La Gioconda, nota anche come Monna Lisa, forse il più celebre dipinto realizzato da Leonardo da Vinci che attira milioni di turisti tutto l'anno nelle sale del Museo del Louvre di Parigi, non è quella esposta al celebre museo francese.
Non sto dicendo che la versione esposta di quest'opera iconica ed enigmatica della pittura mondiale sia un falso.
No.
Sto proprio dicendo che quel dipinto che tutti al mondo conoscono non è la Monna Lisa, descritta dal Vasari nel Le Vite, né tantomeno quella che in un documento del 1525 che elenca i beni di Gian Giacomo Caprotti, detto Salai, viene per la prima volta menzionata come la Honda.
Si tratta proprio di un altro quadro.
"Nessuna cosa si può amare, né odiare, senza piena cognizion di causa", scriveva Leonardo in uno dei suoi innumerevoli scritti, e mai monito fu più azzeccato.
A oggi gli studiosi ritengono che la Gioconda sia stata dipinta da Leonardo tra il 1503 e il 1506 e sarebbe stata portata con sé in Francia dove, nel maggio del 1517, l'artista viene accolto dal Re Francesco I, col titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi e una pensione di 5.000 scudi.
Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò. Et in questo di Leonardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo.
Così il Vasari descrive l'opera, riferendosi al fantomatico "ghigno" misterioso che ha forse tratto in inganno gli studiosi, dilungandosi poi in una serie di lodi del dipinto, in realtà piuttosto generiche, che lasciano intendere chiaramente che l'opera a cui egli si riferisce non è quella che tutto il mondo oggi celebra e riconosce. Egli infatti fa riferimento alla peluria delle sopracciglia, magnificamente dipinta (ma la Gioconda non ha né peluria e né sopracciglia) e ne esalta le fossette sulle guance (assenti anch'esse).
Pur essendo così attento a descrivere certi particolari del volto, inoltre, Vasari non fa nessuna menzione a due difetti non trascurabili: lo Xantelasma ritratto tra l'occhio e il naso - stranamente sottovalutato da tutti - e un ganglio artrogeno della mano destra, altrettanto evidente.
Due particolari questi che, se letti correttamente, avrebbero da tempo condotto a comprendere il reale significato sotteso al dipinto: non una dama del periodo, ma lo stesso Leonardo nei panni femminili, espressione di un concetto filosofico essenziale in tutte le declinazioni culturali e religiose - il Rebis - che rimanda al matrimonio spirituale interiore.
Vasari allude anche al fatto che l'opera è incompleta.
Ma la Gioconda non lo è.
Non lo è nel paesaggio, che rimanda con estrema precisione al paesaggio lombardo del ramo lecchese del Lago di Como, e non lo è nelle fattezze della protagonista, i cui particolari del viso, del velo e della veste sono invece molto curati e definiti.
Appare chiaro che Vasari stia descrivendo un dipinto diverso da quello esposto al Louvre e che da un appunto di un cancelliere fiorentino, tale Agostino Vespucci, nell'ottobre del 1503 è già ultimato.
Questo particolare innesca un ennesimo dubbio, ovvero per quale assurdo motivo Leonardo si sarebbe scarrozzato per mezza Europa il dipinto della moglie di Francesco del Giocondo.
Ma tutto ciò non deve sorprendere.
L'intera vita di Leonardo, opere incluse, per come oggi viene raccontata è il frutto di grossolane presunzioni, basate su ricostruzioni parziali di molto posteriori e negate in maniera inopinabile da un cospicuo numero di documenti coevi al personaggio.
Basti ricordare che la data di nascita di Leonardo (1452) viene assunta erroneamente e in maniera totalmente presuntiva solo nel 1746. In realtà tutti i biografi che ebbero modo di incontrarlo in vita ci descrivono un uomo ultra settantacinquenne. Su tutti Antonio de Beatis, il segretario personale del Cardinal d'Aragona che lo accompagna a Cloux in visita a Leonardo il 10 e 11 ottobre del 1517. Grazie a lui possiamo dirimere il malinteso sul dipinto del Louvre, oltre a acquisire importanti elementi di carattere biografico. Negli appunti relativi a questo incontro de Beatis fa riferimento a un uomo ultra settantenne, menomato alla mano destra:
In uno dei borghi, il signore e noi altri andammo a veder messere Leonardo Vinci fiorentino, vecchio di più di LXX anni, pittore ecc.mo dei nostri tempi, il quale mostrò a sua signoria ill.ma tre quadri: uno di una certa dona firentina, quadro di pittura bellissima, facto ad istanza del quondam Magnifico Giuliano de’ Medici, l’altro di san Giovanni Battista giovane e uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo de s. Anna, tutti perfettissimi, anche se da lui per essergli venuta certa paralisi su la destra non ci si può aspettare cosa buona.
In questi dipinti non compare la Monna Lisa, commissionata da Francesco del Giocondo. La lacuna non è di poco conto: il Louvre, infatti, riconduce l’acquisto della Gioconda da parte di Francesco I al 1518, unitamente a S. Anna e S. Giovanni Battista, i due quadri menzionati dal de Beatis.
Quando Leonardo muore, nel testamento non lascia alcun dipinto. Il dipinto oggi esposto al Louvre, dunque, non solo non è la Gioconda, ma sappiamo che fu acquisito insieme agli altri per essere esposto a Fontainebleau. È qui che nel 1625 lo vede Cassiano del Pozzo, il quale, per primo e in maniera aleatoria e infondata, gli affibbia l'appellativo “Gioconda”.
Quindi, se il dipinto esposto al Louvre non è la Gioconda, chi è?
In soccorso ci vengono non solo il paesaggio del dipinto, che come ho detto è ineluttabilmente lombardo, ma una prerogativa propria di Leonardo, fino a oggi inesplorata, per cui l'artista era solito dettare nei propri dipinti un'iconografia inedita, modificando i propri stessi disegni preparatori, al fine di includere rimandi paesaggistici specifici.
Lo fa con la Vergine delle Rocce - ambientata nella Grotta di San Giovanni Battista a Laorca di Lecco, che originariamente era una Madonna dei Fusi e assume la forma attuale dettata dal Nibbio, una particolare conformazione rocciosa che sovrasta la grotta stessa - e lo fa con l'Ultima Cena, il cui profilo degli apostoli è dettato dalla sagoma del monte Resegone, reso celebre da Manzoni nell'incipit dei Promessi Sposi.
Leonardo fa lo stesso con la presunta Gioconda, il cui profilo è dettato dalla sagoma del promontorio di Bellagio (che ricorda il profilo di donna), là dove il lago da due diviene uno, in un naturale rimando al Rebis, il matrimonio spirituale che il dipinto sottende e dove spesso Leonardo veniva ospitato insieme a Ludovico il Moro dal Marchesino Stanga, feudatario del luogo.
Un ulteriore rimando al territorio lombardo ci viene da una analisi condotta da Pascal Cotte, che ha evidenziato la presenza di una serie di abrasioni attorno al capo della dama ritratta, non visibili a occhio nudo, che rimandano in maniera chiara agli spadini della Sperada, la tipica acconciatura Lombarda che nell'uso popolare identificava la Promessa Sposa.
Non è un caso che quando Manzoni deve dare un volto ai suoi personaggi, per Lucia, la Promessa Sposa, lo scrittore imponga al giovane incisore Gonin di replicare fedelmente la Gioconda, che egli stesso ebbe modo di vedere de visu nella camera da letto di Napoleone.
Sperada inclusa.
Oltretutto il promontorio di Bellagio unisce idealmente in matrimonio i rami occidentale e orientale del Lario, fornendo un richiamo naturale al senso sotteso all'opera di Leonardo, come descritto anche nel Vangelo apocrifo di San Tommaso:
Allorché di due farete uno, allorché del maschio e della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né femmina, allora entrerete nel Regno dei cieli.
Tornando al diario del de Beatis, troviamo una possibile soluzione al nostro quesito: se non è la Gioconda, quale dipinto di Leonardo è esposto oggi al Louvre?
L'11 ottobre 1517, dalla Residenza Reale di Blois, menzionando le opere in attesa di essere condotte a Fontainebleau, scrive:
Vi era ancho un quatro dove è pintata ad oglio una certa Signura di Lombardia di naturale assai bella: ma al mio iuditio no tanto come la Signora Gualanda."
Ora, io no so dire quanto fosse bella Isabella Gualandi, la Signora Gualanda citata, figlia di un maggiordomo della corte di Alfonso d'Aragona, ma è chiaro che la Signura di Lombardia non ha nulla a che vedere con la fiorentina Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo.
Per tutto quanto sopra esposto, quindi, penso sia più plausibile che il dipinto più celebre, iconico e enigmatico del mondo, che tutti quanti chiamano Gioconda (o Monna Lisa), sia la Signora di Lombardia, la stessa che Antonio de Beatis osserva l'11 ottobre 1517 a Blois, dopo essersi recato nella camera da letto di un anziano e menomato ultra settantenne Leonardo.
La vera Gioconda, che probabilmente assolveva il solo scopo ritrattistico, aveva chiaramente una valenza minore rispetto alla Signura di Lo'bardia, il cui contenuto sostanziale è la sintesi assoluta della conoscenza nel solco della quale Leonardo è stato cresciuto.