Il debutto dei due musicisti tra rock, jazz, improvvisazione, libertà creativa e anni '70. Partecipano grandi ospiti come Pippo Guarnera, Ivano Zanotti, Massimo Tagliata e molti altri.
Alex Savelli
Polistrumentista e produttore, si dedica alla musica e all’arte fin da bambino, le sue passioni sono il disegno e la chitarra, che pratica da ormai trent’anni, occupandosi principalmente di rock, psichedelia, prog, space ed improvvisazione pura, con escursioni nel mondo del cantautorato con vari nomi e varie band.
Nel 1999 a Londra fonda la band Pelican Milk e realizza vari album in collaborazione con Eddie Kramer, Simon Painter, Paul Chain, David Eserin, Ares Tavolazzi, Massimo Manzi, Andrea Giomaro, Gianpiero Solari, Elyan Fernova e tanti altri. Tra il 2005 ed il 2014 realizza svariati progetti (album, video, cortometraggi, concerti, reading teatrali) con l'associazione Le Nuvole e altre realtà indipendenti.
Due progetti riscuotono particolare interesse: il primo è L’onda, storie italiane di uomini e chitarre (cofanetto libro+cd edito da Pendragon, prefazione di Francesco Guccini), che segna il ritorno di Alex alla collaborazione con l’amico e produttore Danilo Malferrari; il secondo è l’esperienza artistica Gli Arroccati, con esposizioni in tutta Italia.
Nel 2019, insieme al batterista Massimo Manzi, Alex coinvolge fior di musicisti come Ivano Zanotti, Massimo Tagliata, Pippo Guarnera, Antonio Stragapede, Carlo Maver, Luca Fattori, Guglielmo Pagnozzi e tanti altri per l'album Gettare le basi, debutto del duo Savelli/Manzi con Radici Music Records.
Massimo Manzi
Nato a Roma nel 1956, residente a Senigallia, Massimo Manzi è uno dei più affermati batteristi della scena jazz italiana ed europea: da oltre trent’anni è una delle figure più presenti nelle rassegne musicali, con molte importanti formazioni anche di respiro internazionale.
Formatosi come autodidatta, completò lo studio con figure capitali quali studio grazie a stage con importanti capiscuola del suo strumento Max Roach, Elvin Jones, Jack De Johnette, Peter Erskine, Steve Gadd etc. Rilevanti le sue prime collaborazioni (Agorà, Mancinelli Trio, Marche Jazz Orchestra, Lee Konitz etc.). È presente in oltre 160 dischi come sideman (venti dei quali col pianista Renato Sellani, otto in trio con Franco D’Andrea e cinque con Lee Konitz, tutti per Philology), come leader ha pubblicato Quasi Sera (2000 - con Di Sabatino, Bosso, Micarelli, Garofoli, Morganti e altri) e Identità (2007 - con Dave Liebman e Paolino Dalla Porta) per la Wide, infine, Excursion (2017 col chitarrista Muzietti e la star coreana Echae Kang).
Collabora con grandi solisti del jazz come Kenny Wheeler, Pat Metheny, Eddie Gomez, Phil Woods, Massimo Urbani, Eddie Henderson, Benny Golson, Bob Brookmeyer, Tom Harrell, Irio de Paula, Gianni Basso e molti altri. Memorabili concerti a Tokyo con Richard Galliano, a Mexico City, San Juàn e New York con Giovanni Tommaso 5tet. Ha suonato anche con figure popolari quali Antonella Ruggiero, Ian Anderson dei Jethro Tull, Stefano Bollani, Kelly Joyce, Massimo Moriconi, Simona Bencini, Geoff Whitehorn dei Procol Harum, Pippo Guarnera, Jimmy Villotti, Gino Paoli, Fausto Leali, Fabio Concato.
Endorser di prestigiosi marchi del settore percussivo, svolge anche un’apprezzata attività didattica in strutture sia private che pubbliche. Nel 2012 Manzi ha vinto il Readers Poll della rivista JAZZIT come miglior batterista italiano.
Due storie diversissime, due esperienze differenti, finalmente un disco insieme. Sono di più le cose che vi accomunano o quelle che vi differenziano?
Manzi: Sono molte le cose che mi accomunano musicalmente e umanamente ad Alessandro, e le differenze rendono la nostra collaborazione stimolante e mai banale!
Savelli: Fortunatamente siamo al terzo disco insieme, i primi due erano con i Pelican Milk, finalmente è arrivato il primo Savelli/Manzi. Da quando l'ho coinvolto la prima volta in La casa degli artisti (2013) per un disco di improvvisazione pura fino a quest'ultimo lavoro, non abbiamo mai avuto né il problema di cosa suonare, né il problema di cosa parlare. È stato sempre facile fare arte insieme.
Da Gettare le basi emerge una grande libertà creativa, con un dialogo tra jazz, rock e altri elementi. È un incontro costruito e voluto o nato con naturalezza?
Savelli: Libertà! Produco da tanti anni e ogni volta ho bisogno di spinte vere e potenti, altrimenti non inizio o rischio di non finire un disco. In questo caso il grande lusso è stato il tempo (quasi due anni per ultimare il lavoro); lasciar decantare e maturare gli eventi senza forzare, ma aspettando il momento opportuno. Il fatto che siano presenti molti generi musicali è normale per me, non per un prodotto consumer forse, ma lo è per un lavoro vivo. La vita stessa ha tante dinamiche e sfumature, ogni scelta è anche una rinuncia… il giusto equilibrio, come nella vita, è una soluzione ragionevole e praticabile. Ad esempio, gli ospiti da coinvolgere sono arrivati tutti senza forzare, dal momento esatto in cui abbiamo deciso di cominciare a cercare; solo perché avevamo capito, col tempo, che era giusto percorrere quella strada. Penso che solo con Massimo avrei potuto spaziare felicemente dal funky al doom, dal prog al folk, dal jazz all’hard rock.
Manzi: All’inizio avevamo questa idea di partire con la ritmica basso e batteria, e poi sviluppare il resto strada facendo, ma questa seconda parte è stata realizzata quasi completamente da Alex che mi aggiornava passo dopo passo sull’evolversi del progetto. Era già chiaro che sarebbe stato comunque un progetto multistilistico!
Siete in due ma intorno a voi circolano molti musicisti, che avete coinvolto in veste di amici e colleghi che potessero offrire un contributo. È possibile considerarlo un disco corale?
Manzi: Il legante principale consiste secondo me nella compattezza della ritmica, poi ognuno degli ospiti ha aggiunto nuovi colori… difficilmente sarà pensabile di riunire ancora tutti gli ospiti dal vivo…
Savelli: Sono stato felice di trovare tanto entusiasmo nei musicisti coinvolti, felicissimo che la filosofia di Gettare le basi abbia attratto così tanti talenti della scena musicale italiana.
Alex tu sei reduce da un’esperienza importante come i Pelican Milk ma anche dallo spettacolo L’onda che ha girato molto: Gettare le basi prende spunto da questi due progetti?
Savelli: Se è vero che in fondo non si inventa nulla, che i predecessori hanno spianato la strada e ispirato, figuriamoci se le esperienze importanti personali possono influenzare le nostre espressioni attuali… però ogni disco, per quello che mi riguarda, è molto diverso dal precedente in quanto altrimenti tendo ad annoiarmi, ho sempre bisogno di un cimento… il prossimo disco sarà chitarra acustica e voce ad esempio, il seguente sarà un disco hard rock con Ivano Zanotti alla batteria.
Massimo hai oltre trent’anni di attività in area jazz e hai suonato con i più grandi. Che effetto fa rimettersi in gioco con un progetto indipendente e “rischioso” come questo?
Manzi: Non sono nato come “batterista jazz” ma ho sviluppato il mio approccio alla batteria in quegli anni ’70 molto creativi, avendo inizialmente come punto cardinale il rock progressive, ma ascoltando e praticando al tempo stesso molti altri generi musicali. Quindi non ho vissuto come un “rischio” i progetti fatti con Alex, così come in tempi recenti ho ripreso la collaborazione con lo storico gruppo Agorà che alla fine degli anni Settanta fu la mia esperienza importante di musica “d’arte”, alla quale poi è seguita la lunga carriera prevalentemente legata al jazz per la quale sono maggiormente conosciuto e richiesto.
Composizione e improvvisazione. Da che parte sta Gettare le basi?
Manzi: Direi un terzo composizione e due terzi improvvisazione, circa!
Savelli: Concordo, i riff sono stati scritti mesi prima della session di registrazione poi abbandonati e ripresi senza metronomo proprio per gettare basi il più vere e live possibile, dopodiché molto spazio ha avuto l'improvvisazione per non perdere in verità e freschezza.
Invitate l’ascoltatore a dare il suo titolo a ogni brano. Un dialogo col pubblico che è scomparso nell’era della musica liquida, nella quale solo in apparenza la distanza con l’ascoltatore sembra appianata…
Manzi: Questa nostra opera esce in un momento di rivalutazione del vinile, quindi di copertine più generose e stimolanti… c’è voglia in molti giovani di scoprire quello che c’è dietro il brano finito e presentato con solo il nome del gruppo o del leader, chi suona cosa, chi lo ha arrangiato e prodotto eccetera.
Savelli: questa è stata una scelta di produzione importante nata dalla riflessione che troppo spesso i titoli sono inutili, inappropriati o fuorvianti. Sono qualcosa di superfluo per un lavoro che vuole dare spazio all'istinto ed alla libertà espressiva… di qui la parola e lo spazio all'ascoltatore che forse meglio di noi può trovare un titolo "giusto".
L’album è pubblicato da Radici Music: tiratura limitata, packaging di lusso ma dalla fragranza “artigianale”. Quanto è importante per un artista poter sentire e toccare una confezione così bella?
Manzi: Penso sia indispensabile oggi, per indurre il fruitore a non accontentarsi di una copia digitale, proporre una confezione seducente che lo invogli a procurarsi la versione fisica!
Savelli: Aldo e Stefania di Radici hanno lavorato in maniera egregia sia dal punto di vista della grafica che del packaging, abbiamo impiegato un'ora solo per la scelta della carta… io ho portato un'idea e loro l'hanno realizzata veramente ben oltre le nostre aspettative.
Gettare le basi è un’esperienza di studio o troverà un suo prolungamento anche dal vivo?
Manzi: ci piacerebbe proporlo dal vivo, probabilmente con l’ausilio di qualche polistrumentista per mantenere l’organico live a livelli gestibili!
Savelli: È un lavoro perfetto per il live visto che contiene tracce energiche, intense e molto varie, dovremo solo capire come organizzarci per proporre una formazione facile da collocare.