, lungo i quali le persone si riconoscono consumando il proprio pasto nella solitudine o in riservatezza, o attraverso i diversi alimenti - verdure, frutta, spezie - che ricoprono i luoghi e i mercati quale possibile forma di una socialità e di un esser interni a differenze e identità, nell’uguaglianza di esseri umani che condividono un pezzo di storia e di vita. E ciò si manifesta tanto nella parte dedicata al lavoro, quanto nella preparazione e nello scambio del cibo che preserva la dignità sacrale del vivere. E ancora, allo stesso modo, lo si ritrova negli scatti in cui il mangiare insieme diventa il fulcro di convivialità e di una condivisione.
Così, in queste fotografie, McCurry raccontandoci idealmente il ciclo della vita ci spinge a una riflessione profonda su come questo elemento necessario all’esistenza, sia presente in modi così diversi nelle regioni del nostro Pianeta. E proprio in tal senso il fotografo statunitense coglie assai bene l’attimo irripetibile di una quotidianità dal sapore eroico, fermando gesti e cogliendo volti le cui sfumature sono espressione di una narrazione infinita, l’indagine su storie in grado di svelare vissuti e oggetti quotidiani del nostro tempo: il cibo.