Quel poco che ho vissuto con te vale più di cento anni d'amore.
Anch'io muoio con te Marianna perché senza di te il mio cuore non conoscerà più amore.(Sandokan, finale dello sceneggiato televisivo, 1976)
Le tecniche narrative dello sceneggiato televisivo della Rai del 1976-77 vanno oltre l'esigenza di generare un senso di “suspence” in quanto sembrano veicolare quelle dinamiche che Gilbert Durant chiama “movimenti archetipali endostrutturali” e che qui si ridefiniscono quali “dinamiche a specchio”, cioè simmetrie a concordanze narrative dialettiche fra il personaggio-ruolo di Sandokan e quello di Marianna. Sandokan inizia ad invaghirsi di Marianna “a distanza”, quando apprende dal comandante olandese la cui nave ha saccheggiato e affondato che l'organo portatile che vorrebbe suonare (senza riuscirci) era destinato a Marianna, “la Perla di Labuan”. Sandokan non è interessato al bottino materiale, e vuole infiltrarsi nel centro di Labuan, controllato dall'odiata “Compagnia inglese delle Indie”, non solo per minare gli interessi inglesi ma anche, lo lascia capire il suo sguardo, per conoscere l'ammirata fanciulla che già fa parlare di sé per la sua bellezza.
Alla vita selvaggia dell'eroe malese mancano delle mani femminili che suonino armonie sconosciute. Il covo è archetipo femminile, che reclama, come ogni grotta, una ninfa. Marianna inizia ad agire come personaggio ben prima di essere vista nel racconto visivo, come lo stesso Sandokan, da molti descritto e citato prima di comparire eroicamente nella sua nave di ritorno a Mompracem con i due principini salvati. Sono loro a chiedere il nome del loro salvatore. È chiaro ormai a tutti che quell'uomo sulla nave che riporta a casa i principini sequestrati dagli inglesi è Sandokan ma viene appositamente rallentato al massimo il momento della rivelazione del Nome! È l'infante liberato, novello Parsifal, che chiede e ottiene la rivelazione epifanica del Nome. Marianna sembra un fantasma.
Come Nausicaa Marianna salva l'eroe naufrago con il suo corteo femminile. Sandokan come Odisseo, salvato sul bagnasciuga da una donna. Nel delirio della febbre dell'eroe in bilico tra la vita e la morte l'esangue Marianna, figlia del Nemico, compare come una presenza di sogno, sussurrante, evanescente. Si allontana quando Sandokan è sveglio. Suona per lui. Mentre Sandokan dorme o delira lo assiste silenziosa. Sandokan allettato ricorda il Cristo morto del Mantegna e la foto di Che Guevara, espressioni dell'archetipo dell'eroe intatto e vittorioso, vicino al compimento dell'Opera.
Alla sua festa di compleanno la Fanciulla si presenta pubblicamente vestita alla malese, con un chiarissimo richiamo erotico-sentimentale per lo straniero ospite, in quanto si tratta di un vestito scandaloso per la cultura inglese vittoriana, moralista, elitaria e razzista. Eppure rifiuta l'anello che Sandokan le dona. Il giorno dopo il nostro eroe, ridotto quasi antieroicamente in una confusione febbricitante da “malattia d'amore”, fugge a cavallo due volte: prima si allontana per cercare di liberarsi dall'ossessione per la bella giovane inglese. Poi la vede presso la capanna di un guru, abbellita dal segno di Shiva tra gli occhi, e allora rifugge ritornando nella tenuta del Nemico.
Perfetta la simmetrica del meccanismo visivo-narrativo: mentre Marianna si toglie con la mano il segno postole dal guru anche l'eroe sul cavallo bianco svanisce, cavalcando via. Letteralizzazione fisica della metafora: il pallino rosso quale visualizzazione di una canalizzazione fisica dell'immagine della passione, unica e reciproca. Altra fuga inquieta la compie l'eroe quale “cacciatore cacciato” quando Sandokan offre a Marianna l'uccisione della tigre, suo doppio simbolico, quale sacrificio d'amore. Abbiamo allora una triplice caccia simbolica in quanto la doppia tigre, maschio e femmina, sono inseguite prima degli altri da tre figure: Tremalnaik, il colonnello Fitzgerald e Sandokan stesso. Una trimurti simbolica: il selvaggio totale, il suddito imperiale, l'eroe ribelle innamorato.
Come in ogni caccia d'amore progressivamente si giunge all'identificazione fra cacciatore e cacciato, come nel racconto di Sant'Uberto e Sant'Eustachio e nella storia di Titurel, per cui Sandokan vittorioso si trova all'improvviso in trappola quale tigre umana braccata e inseguita. Anche Marianna da cacciatrice diventa preda, prima di Sandokan poi del suo mondo inglese che più non le appartiene e rivela tratti artemidei quando si allontana dal gruppo inglese a cavallo, sola nel mezzo della giungla, per raggiungere il suo amato, come a volerlo ora salvarlo dalla tigre stessa, cioè dal suo totem ancestrale, da se stesso.
Liberato dagli inseguitori inglesi l'eroe temporaneamente svanisce e ora è Marianna, ritornata nella sua vita borghese, a manifestare i sintomi della “malattia d'amore”, della febbre che spossa l'anima. Il varco tra i due mondi sarà visualizzato dalla povera capanna del guru solitario che quando scompare rivela l'epifania dell'eroe. Marianna, nome magico: lo stesso dell'amata di Robin Hood, di Alice chiamata così dal coniglio bianco, e della donna allegorica che impersona la Francia.
Dove passa Marianna si compiono riti sacrificali: l'inseguimento di Sandokan smascherato si rivela una strage, la sua scorta viene in seguito massacrata da un Sandokan ritornato per offrirle di vivere con lui, che poi si sacrifica sulla nave arrendendosi a Brooks per salvarla, per preservare la muta polena, la Sirena che è la Nave. Il prezzo per ascoltare quell'organo suonare nel covo del pirata è alto. Il ritorno sembra sempre rimandato. Marianna e Sandokan non riescono a stare insieme a lungo. Ci vogliono tre fughe e tre ritorni di Sandokan per riuscire a portarla a Mompracem. E anche allora Marianna appare figura fantasmatica, evanescente, fuori posto, reale solo dentro una malattia. Alla terza strage boschiva, quando muore il doppio di Marianna, il colonnello Fitzgerald, Marianna mentre viene portata dalla carrozza verso la sua partenza per l'Inghilterra molti cerbiatti compaiono, ad indicare che Marianna è epifania di Artemide. Diventa per un anno la “ninfa della grotta” che mancava all'eroe, la Mnemosyne di Hermes, la nuova Nausicaa che salva e cura sulla riva del mare i guerrieri feriti e infettati dal colera, come già salvò Sandokan.
Marianna come Ecate e Artemide resta immagine di soglia, perennemente in transito e la cui presenza richiede un sacrificio. Non c'è casa nel covo di Mompracem. I due non possono convivere stabilmente perché Sandokan incorpora l'elemento del fuoco e del vento mentre Marianna, in quanto ninfa, abbisogna delle acque e della terra. Ma questa radice non può essere in Mompracem, confine fluido e vagante, Patria ma non casa! La Ninfa resta distante e la distanza fra lei e l'eroe non può essere colmata da nessun sacrificio dell'eroe. A Marianna Sandokan sacrifica la sua dignità di eroe, la pericolosa tigre, decine di soldati di scorta sia inglesi che malesi e la Ninfa accetta questo sacrificio ma l'eroe resta se stesso, non comprende i suoi mondi della musica e della guarigione.
Sarà il sacrificio finale della Ninfa (sempre le Ninfe muoiono in fuga) a incorporarla per sempre nel cuore di fuoco della Tigre della Malesia, a farne terra di sogno inattaccabile. Ares e Artemide non si amano mentre Ares e Afrodite solo di nascosto e per poco tempo possono amarsi. La rete di Efesto li cattura sempre.