La Schwarzheide, il mosaico di apertura sarà disallestito entro il 22 novembre per le alluvioni a Venezia. È un mosaico in marmo di oltre ottanta metri quadri quello che si apre agli occhi del visitatore nell’atrio di Palazzo Grassi a Venezia. Il mosaico è un’opera site specific dell’artista belga Luc Tuymans a cui è dedicata fino al 6 gennaio 2020 la mostra retrospettiva dal titolo La pelle, curata da Caroline Bourgeois, il cui tema è ripreso ed ispirato dal romanzo eponimo dello scrittore italiano Curzio Malaparte (1898-1957) pubblicato nel 1949.
Il mosaico riproduce Schwarzheide un’opera dipinta dall’artista belga nel 1986, dal nome di un campo di concentramento, e riprende un disegno realizzato da un prigioniero nel corso del suo periodo di detenzione durante la Seconda guerra mondiale. Purtroppo questo mosaico, a causa dell’alluvione che ha colpito Venezia nei giorni scorsi, verrà disallestito anticipatamente – e solo fino a giovedì 21 novembre si potrà ammirare questa straordinaria opera - per consentire, in via precauzionale, le operazioni di pulizia del pavimento in marmo. Un’occasione da non perdere in questi giorni e per restare vicini alla città di Venezia così fortemente colpità dalle alte maree.
Giova ancora ricordare che l’originale del disegno riprodotto da Tuymans è opera di Alfred Kantor, un sopravvissuto della Shoah e mostra la foresta che circondava i campi per nasconderli agli occhi degli abitanti dei dintorni.
Nato a Mortsel, alla periferia di Anversa (Belgio) nel 1958, Tuymans ha contribuito in maniera determinante alla rinascita della pittura negli anni Novanta, e le sue opere investono sia i temi del passato, la Seconda guerra mondiale in particolare, quanto quelli del presente, con soggetti quotidiani che risaltano per i loro colori e sfumature. Quella dell’artista belga è una pittura in cui vive un deciso intervento fotografico che ne scandisce forme e caratteri. I suoi dipinti sono radicati nelle sue fotografie personali, realizzate con Polaroid o con smartphone, in spazi urbani, a casa sua, oppure da foto di riviste o quotidiani, dai programmi televisivi, dal cinema o da Internet. Una pratica pittorica - come ricorda Marc Donnadieu - che ha numerosi punti in comune con la singolare forma di assorbimento delle immagini prodotte dalla realtà o dai media per meglio restituire allo sguardo dello spettatore impressioni effimere e fugaci, ricordi vaghi e un po’ sfumati. Una pittura di carattere fotografico che si svolge attraverso la scomposizione e lo smembramento di oggetti e figure, in strati lievi e sottili che solo la fotografia attraverso una gradazione di luci, ombre e sfumature consente.
In The Book, ad esempio, il dipinto è tratto da una foto scattata all’interno di una cattedrale, fotografata a sua volta dalla pagina stampata di un libro aperto, mentre iPhone si caratterizza sul rapporto pittura/fotografia, in quanto configurazioni, luci e ombre danno luogo a un dipinto dall’unica superficie in cui la figura – il volto – risulta una silhouette.
Ma, superando la “foresta”, ad avvio del percorso espositivo, che raccoglie opere che si snodano dal 1986 ad oggi, è Secrets (1990), un piccolo ritratto di uomo, sorta di premessa ai dipinti che si intrecciano tra paesaggi, ritratti e animali. Sono così le rarefatte montagne, come anche il ritratto A Flemish Intellectual, due uccelli sul ramo di un albero – Orange Red Brown e Isabel – e l’intenso ritratto di un bambino The Valley dagli occhi ipnotizzanti o, forse, scioccati, o peggio ancora di orrore come nel cannibale giapponese Issei Sagawa.
È l’impianto tragico, drammatico, che governa la pittura di Tuymans, la sua presenza/assenza, e una ricerca interna a fatti e vicende del Novecento e del nostro tempo. Sguardi fissi e assenti, materie lievi come in The Rabbit e Dirt Road, rifinite continuamente per lasciare leggerezza e sospensione, oblio e ricordo. È la pelle, quella che deve stare in superficie, e che deve proteggere un corpo, uno spazio o una condizione, la propria e quella altrui, le strutture del corpo sulle quali prende forma l’animale o la persona. A volte la condizione è tragica come in Ballone, il clown spettrale non risulta divertente, fa proseguire la propria ombra, estensione di una riflessione per uno sguardo che volge altrove. Sono le tragedie ad emergere, è il segno di sofferenza e di un dolore, ma anche l’impotenza dinanzi alle grandi vicende della storia. La pelle in questo senso è di grande aiuto, protegge e sostiene, è un anticorpo efficace, è il corpo! Anche quando lo sguardo è stravolto e angosciato come in Twenty Seventeen, o nei due occhi semichiusi di Donation. O quando lungo “la riva” sono le figure stilizzate, come a scandire un limite che si spinge oltre. E forse sta proprio nel guardare altrove il conflitto reale, il carattere della forma pittorica che Tuymans lascia apparentemente in superficie, per formulare invece un interrogativo, il dubbio del caso, o la ricerca dell’oggetto per la ricostruzione dell’immagine o della figura.
La pelle si guarda dentro e fuori, lascia traccia, ammorbidisce le vene, anche quelle più profonde dove Tuysman scava ininterrottamente, per attenuare quel senso di dolore e di un’esistenza i cui colori sono sempre più flebili e sbiaditi, ma che restano quale segno di una storia da ricordare.