“Ciao, come stai?” “Così così, tiriamo avanti” è la risposta. Un italiano non dirà mai: “Sto benissimo”, o “Tutto va a meraviglia”. In Italia, le persone tendono ad aver timore di scatenare invidie e gelosie quindi cercano di mantenere le notizie su se stessi un po’ sotto tono. Secondo una diffusa credenza, l’invidia è alla base del malocchio, l’occhio malefico, dalla combinazione di male e occhio. Il malocchio è una sorta di maledizione trasmessa attraverso lo sguardo, da qui l’etimologia, e in molte cullture si crede possa causare malattie o sfortuna alla persona cui è diretto.
Le origini del malocchio si possono rintracciare almeno cinquemila anni fa nella regione dei Sumeri in Mesopotamia, poi a Babilonia e nel Golfo Persico (1400 AC), e presso gli Egiziani della ventesima dinastia (1200 AC). I Caldei e gli Assiri credevano nel malocchio e nei loro monumenti erano scolpiti diversi scongiuri (interessante notare che la parola scongiuro, quel rituale per respingere il malocchio e altri incantesimi, non esiste nella lingua inglese. Sul dizionario troviamo questo termine tradotto con esorcismo, toccare legno, miracolo, segno, ma nessuna di queste parole è la traduzione precisa di scongiuro. Lo scongiuro è un gesto, una parola, un ritual per invocare forze soprannaturali che sconfiggano la forza malefica). Sia i Persiani, che lo chiamavano occhio salato, che gli Indiani dell’antichità credevano nel malocchio e alcuni poeti Vedici scrivono di sguardi che recano sfortuna o lanciano una maledizione. Da queste popolazioni questa credenza passò ai Greci e poi ai Romani i quali punivano con la pena capitale chi fosse ritenuto responsabile di aver recato danno, attraverso una maledizione, a persone o alle messi.
Anche testi sacri come la Bibbia, il Talmud e il Corano fanno riferimento al malocchio: “L’uomo cupido diviene ricco e non pensa che il malocchio cadrà su di lui” (Libro dei Proverbi, 28:22), “Chi entra nella città e teme il malocchio (ayin hara in ebraico) si pizzichi la mano destra con il pollice e dica “Io XY, figlio di ZX, provengo dal seme di Giuseppe e non sono dominato dal malocchio” (Talmud), “Cerco riparo nel Signore dell’Alba...dagli incantesimi malefici e dal male dell’invidia quando è invidioso” (Sura 113, Corano).
Anche Esiodo e Platone menzionarono il malocchio e Plutarco postulò che era la manifestazione di raggi mortali che scoccavano come frecce dalla parte più profonda del corpo. Plinio il Vecchio scrisse un elenco di amuleti che dovevano funger da medicus invidiae, medico per l’invidia. Il malocchio probabilmente trae le sue origini dalla mitologia. Lamia, bellissima regina della Libia, fu amata da Zeus e generò dei figli. Era, moglie di Giove, ne venne a conoscenza e, inferocita, uccise tutti i figli di Lamia. Quest’ultima, disperata per la grave perdita, divenne invidiosa di tutte le donne incinte e iniziò a uccidere tutti i neonati. Zeus, impietosito, donò a Lamia il potere di togliersi gli occhi a piacimento per non vedere i bambini. Questo potere le permise di sviluppare una capacità intuitiva e i suoi occhi si dotarono di una forza magnetica e magica.
Andando avanti di parecchi secoli, nel Rinascimento molti filosofi studiarono a fondo questa credenza. Gerolamo Cardano che traesse origine da cause fisiche e psicologiche. Tommaso Campanella e Sir Francis Bacon giustificavano questa superstizione esaltandone peculiarità autoctone. Bacon scrisse, inoltre, che il potere malefico di alcune persone traeva la sua forza dall’invidia che fungeva da motore spingendo l’individuo a guardar male mentre augurava sfortune.
Ancora oggi la credenza nel malocchio è diffusa in Medio Oriente, Africa Occidentale, America Centrale, Messico, Asia Centrale e gran parte dell’Europa a eccezione dell’Inghilterra e degli USA che ne sembrano immuni. Il malocchio è visto come un rimedio o un’arma della gente invidiosa e implica la volontà di recare danno. La definizione che ne offre il vocabolario è “potere malefico attribuito dalla superstizione allo sguardo di certe persone”. Ci sono due forme diverse di questo fenomeno: il malocchio e l’affascino, una fascinazione attraverso lo sguardo cattivo. Entrambi traggono origine dall’invidia, mentre il primo ha esclusivamente intento malefico, il secondo può derivare anche da un’ammirazione innocente, seppur velata da invidia, delle virtù delle fortune di un altro; entrambi provocano malessere e sfortuna.
Gli anziani anche oggi mettono in guardia dai troppi complimenti ed esortano a usare amuleti o recitare preghiere: corni, ferri di cavallo, gobbetti, aglio, peperoncino, o anche tirare sale dietro le spalle. In Sicilia le case venivano purificate col sale che era tenuto in sacchettini dentro gli armadi, in mucchietti lungo il perimetro della casa o almeno ai quattro angoli. Ci sono anche preghiere e filastrocche come quella famosa napoletana: “Aglie, fravaglie (pesciolino simbolo di Cristo), fatture ca nun quaglie, corna, bicorna, cape ‘e alice e cape d’aglio”.
Secondo antiche tradizioni il malocchio provoca mal di testa, nausea e perdita di energia. Quando qualcuno crede di soffrire di inspiegabili sfortune e presenta i suddetti sintomi, cercherà di avere una “diagnosi”. Di solito una vecchia, che ha ricevuto la conoscenza in una notte di Natale, prende un piatto colmo d’acqua e vi fa cadere tre gocce d’olio: se l’olio si frammenta e si mescola quasi con l’acqua, la persona è di certo vittima del malocchio, se invece le gocce si allargano non c’è stata maledizione. Nel primo caso, per liberare la vittima dal malocchio si effettua un rituale con uso di latte ed erbe come la ruta accompagnato da preghiere e alla fine si segnava la vittima sette volte con la croce fatta con un dito bagnato nell’olio mescolando religione e superstizione.
L’ uso di erbe contro il malocchio si trova anche nell’antica Roma, il basilico, e a Cipro dove ancora oggi si bruciano foglie di ulivo. In Sardegna contro il malocchio si usava un gioiello chiamato, a seconda dei luoghi, So Kokku o Sabegia. Si trattava di una pietra incastonata tra due decorazioni d’argento, di solito la pietra era un’ossidiana ma venivano usati anche il corallo e l’onice che avrebbe protetto la persona assorbendo quello che in Sardegna è chiamato “s’ogu malu”, malocchio o “mazzinas”. Quando le decorazioni cadevano voleva dire che la pietra era satura di energia negativa ed era tempo di sostituirla con una nuova e pura. Questo gioiello era prima “caricato” di “brebbus”, sardo per parola o verbo, e poi le mamme, nonne o madrine lo regalavano alla futura sposa o alla futura mamma che lo avrebbe portato vicino al cuore o vicino al pancione per protezione.
Tutti possono essere vittime del malocchio o dell’affascino, per il secondo un bacio o sputare mentre si recita una preghiera particolare sono considerati mezzi immediati di difesa. Il bacio tuttavia è anche un mezzo per causare l’affascino. Nel 1722 il Tribunale del Santo Ufficio accusò una tale Camilla Rubino di praticare la fascinazione e, disse l’accusa, in particolare, rafforzò l’affascino grazie a complimenti e baci: “la baciò tre volte sul viso e in quello stesso momento Anna Maria sentì tre punture profonde nel cuore come fossero tre chiodi [...] e da allora divenne ansiosa, perse l’appetito e riusciva solo a bere acqua [...] dopo dodici giorni la suddetta Camilla tornò a casa di Anna Maria, la baciò di nuovo tre volte facendole così ritornare immediatamente l’appetito. Solo l’utero rimase gonfio ma si sgonfiò poco dopo”.
Il malocchio fa talmente parte della cultura italiana che nel 1983 venne fatto un film con Lino Banfi e Johnny Dorelli, si chiamava Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio ed era una satira della superstizione.
Il malocchio non è solo una superstizione ma una grande impresa. Secondo le statistiche il giro d’affari intorno alla superstizione e alla magia nera è miliardario. Codacons afferma che ci sono oltre 160.000 persone che operano in questo campo e 13 milioni di italiani (uno su quattro) ne richiedono l’aiuto. L’utenza non fa differenza per età, reddito o sesso; quaranta percento sono tra i 35 e i 55 anni, dieci perento sono adolescenti. In Italia c’è anche un sito web con un tariffario: fare il malocchio costa mille euro, toglierlo ne costa ottocento. In realtà i costi sono molto più elevati e molti sono stati truffati pagando centinaia di migliaia di euro a maghi e pseudoguaritori.
Molti siti internazionali vendono amuleti contro il malocchio a prezzi che vanno da pochi euro a centinaia di euro pubblicizzando anche l’intervento di esperti monaci tibetani per una protezione interculturale. Sembra più salutare e meno costoso, come consigliano alcuni, di proteggersi dalle energie negative immaginando di essere come uno specchio e rimandare il malocchio al mittente. La religione, in una continua contaminazione di sacro e profano, è sempre pronta a correre in aiuto e un vecchio detto siciliano ci ricorda di recitare questa preghiera quando ci si sente guardati con occhi cattivi: “Supra ri tia, ca supra ri mia ci sta Gesù, Giuseppe e Maria” (Su di te, perché su di me ci sono Gesù, Giuseppe e Maria), seguito dal segno della croce. Alcuni aggiungono anche le corna, fatte con indice e mignolo, per essere doppiamente sicuri.
Divertente sapere che la campana al collo delle mucche trae la sua origine dal pensare che col suo suono tenga lontani gli spiriti cattivi mentre gli antichi Romani attaccavano tante campanelle a simboli fallici in rame o ferro che venivano appesi accanto alla porta di casa, molti bellissimi esempi si possono ammirare al museo archeologico di Paestum in provincia di Salerno. Oggi tanti non credono più alle superstizioni ma i simboli di buona fortuna sono ancora indossati e diffusi perché… “Non è vero ma ci credo”!