Mia madre aveva l'abitudine di indicarmi le chiese e i palazzi antichi di Cremona, infarcendo le descrizioni di dettagli storico-artistici, evoluzione naturale del raccontare le favole ai bambini. Un giorno aggiunse: "Vedi, è come se il tempo si fosse fermato; se tu fossi nato 400 anni fa, dal punto in cui sei adesso, staresti vedendo la stessa cosa". Stando ai suoi racconti, io avrei aggiunto: "E prima di 400 anni fa?"
Lei sorrise - stupita e perplessa - aggiungendo che non ci aveva mai pensato. Nel corso del tempo ci ha sempre tenuto a ricordarmi che avevo 5 anni e mezzo, ultimo anno d'asilo: era il Maggio del 1968, e fu l'originale contributo di un bimbo alla rivolta studentesca.
Sono assolutamente sicuro che quello che sto per fare nasce da lì, da quella mia primordiale osservazione. Ho avuto da sempre il sentore che tutto fosse irreale, artificiale, modificato, immaginario; anche davanti a opere dell'uomo strabilianti ho sempre percepito questo senso di estraneità, come se riconoscessi al pianeta il diritto atavico di stabilire le regole, di disegnare le linee del paesaggio senza la mediazione del fottuto 'uomo bianco.'
La facciata di un pur incantevole palazzo del Cinquecento cremonese, per quel bambino rimaneva un magnifico sfregio alla natura.
Tranne la passione per letteratura, storia e geografia, sono stato un pessimo studente da ragazzo. Riuscivo a memorizzare luoghi, date o formule matematiche, ma la mia mente si collegava instancabilmente a interrogativi che affioravano in me, dal basso, da gambe e talloni non dal cervello. Non era rilevante cercare di capire il motivo per cui Annibale - arrivato a pochi chilometri da Roma - non l'avesse attaccata e distrutta; al contrario io, come una guida pellerossa Cheyenne, volevo solo sapere il punto preciso in cui fossero passati i suoi uomini, per raggiungere la val Trebbia o Canne. Non mi colpivano i successi di Alessandro Magno, volevo conoscere quali strade avesse percorso con i suoi soldati per arrivare in Oriente, volevo mettere i miei piedi esattamente dove li aveva messi lui, sognando di trovare un'impronta come quella lasciata da Neil Armstrong sulla Luna nel 1969.
Il cammino, il movimento, i collegamenti su cui far passare uomini, animali, armi e cucine da campo, questa era la mia ossessione. Questo richiamo si è poi spostato sulla relazione corporea tra l'uomo e gli spostamenti, sul programmare un viaggio che oggi c'impegna due ore mentre una volta necessitava diverse giornate.
Forse è per questa somma di domande cominciate all'asilo, che mi sento come un mutilato in gabbia intanto che percorro la Tangenziale Ovest sulla mia auto inquinante. Per questo motivo ho deciso di dedicare i miei prossimi anni di vita a spostarmi come facevano le persone nel IV e nel III secolo a. C.
Non ci saranno tempi da rispettare, nessun record da battere, solo l'ascolto di arti, nervi e talloni. Rientrerò nel tempo, in quello che mi è stato assegnato dalla biologia, dal nostro corpo, dalle masse muscolari. Sarà una danza ritmata da luce-buio, vento-acquazzoni, sole-foschia, temporale-arcobaleno.
Per arrivare a questo ho convissuto con i Viaggi in Italia di Montaigne (1580-1581), Goethe (1786-1788), l'archeologo Pietro De Lama (1790-1791), Hippolyte A. Taine (1864), fino a Guido Piovene (1953-1956) e anche quelli meno celebrati di Giuseppe Maria Galanti e le sue Relazioni sulla Puglia (1791), di Lorenzo Mascheroni col Viaggio da Pavia a Napoli (1791), le Lettere scritte nel mio viaggio d'Italia e di Sicilia di Bartolomeo Gamba (1801-1802), il Viaggio in Molise (1810) di Vincenzo Cuoco, la Relazione del viaggio fatto in alcuni luoghi d'Abruzzo (1832) di Michele Tenore.
L'Italia è cambiata non solo dai tempi di Montaigne ma anche da quelli relativamente recenti di Piovene. Si è trasformata in un paese dominato da automobili e tangenziali, centri commerciali e aria condizionata, parabole satellitari e aree industriali, ingredienti fissi e accettati delle nostre giornate, un campionario di elegante desolazione umana.
Guarderò cosa è oggi l'Italia fuori dalle rotte più battute da commercio e turismo; da un punto di vista antropologico, umano, di cosa rimane delle tradizioni, dei dialetti; vorrò scoprire se qualcuno riesce ancora a procurarsi un reddito senza essere schiavo di Internet, della carta di credito, di un mezzo con pneumatici. Camminerò in alto, sopra i 400 metri sul livello del mare, per disintossicarmi dalla dittatura delle città, dei centri urbani, delle aree industriali, delle sezioni elettorali.
Chi viaggiava prima con carrozze usava strade sterrate e dimesse ma che spesso sono le stesse che oggi sono state asfaltate e allargate per il passaggio di automobili e camion; se Montaigne ha attraversato il passo della Cisa sulla "carrozzabile" che oggi è la statale (anche se molto meno frequentata in favore della vicina autostrada), io troverò un passaggio diverso, magari un sentiero interno che collega a successivi tratti, fatto per chi si muoveva in quell'area per lavoro. La difficoltà e la goduria, sarà proprio quella: cercare un passaggio difficile, mettendo alla prova gambe e tendini, anima e cuore, senza pensare che "a qualche chilometro c'è una strada comoda".
Vorrò mettermi scomodo.
Fare la cosa più faticosa.
Nessuna scorciatoia solo allungatoie.
No alla fretta, nessun appuntamento da rispettare.
Se un paese sarà raggiungibile in quattro ore, io vorrò impiegarne il doppio, allungando se possibile il tragitto per farcirlo di deviazioni non previste, d’improvvisazioni, per fermarmi semplicemente a gustarmi un sasso con una forma desueta, un refolo di vento primaverile, un mulino in disuso scrutando le ombre di chi ci lavorava cent'anni fa.
Alzerò il livello delle acque dei mari agli attuali 400 metri di altitudine, sommergendo con la mente la stragrande maggioranza delle città; un fantastico viaggio socio-geologico in cui disegnerò rotte di navi fantastiche tra i porti di Urbino e Todi, di Matera e Locorotondo, progettando immersioni sui fondali di un Mar Tirreno che ospiterà il Colosseo e i Fori Imperiali.
Sarà solo un modo di immaginare una realtà diversa in cui, almeno attraverso la nostra mente, si possa essere davvero liberi.
Spento il motore, rimosso l'asfalto, torno in possesso di gambe e talloni.
Aspetti pratici
Obiettivo
Voglio vivere i prossimi anni muovendomi a piedi, attraversando sentieri percorsi un tempo da soldati, donne, lavoratori, religiosi, contrabbandieri, viaggiatori, pastori, artisti.
L'itinerario sarà deciso dalle mie gambe di giorno in giorno, una linea immaginaria che non conosco oggi, e che avrà due regole ben precise:
1) starò alla quota altimetrica più alta possibile, abbassandomi solo per rifornimenti o contatti con gli aiutanti del progetto o i miei familiari;
2) cercherò di ridurre al minimo indispensabile, presumibilmente qualche attraversamento stradale, il contatto dei miei piedi con l'asfalto.
Il punto di partenza sarà un quadro del Perugino che m’incantava a sei anni nella chiesa di Sant'Agostino a Cremona; il punto di arrivo il Tempio della Concordia nella Valle dei Templi ad Agrigento. Guarderò da lontano la pianura delle industrie camminando lungo le strade secondarie degli Appennini, future terre emerse - oggi isole della fantasia - di quando l'acqua si alzerà tra milioni di anni. Sarò sui sentieri usati sostanzialmente per motivi di lavoro dalle persone di quel luogo, osservando le comunità distanti dal potere delle città, sbirciando quanto e come il sistema-stato influisce sulle loro vite.
Troverò la bellezza dietro il cortile di casa nostra.
Come comunicherò
Attraverso un sito e un PC portatile, redigerò pensieri quotidiani a disposizione di tutti.
Di cosa ho bisogno
Aziende e persone disposte a contribuire alle mie spese, giornali e riviste interessate a pubblicare ciò che scrivo. Di persone che mi diano una mano pratica e che vogliano fare dei tratti di strada insieme a me.
Sogno personale
Recapitare il messaggio che siamo stati creati per spostarci con le nostre gambe, e che camminare è la cosa naturale attraverso la quale si attivano strati dell'anima, e del buon umore, oggi fossilizzati dal nostro uso insensato dei mezzi a motore e derivati.