Nella Roma del Rinascimento la prostituzione era un grave problema, basti pensare che nel censimento del 1526-1527 su una popolazione di 55.035 abitanti si contavano ben 4.900 meretrici. Si trattava per lo più di donne indotte a questa attività dalla povertà, che operavano e abitavano soprattutto nel rione di Campo Marzio.
La corruzione dilagante nell’Urbe era avversata soprattutto in Nord Europa, tanto che il Sacco della città avvenuto nel 1527 fu considerato da tutti un richiamo morale, un monito divino.
Per ridare a Roma la dignità perduta, i pontefici fecero grandi sforzi e investimenti: il clero venne disciplinato ed educato all’azione teologica e caritatevole e fu avviata una vera e propria battaglia contro la prostituzione.
Vennero inoltre costruite chiese, ospedali, confraternite, conservatori, come la “Compagnia delle Vergini Miserabili” che nel 1543 venne approvata da Paolo III con Bolla papale. Pio IV (Medici, 1560-1565) emanò un’ulteriore Bolla papale per la suddetta Compagnia, nella quale si precisava che la struttura del Conservatorio era destinata a “Zitelle figliole per lo più di cortigiane o di donne di mala vita e persone di estrema povertà, le quali o per la poca cura dè loro parenti o per l’angustie della povertà, o per lo malo esempio domestico delle loro madri impure, facilmente poteva scapitare dell’onestà”.
Il Conservatorio si occupava di trasmettere alle giovani ospiti moralità, principi religiosi ed educazione, cercando, dopo un lungo periodo d’istruzione nel quale apprendevano “ogni arte donnesca per ben governare una casa”, di facilitare i matrimoni con uomini selezionati. Allo scopo, in alcune circostanze, soprattutto il 25 novembre festa di Santa Caterina d’Alessandria, le ragazze venivano condotte in processione per le strade del rione Sant’Angelo per essere “scelte” dagli uomini.
La costruzione del Conservatorio delle “vergini miserabili” e della attigua chiesa di Santa Caterina dei Funari si deve al finanziamento del ricchissimo cardinale Federico Cesi, mentre le cappelle all’interno della chiesa furono assegnate a famiglie nobili romane, che dovevano provvedere a commissionare le decorazioni ad artisti di loro fiducia, però sotto la guida iconografica della stessa Confraternita: le immagini avevano, infatti, la funzione di ispirare le giovani del Conservatorio ad affidare la loro vita a Dio. I titolari delle cappelle dovevano inoltre provvedere, sia da vivi che al momento della loro morte, al mantenimento del Conservatorio con lasciti cospicui, in contropartita ottenevano messe nella cappella di famiglia a suffragio delle loro anime.
Qualche anno dopo la fondazione, la struttura ospitava già centoquindici ragazze “sotto la cura di alcune buone et sante matrone”.
La chiesa
Il nome della chiesa di Santa Caterina dei Funari deriva dai fabbricanti di funi e canapi che esercitavano il loro mestiere nel rione XI Sant’Angelo di Roma, utilizzando gli ambienti interrati dei palazzi della zona dove mantenevano i cordami nella necessaria umidità per poterli poi lavorare. È dedicata a Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, martire nel IV secolo sotto il governatore di Roma Massimino Daia.
Una prima chiesa è citata nel 1192 in una bolla di Celestino III; nel 1536 Paolo III la concesse ad Ignazio da Loyola che, nel 1560, propose al cardinale Federico Cesi di finanziare l’opera di totale riedificazione della chiesa e di dedicarla a Santa Caterina d’Alessandria. Il Cesi accettò l’invito, incaricando dei lavori l’architetto Guidetto Guidetti, allievo di Michelangelo, che riuscì a concluderli già nel 1564.
L’imponente facciata del tempio realizzata in travertino si compone di due sovrapposti ordini corinzi di paraste, separati da trabeazione; sull'asse mediano trova posto un portale affiancato da colonne scanalate sorreggenti una trabeazione conclusa da timpano, a cui corrisponde nella parte superiore una grande finestra circolare compresa in una targa quadrata e sormontata dallo stemma Cesi; due ampie volute affiancano l'ordine superiore e un timpano triangolare con una croce al centro e quattro candelabri laterali completano alla sommità il prospetto.
L’opera divenne nella seconda metà del Cinquecento la matrice della maggior parte dei prospetti di facciate delle chiese a Roma.
Nel fregio del primo ordine è straordinariamente posta la firma dell’architetto progettista e direttore dei lavori:
GVIDETO DE GVIDETI ARCHITECTOR
A destra del prospetto principale si trova il campanile, costruito utilizzando i resti di una torre medievale preesistente.
Le cappelle
L’interno della chiesa presenta una navata unica coperta a volta, ritmata da pilastri su cui si addossano paraste tra le quali si aprono tre cappelle absidate per lato. Vi hanno operato architetti di chiara fama, oltre al Guidetti, Ottaviano Mascarino e Vignola, e vi sono collocate opere manieriste e settecentesche realizzate da importanti artisti.
Cappella Bombasi
Gabriele Bombasi (1531-1602) fu un gentiluomo di Reggio Emilia al servizio di Ottavio Farnese di Parma come tutore del nipote Odoardo. Commissionò ad Annibale Carracci l’importante pala d’altare raffigurante Santa Margherita.
Nella cimasa dell’ancona della cappella è collocata un’Incoronazione della Vergine, dipinta con la tecnica dell’olio su tavola dal bolognese Innocenzo Tacconi, assistente del Carracci nella cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo. Ai lati della pala sono collocate al muro due lapidi commemorative datate 1599 con summitale stemma del committente in marmo bianco scolpito e inciso e stucco dorato.
Cappella Canuto
Ai piedi della balaustra marmorea che delimita la cappella si trova la lapide sepolcrale del Vescovo di Oppido Andrea Canuto, datata 1610.
Il catino è ricco di decorazioni con stucchi bianchi e dorati a perimetrare i dipinti di forme diverse (trapezi, rettangoli, cerchi, ovali) con al centro due angeli dorati. Nel catino e nel sott’arco vengono raffigurate le Storie della vita di Maria, realizzate nel biennio 1609-1610 ad affresco da Girolamo Nanni, detto “Poco e Buono”. La pala d’altare raffigura L’Annunciazione, olio su tela copia da Marcello Venusti, datata agli inizi del XVII secolo, sviluppa dimensioni di 250 x 140 cm e, sopra un prospettico pavimento rappresenta la Vergine a sinistra e l’angelo a destra, con dietro la porta dalla quale sembra essere arrivato, mentre sullo sfondo trova posto in alto la colomba dello Spirito Santo e in basso il letto a baldacchino con tappezzeria verde.
Presbiterio. Cappella Cesi
La pala dell’altare dipinta dal senese Giovanni Sorbi nel 1760 raffigura la Gloria di Santa Caterina d’Alessandria. Nella luce soprannaturale che si irradia dall’alto vediamo rappresentato un celebre episodio della vita di Caterina, vergine e martire, vissuta nel IV secolo. Secondo la tradizione, la santa fu sottoposta alla tortura della ruota, ma venne salvata dal miracoloso intervento degli angeli, che spezzarono gli strumenti del martirio.
Le due figure ai lati dell’altare rappresentano, a sinistra Sant’Agostino con il libro in mano, e a destra, Santa Monica con il crocifisso in mano. Sono state dipinte nel 1771-1772 da Alessandro d’Elia. Lo stesso pittore affresca la grande lunetta che chiude la parete di fondo con il Trasporto in cielo del corpo e della testa di santa Caterina d’Alessandria.
Cappella De Torres
Nel pavimento in terracotta della chiesa prospiciente la cappella sono inserite cinque lastre sepolcrali in marmo bianco anche con stemmi in bassorilievo della famiglia De Torres cui apparteneva la cappella. Il progettista è l’architetto Tiberio Calcagni, nato a Firenze nel 1532, morto a Roma nel 1565 a soli 33 anni.
La cappella è anche dedicata a Giovanni Battista, come intuibile dalla pala d’altare raffigurante San Giovanni Battista avvolto in un manto rosso su uno sfondo tenebroso, e dai dipinti laterali raffiguranti a destra la Decollazione di San Giovanni Battista e a sinistra il Battesimo di Cristo, osservato dall’alto da Dio Padre e dalla colomba dello Spirito Santo. Le tre opere descritte e tutti gli altri dipinti della cappella sono stati eseguiti ad olio su lastre di ardesia tra il 1564 e il 1570 da Marcello Venusti, pittore di formazione nordica a Roma che subisce l’influenza di Michelangelo e Sebastiano Luciani, detto del Piombo.
Cappella Ruitz
La cappella fu commissionata da Filippo Ruitz, abate proveniente da Valencia, riconoscibile per lo stemma scolpito sulla balaustra, un leone rampante che tiene un giglio, a Jacopo Barozzi detto il Vignola che la realizzò tra il 1565 e il 1566.
La cappella fu dedicata alla Pietà, tema iconografico deducibile nell’imponente dipinto d’altare rappresentante la Deposizione di Cristo. Il corpo del Nazareno taglia trasversalmente, con il bianco candore del sudario e della carne, l’opera, mentre le pie donne affrante con gli abiti dai colori sgargianti creano un circolo tutt’intorno e macchie di colore.
I pilastri che perimetrano la cappella Ruitz sono dipinti ad olio su lavagna da Federico Zuccari, come testimonia la firma dell’artista che in alto a sinistra scrive: FEDERICVS ZVCCARIS FACIEBAT e a destra: ANNO DOMINI MDLXXI, la data è quindi 1571.
Cappella Solano
Progettata dall’architetto bolognese Ottaviano Nonni detto il Mascarino, presenta nel prospetto, sopra l’arco a tutto sesto di separazione con la navata, una decorazione scultorea raffigurante due Sibille contrapposte in stucco dipinto, quella di sinistra con volto giovane, quella di destra con volto vecchio, ad indicare l’ineluttabile ciclo della vita terrena.
La pala d’altare, serrata da due colonne in marmo nero, raffigura L’Assunzione della Vergine ed è stata realizzata ad olio da Scipione Pulzone, detto il Gaetano. Non fu portata a termine per la morte dell’artista avvenuta nel 1598.
Nella parete destra Giovanni Zanna detto il Pizzica dipinse Santa Lucia raffigurata con il vassoio con gli occhi nella mano destra e la palma del martirio nella sinistra.
Le collezioni di arte sacra
Il Conservatorio di Santa Caterina – IPAB è proprietario dell’omonima chiesa e di una cospicua collezione di reperti sacri e storico-artistici, costituenti la cosiddetta “Collezione del Museo del Pantheon”. Tra i reperti troviamo reliquiari, candelieri, paramenti sacri, cartegloria, paliotti, tronetti.
L’architetto Guidetto Guidetti morì a Roma, nell’autunno del 1564, appena conclusa la chiesa di Santa Caterina e quando è documentata la sostituzione in altri cantieri da lui diretti.