Un pastore di nome Icario un giorno ricevette in dono da Dioniso: il segreto del vino. Condivise la scoperta con i compagni, ma questi, turbati dagli effetti del misterioso nettare e pensando di essere stati avvelenati, si accanirono contro di lui fino a ucciderlo. A scoprire il cadavere fu la figlia Erigone, la quale, incapace di reggere al grande dolore, si impiccò. Prima di compiere il gesto disperato, la ragazza lanciò una maledizione: da allora, ogni anno in quella stessa ricorrenza, tutte le vergini di Atene si sarebbero impiccate, fino al giorno in cui la morte di suo padre non fosse stata vendicata. Gli ateniesi per molto tempo dovettero assistere impotenti alle periodiche ondate di suicidi delle loro amate figlie, poi decisero di rivolgersi all’oracolo di Delfi. Il dio indicò loro come mettere fine alla catena di morte: avrebbero dovuto istituire un gioco che sostituisse simbolicamente il gesto dell’impiccagione.
Ecco come nacque l’altalena, un gioco ricchissimo di implicazioni rituali. Ma forse già il mito di Erigone era il retaggio e la rivisitazione di culti più remoti, riti preellenici in onore della grande madre mediterranea, che alludevano al rapporto agrario fra morte e rinascita e a liturgie di rigenerazione e fertilità. Cerimonie di cui probabilmente recava traccia anche la tauromachia cretese, la competizione nella quale giovani acrobati e danzatrici flessuose volteggiavano fra le corna del toro, rappresentazione della falce scintillante della luna. Ed è proprio l’isola di Creta ad avere restituito le primissime raffigurazioni della dea in altalena, un simulacro dai tratti primitivi e materni che si diletta nel dondolio liturgico del suo gioco sacro.
Ma la storia di Erigone ci parla anche dell’impiccagione come morte dionisiaca e lunare di tante celebri figure femminili del mito greco: quella dell’Artemide “appesa” della tradizione arcade, di Arianna, sposa del dio, che in una delle versioni della leggenda che la riguarda si era impiccata a Cipro. Lo stesso dicasi per Fedra, sua sorella, e per Elena che, nella sua identità di antica dea arborea, in Laconia era detta “dendrite”. Per onorare questa signora della vegetazione, a Sparta le fanciulle intrecciavano danze per poi lanciarsi sull’albero e appendersi ai suoi rami, continuando a celebrarla in un gioioso dondolio sincronico e corale. Sembra quasi che la morte per sospensione rappresentasse una forma di immolazione congeniale a dee e eroine; in realtà, è possibile che non si trattasse di divinità datesi la morte col laccio, bensì sospese ai rispettivi alberi totemici in forma di simulacri. Quel moto oscillante è stato forse il primo gioco divino e la luna la patrona di questa pendulazione sacra che ne richiama la forma della falce.
Nel mito di Erigone, l’ebbrezza di quel movimento oscillatorio è ricondotta a Dioniso e al vino; la prima danza rituale fu dunque una danza macabra che cattura il pericolo della mania divina portata dal dio, oscurando apparentemente i significati di rinascita e rigenerazione. Che tuttavia si sarebbero simbolicamente riproposti con l’istituzione delle feste ateniesi chiamate Antesterie, o Antiche Dionisie, celebrate al primo sbocciare della primavera. Nel Giorno delle Brocche si travasava il vino: era allora che le fanciulle si abbandonavano libere al gioco delle altalene, le Aiòra, per rievocare il sacrificio di Erigone, la morte e la vita integrate nell’archetipo dionisiaco, Eros e Thanatos si congiungevano nell’ebbrezza dei sensi, in una festa dai chiari connotati sessuali, che chiamava le vergini a farsi baccanti per un giorno per prepararsi all’incontro con questo dio portatore di turbamento e liberazione.
Allo stesso tempo, nella discesa e nella risalita del volo lunare, si consumava l’eterno dramma di Persefone, il misterico e ciclico inabissarsi e rinascere della dea, con la sua annuale discesa e risalita in superficie. Così, la spinta energica che slanciava verso l’alto si trasformava in un rito propiziatorio di fecondità, simulando la crescita vegetativa.
Perché l’altalena sarà solo un gioco, ma un gioco arcano, una pratica estatica che fa gioire il corpo. É l’esperienza dell’ebbrezza, del panico voluttuoso, della vertigine che i greci chiamavano ílinx, il turbine che conduce sulla soglia del vortice che inghiotte, sull’orizzonte di una dimensione in cui forze ingovernabili prendono il sopravvento sul controllo della ragione. Il regno di Dioniso, a cui l’anima anela ma a cui la psiche fa resistenza. E la traiettoria dell’altalena ne scandisce il tempo, come un pendolo ipnotico. Contrae ed espande, risucchia e slancia, sfiora la terra per ritornare su nel cielo, allineandoci al respiro dell’universo.
Quel brivido di piacere è il volo magico concesso agli umani.