L'agognato cubo di marmo del premio Cramum è stato vinto quest'anno dal pordenonese Ludovico Bomben grazie all'opera Compasso a tre gambe. Nella sezione about della pagina web personale dell'artista, si legge che Bomben, formatosi all'Accademia di Venezia, si è misurato inizialmente con istallazioni ambientali per poi rivolgere la propria ricerca verso gli oggetti, indagandoli dal punto di vista funzionale e formale. Si è occupato e si occupa altresì di grafica, progettazione e design. Per saperne di più su questo giovane promettente, abbiamo deciso di intervistarlo. Ecco cosa gli abbiamo chiesto.
Come nasce l'opera che ha vinto il 7° premio Cramum?
Compasso a tre gambe è un lavoro nato nel 2012 da una visione. Capita che mi raggiungano delle immagini, intuizioni di ʻcoseʼ, che io inseguo fino a che non si fanno più nitide. Così è stato per il mio compasso a tre gambe: la mattina mi sono svegliato con la necessità di produrne a mano un bozzetto. E quel bozzetto è rimasto nel mio studio per tre o quattro anni perché non capivo bene che cosa fosse, una scultura, un oggetto o qualcosa d'altro. Ho fatto delle ricerche e ho scoperto che il compasso è un oggetto carico di simbologie. Mi è parso subito necessario mettere da parte queste simbologie per lasciare in evidenza le sue caratteristiche principali: il fascino di strumento da disegno, il disegno come tramite per stabilire rotte e confini, lo studio della geometria, la precisione, il legame con la sezione aurea... tutti elementi già presenti nel mio modo di lavorare. Ho capito cosa fosse solo la prima volta che ne ho esposto uno: un oggetto che basta a se stesso, il baricentro della mia opera passata e futura. Così ho iniziato a produrre una serie di studi propedeutici, la cui vendita mi ha permesso di finanziare in parte l'opera vera e propria nelle dimensioni in cui me l'ero figurata (cm 250 x 150 x 4 variabili). L'ho presentata al premio Cramum e ...
E dal punto di vista della realizzazione ʻmaterialeʼ?
Per la realizzazione materiale mi sono servito di sofisticate tecniche di produzione industriale contemporanea, grazie alla collaborazione di due aziende del mio territorio, la Lavormec e la Corallo. La prima fase della realizzazione dell'opera è completamente a mio carico: io disegno l'oggetto in sezione aurea, lo trasformo in 3D con dei software specifici e a quel punto esporto le tavole dei pezzi e le consegno alle aziende che dovranno materializzarle. Anche se questa seconda fase non la compio fisicamente io, cerco sempre di presiederla. Nel caso del compasso, la Lavormec si è occupata della lavorazione meccanica (ad esempio, tornitura a controllo numerico e saldatura laser), mentre la Corallo della finitura. Vorrei soffermarmi in particolare su quest'ultimo passaggio: la finitura soft touch, che ho scelto per la mia opera, ha fatto sì che la superficie dall'alluminio del compasso risultasse opaca e assumesse l'aspetto di un velluto. Nella mia ricerca artistica la riflessione sulla natura dei materiali, sugli effetti di superficie, sulle modalità di assorbimento o di riflessione della luce è essenziale.
È la prima volta che stringi una collaborazione di questo tipo con un'azienda?
No, ho realizzato altre opere in precedenza con un modo di procedere analogo, appoggiandomi ad altre realtà artigianali e industriali di Pordenone. Voglio ricordare, ad esempio, la falegnameria De Vecchio, la Dform, la Theke, la Arrmobili. Per la documentazione fotografica, parte indispensabile del lavoro, collaboro con Marco Diodà e lo studio Auber. In sintesi, considero il legame con le aziende fondamentale. Ricordo che quando ero ragazzo giravo le zone industriali in cerca di scarti per realizzare le opere. Ora invece cerco collaborazioni ‘attive’ con le aziende che mi permettano di usufruire di tecnologie avanzate per la realizzazione delle mie opere.
Oltre al premio Cramum hai partecipato in passato ad altri concorsi che ti hanno dato particolari soddisfazioni?
Quando frequentavo ancora l'Accademia di Venezia ho preso parte alla 90a esposizione collettiva indetta dalla Fondazione Bevilacqua La Masa. Fu un momento significativo per me non solo perché vinsi il premio per l'innovazione con il mio video Olinda 70, ma perché ebbi la possibilità di venire a contatto con un'istituzione storica prestigiosa come la Fondazione. Avevo 23 anni ed era quanto di meglio potessi sperare. Poi c'è stato il Premio Fondazione Francesco Fabbri nel 2013 a cui partecipai con la mia prima opera della serie dei bianchi, Il Re, in corian e oro, che mi venne prodotta gratuitamente dall'azienda De Vecchio. La soddisfazione fu di vedermi assegnato il premio Acquisto Rotary Club che mi permise, in qualche modo, di dimostrare che la fiducia riconosciutami dalla falegnameria era ben riposta. Più recenti le mie partecipazioni al premio Ora e al premio Cairo. Nel primo caso mi si è offerta l'occasione di tenere presso la Galleria Marelia di Bergamo due importanti mostre personali, nel secondo di confrontarmi a Palazzo Reale con gli altri artisti emergenti del panorama contemporaneo italiano. In generale posso dire che da ognuna di queste esperienze ho tratto visibilità e nuovi contatti con artisti, critici, giornalisti, collezionisti e musei.
Ci parli di qualche altra tua opera?
Uhm... potrei parlare dell'opera Acquasantiera per introdurre un tema, quello del sacro, su cui sto lavorando nell'ambito di un progetto dal titolo Celeste. Acquasantiera è un oggetto in corian e ottone che ho realizzato nel 2015. Anche questa scultura deriva da una visione, una visione legata a uno dei primi gesti che un cristiano compie quando entra in chiesa: bagna la punta delle dita nell'acqua benedetta. È chiaramente un rimando al primo sacramento, il battesimo. Ma poche persone riflettono veramente su quello che stanno facendo, per questo la mia acquasantiera è un vaso tondo al cui centro spicca una acuminata punta di ottone: la punta catalizza i significati del battesimo e allerta il fedele affinché prenda coscienza che nulla di quello in cui crede può essere dato per scontato. Nell'intento di creare un'immagine sacra contemporanea ho lavorato molto sui materiali, sugli effetti visivi e tattili che volevo ottenere, e mi sono servito, anche in questo caso, di tecniche avanzate di lavorazione industriale per la produzione dell'opera. Ho scoperto che l'arte può armoniosamente coniugare sacro e tecnologico!
Progetti futuri?
Per il momento penso intensamente alla mostra che potrò tenere presso il civico museo-studio Francesco Messina a Milano grazie al premio Cramum. Non sarà una sfida semplice gestire una spazialità - per certi versi - insolita come quella dello studio e dialogare con l'opera del maestro catanese. Sono felice di lavorare al progetto insieme a Sabino Maria Frassà, il direttore artistico del premio Cramum, con cui spero di poter instaurare un dialogo proficuo e duraturo.
Appuntamento presso lo studio Francesco Messina allora?
Appuntamento presso lo studio Francesco Messina!