Cosa vuol dire oggi essere un “Cantore al liuto”?
Siccome il Cantore al liuto è il più diretto antenato di quella particolare figura di musicista che è il cantautore - o comunque di colui che si accompagna nel canto con uno strumento a corde - riproporre questa dimenticata figura di professionista musicale credo significhi riconsegnare radici culturali importanti a una espressione artistica moderna come quella appena citata sopra. Il cantore al liuto è una figura esclusivamente italiana; nessun interprete finora si era avventurato nella sua fondamentale riscoperta, forse anche per le difficoltà oggettive che pone, e per il fatto che in fondo è necessario possedere e padroneggiare in maniera assoluta due tecniche molto diverse tra loro, quella del canto e quella sullo strumento.
Fai parte di un gruppo di musica antica molto conosciuto, i Micrologus: raccontaci la vostra storia.
Ho sempre ammirato questo ensemble, la loro lettura dell’estetica musicale del passato mi convinceva molto di più rispetto a quella di altri interpreti che pure ammiravo. Suonare ed esibirmi insieme a loro è stata un’esperienza fondamentale nella mia formazione di musicista. Quando tanti anni fa mi cercarono per coinvolgermi in alcuni progetti ero già molto vicino alla musica medievale e rinascimentale sebbene non avessi ancora avuto occasioni così importanti per mettere a frutto la mia esperienza e la mia passione in quel tipo di musica. Fui quindi estremamente felice di entrare nel gruppo con la mia voce e i miei strumenti.
Come è invece l’esperienza con l’Ensemble Bella Gerit?
Bella Gerit è nato da una mia necessità di andare a cercare la musica delle mie radici, nella città di Urbino tutto parla di musica eppure non c’era ancora un gruppo di studio, di ricerca e di interpretazione di quei repertori, così importanti e seminali per la nascita della grande musica italiana a cui si assisterà nel pieno Rinascimento. Con il tempo ho coinvolto in questo progetto, che era nato in una fredda mattina di inverno in completa solitudine, molte altre persone e musicisti di livello internazionale, primi fra tutti un amico, David Monacchi, e mio fratello Enea, insieme ai quali abbiamo dato vita a un'associazione e alla base dell’ensemble, che vanta oggi un'esperienza decennale, varie opere discografiche e numerosi concerti in importanti festival, tutto allo scopo di rendere nota a una sempre maggiore quantità di persone la ricchezza musicale delle terre del Montefeltro.
Sei anche autore di un libro sul compositore tardo-rinascimentale Leonard Meldert. Come sei riuscito a ricostruire la sua biografia, e a proporre le sue musiche inedite?
È stata una esperienza di studio e di ricerca unica, bellissima, che mi ha donato immense soddisfazioni e un sincero amore per la musica di questo misconosciuto autore. Tante volte ho creduto di parlare con lui, quando ho cominciato a trascrivere le sue musiche da me ritrovate negli archivi e dimenticate dal mondo; è stata un’esperienza umana soprattutto, che ho condiviso con la mia compagna Claudia, che instancabilmente mi ha aiutato e incoraggiato nella ricerca. Ricostruire la vita e la maggior parte del percorso artistico di un autore dimenticato della statura di Meldert è paragonabile all’emozione di ritrovare una tela di un pittore come Justus Von Ghent (per essere contestuali). Sto seguendo un percorso di interpretazione delle musiche ritrovate di Meldert alla luce della dottrina retorica, della quale sono completamente intrise, e anche di quella particolarissima prassi esecutiva vocale proposta nella stessa epoca dal pesarese Lodovico Zacconi, trattatista e cantante, anch'egli sottoposto a un’accurata ricerca da parte mia. Quando le prime registrazioni con l’ensemble Bella Gerit vedranno la luce credo che ci sarà abbastanza materiale per ripensare in maniera importante l’esecuzione vocale di fine ‘500. Il mio lavoro su Meldert mi ha dato inoltre l’opportunità di entrare a far parte dei contributor del New Groove, la più grande enciclopedia della musica e dei musicisti, oggi disponibile anche in rete.
Quali strumenti medievali suoni, e com’è suonare questo tipo di strumenti rispetto a quelli moderni?
Suono esclusivamente strumenti a corde, soprattutto a plettro: liuti, citole, guiterne... tutti antenati delle moderne chitarre. Mi sono sempre piaciuti gli strumenti antichi che vedevo rappresentati nei dipinti e nelle miniature, all’inizio per le loro forme inusuali e affascinanti, poi, man mano che li scoprivo e cominciavo a suonarli, per il loro suono caratteristico, evocativo di altre epoche e sistemi di pensiero musicale. Suonare uno strumento antico non è molto differente da uno moderno, certo ogni strumento ha una sua tecnica, che spesso per quelli antichi bisogna ricostruire o inventare. Ognuno di essi ha un mondo, sonoro e non solo, richiama alla mente profumi, colori, evoca visioni e stimola l’immaginazione. Per una persona sensibile a tutto questo come io credo di essere, tutto ciò rappresenta una specie di mondo magico e incantato; personalmente considero i miei strumenti più come degli amici che dei semplici pezzi di legno con le corde, come magari a qualcuno potrebbero apparire.
Quando è nata la tua passione per questo tipo di musica e per il canto, e dove hai studiato?
La passione è nata quando, da molto giovane, cominciai a cantare in un coro locale dove si praticava già la musica medievale e rinascimentale. Al direttore di quel piccolo coro di ragazzi non professionisti devo il mio percorso nella musica antica, infatti ne rimasi incantato ed entusiasta fino al punto di decidere che avrei fatto questo di mestiere. In seguito ho studiato con molti maestri, importanti e bravissimi, ma il mio più sincero ringraziamento adesso va sicuramente a mio padre, che fu il mio primo maestro di chitarra, e al M° Ciaschini, il direttore del mio primo piccolo coro di provincia, e alla sua sincera capacità di trasmettere l’amore per un certo tipo di musica.
Ti sei esibito in molti teatri in Europa, puoi citarne qualcuno e raccontarci qualche episodio significativo del tuo rapporto con il pubblico?
Ho suonato e cantato in moltissimi teatri e sale da concerto in tutto il mondo, ma non potrò mai dimenticare, ad esempio, il Teatro dell’Opera di Damasco e il pubblico siriano, o il teatro romano antico nell’oasi di Palmira, in mezzo a un deserto sconfinato, dove poi alla fine non si poté fare il concerto, ma solo le prove. In merito al mio rapporto con il pubblico mi tornano alla mente incontri evanescenti del passato, specie di quando da ragazzo facevo le mie prime esperienze sui palchi di piccolissimi locali in situazioni di paese: ricordo quasi come fantasmi tanti personaggi che allora mi incoraggiarono a continuare, a non mollare mai, a credere in quello che ero e che facevo, a credere nei sogni proibiti; tutti questi custodi senza nome e senza ormai più volto, oggi non posso che ringraziarli. Ma di certo l’episodio più significativo di tutti è stato l’incontro con Claudia, la mia compagna di vita, avvenuto proprio in seguito a un concerto di musica medievale che tenni anni fa con Micrologus, a Narni.
Come reagisce il pubblico alla musica antica? Quale target ti segue?
È sempre degno di nota sottolineare l’enorme differenza nella fruizione della musica (antica in questo caso) tra il pubblico italiano o mediterraneo, e quello del nord Europa. Al nord il pubblico ti accoglie sulle prime con freddezza, non fa nulla per metterti a tuo agio, ha spesso un'espressione dura e indagatrice. Però man mano che il concerto o lo spettacolo si svolge, ti accorgi che i cuori si stanno scaldando, le espressioni del visi si rilassano, molti seguono la musica a occhi chiusi, e alla fine ti regalano un calore e una riconoscenza che esplodono improvvisamente, come una diga che si rompe. Questa è sempre un’esperienza interessante e gratificante. Molto diverso è il pubblico italiano che spesso resta su uno standard di gradimento più regolare e raramente soggetto a tali picchi di entusiasmo.
A Narni, in provincia di Terni, hai costituito un’associazione chiamata LaPoliedrica, che cura tra le varie attività anche i Narnia Cantores. Cosa rappresenta questa iniziativa per l’Umbria?
Insieme a Claudia, che è residente a Narni, abbiamo pensato di creare un’associazione che potesse in qualche modo promuovere, in una città perfetta in quanto medievale, la ricchezza e la bellezza della musica antica. Grazie al nostro impegno e al senso di partecipazione di una parte sensibile della cittadinanza, si è quindi formato lo scorso anno il coro polifonico municipale Narnia Cantores, un gruppo vocale a voci miste che intende specializzarsi sui repertori musicali medievali, soprattutto locali. Questa iniziativa è stata ed è sempre aperta a tutti coloro che amano la musica e che desiderano avvicinarsi in modo attivo ad essa: non sono richieste particolari abilità vocali e neppure la capacità di lettura dello spartito, infatti il mio approccio all’insegnamento è esattamente quello degli antichi maestri medievali, che trasmettevano oralmente i brani ai loro allievi, che li apprendevano a orecchio. La nostra esperienza si basa quindi sull’educazione alla presenza al suono proprio e altrui, sulla condivisione della bellezza e sul reciproco scambio umano. Ognuno di noi una sera a settimana lascia le sue abitudini domestiche per venire a incontrare altri compagni di viaggio, con i quali intraprende un cammino di apprendimento e di scambio; credo che soprattutto questo sia il significato della musica, con la sua unica capacità di legare le persone, di creare eventi fuori dal tempo e da ogni regola costituita, di reinventare una magia sociale che tutti sempre più stiamo perdendo.
Potremmo definirti il Petrarca di oggi, visto che anche lui era un cantore al liuto?
Pur essendo in linea teorica corretto sarebbe senza dubbio troppo onore, Petrarca è in assoluto e di gran lunga il mio poeta preferito, colui che ha saputo mettere a fuoco lati del mio essere che neppure io stesso saprei definire. Non si dimentichi che Petrarca scrisse un Canzoniere - di cui tra l’altro interpretai vari brani in una registrazione di qualche anno fa - e che tali componimenti poetici erano molto probabilmente pensati per essere cantati, più che recitati. Ogni volta che sento recitare i suoi versi trovo che gli venga fatto uno sgarbo. Degno di nota è anche il fatto che Petrarca, nel suo testamento, lasciò e raccomandò a un caro amico il suo liuto perché se ne prendesse cura; è perciò un’ipotesi piuttosto realistica che, proprio con l’ausilio del suono di quello strumento, egli compose i suoi più bei versi.
Per maggiori informazioni:
www.simonesorini.it
www.bellagerit.it
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