La rinascita del vinile. Avrete letto senz’altro un articolo su questo argomento negli ultimi tempi. Probabilmente avete scorto anche valutazioni entusiastiche in cui si dice che il ritorno del disco nero sta salvando l’industria musicale, grazie alla riscoperta di un supporto fisico che ha fatto la storia della musica e che torna alla ribalta grazie al fascino dell’oggetto e alla qualità sonora incredibilmente superiore ai mezzi digitali.
Mi spiace deludervi, ma pur partendo da alcuni dati reali e positivi, qui sopra ho elencato alcune delle imprecisioni e inesattezze che mi capita di ascoltare di continuo. Per esempio, la notizia, circolata di recente, è che nei primi sei mesi del 2013 in Italia la vendita del vinile è aumentata del 53% rispetto al 2012. Ottimo, davvero, uno come me non può che gioirne. Poi però bisognerebbe riportare tutto alle dimensioni reali: le vendite della musica sotto forma di supporto fisico (Lp o cd) sono diminuite del 13%, quelle della musica “liquida” (file mp3 e simili) sono aumentate del 9%. Su 100 album venduti, 38 sono sotto forma di file digitali.
Vi siete persi? Tranquilli, vi spiego meglio: l’industria discografica tradizionale come l’abbiamo sempre concepita sta andando verso la fine. L’ho già scritto e lo ribadisco. I confronti fatti con il 2012 sono confronti con un mercato residuale. Quando si sente dire che la vendita dei vinili non è mai andata così bene dal 2003 a oggi, bisognerebbe rispondere: grazie, ma che mi dite del confronto, che so, con il 1980, quando i vinili si vendevano davvero, o anche con i primi anni Novanta, quando, dopo l’avvento del cd, i dischi in generale si vendevano davvero? Ve lo dico io: nei primi anni Novanta i Long Playing venduti in Italia erano tredici volte quelli di oggi.
Per essere precisi: ho chiesto un po’ di dati alla Federazione Industria Musicale Italiana (in aggiunta a quelli che si trovano sul sito ufficiale www.fimi.it)) che è riuscita molto gentilmente a rintracciare qualche statistica. Nel 1991 nel nostro Paese le vendite totali (Lp, cd, musicassette, singoli) si aggiravano sui 51,7 milioni di unità, nel 2012 i supporti fisici (cd e vinili) hanno totalizzato 14,3 milioni. Meno 72%. Parlando dei soli vinili, nel ’91 erano già in calo, ma se ne vendevano quasi 9 milioni, nel 2012 siamo intorno ai 700.000 pezzi. Meno 92%. Mi auguro che con i servizi in abbonamento e con un piccolo aiuto del vinile, il settore, stroncato negli ultimi anni dalla pirateria, sopravviva e si riprenda, ma il punto è che siamo sprofondati a cifre minuscole.
Quello che sta succedendo è che: 1) il supporto cd sta morendo; 2) nel giro di qualche lustro (anno?) la stragrande maggioranza della musica verrà comprata in forma digitale, probabilmente con un abbonamento ai servizi di streaming (Spotify, Deezer, eccetera); 3) forse resisterà una nicchia di mercato per il vinile. Se si dimostrerà qualcosa di più di una moda passeggera, probabilmente troveremo Lp a prezzi ancora umani, se sarà all’interno del recinto in cui pascolano gli audiofili, pagheremo 40 per lo stesso identico oggetto che oggi costa 20, perché si sa che il fissato di audio (tipo me) ci gode a farsi rapinare nella convinzione di aver appena scalato l’ennesimo gradino nella ricerca della purezza assoluta del suono.
Siete già depressi? La parte più triste di questo articolo non è ancora arrivata, purtroppo, ed è questa: ce la faranno i negozi di dischi, cioè i luoghi che amo di più al mondo, a resistere se il loro mercato diventerà la nicchia sempre più angusta di cui parlavamo prima, limitata ai vinili? Spero di sì, ma temo di no. E infatti negli ultimi sei mesi l’e-commerce musicale legato ai supporti fisici è cresciuto del 9%, riducendo ancora la fetta destinata ai negozi.
Ora passiamo alla componente autobiografica di questo pezzo. Io sono in completa controtendenza rispetto al resto del mondo. E’ vero che da due mesi pago 4,99 euro di abbonamento a Spotify, in attesa di capire se l’utilizzo che ne faccio valga quantitativamente l’esborso, ma è sul resto che mi distinguo. Prima vi do le cifre, poi vi spiego il perché.
Fin qui, nel 2013 ho comprato 119 dischi. Probabilmente alla maggior parte di voi sembreranno tantissimi, ad alcuni sembrerà una quantità apprezzabile, e una ristretta minoranza giudicherà questo numero tutto sommato piccolo. A questi ultimi non ho niente da dire, spero si stiano curando con le medicine giuste. Vado avanti per gli altri: di questi 119, 80 sono cd, 37 sono vinili, solo 2 li ho acquistati e scaricati in file digitale. Dunque io, appassionato di musica, dotato di un giradischi di buona qualità, continuo a comprare un numero di cd più che doppio rispetto ai vinili. Per due motivi: primo, per il terrore fottuto che nel giro di qualche anno non si trovino più. Secondo, perché vengono offerti a prezzi così scontati che lasciarli sugli scaffali dei negozi o nel carrello virtuale, mi parrebbe un delitto. Seriamente: negli ultimi mesi ho comprato Mr Tambourine Man dei Byrds a 3 sterline, e Pretzel Logic degli Stleely Dan a 5 euro. Dico, come si fa a tenersi quei soldi in tasca?
Ultima sfilata di cifre: ho comprato 51 dischi in negozio, 42 su internet, 24 sulle bancarelle tra i mercatini e i concerti, 1 in edicola e 1 al supermercato. In termini assoluti, più della metà dei miei acquisti arrivano da canali “alternativi”, ma in termini relativi, i negozi sono ancora in testa alla classifica. Negozi e compact disc: i due condannati a morte restano al centro del mio cuore. Prima conclusione (autoassolutoria): se i negozi di dischi spariranno, non sarà certo colpa mia. Seconda conclusione (autocritica): sono irrimediabilmente fuori moda. Ho scritto questo pezzo con Word97, per dire.
Il prossimo appuntamento è per il 3 Dicembre.