Molti ricordano la "crisi dei rifugiati del 2015", l’anno dei grandi flussi migratori vissuti come invasione. Ebbene quel 1,3 milione di persone che hanno raggiunto il continente rappresentano solo lo 0,2% della popolazione totale dell'UE. Nel 2017 gli arrivi di migranti verso l'Europa sono diminuiti del 60%, con un aumento di 204.300 persone e valori simili rispetto al 2015 (dati OIM – Organizzazione Internazionale per le Migrazioni). Dato reale, dato percepito.
Nell’ormai stereotipato dibattito sull’immigrazione e sull’inclusione, pieno di pregiudizi, che assume toni violenti tra assurde fazioni con dispute spesso ipocrite, molte volte inconcludenti o false, c’è un’Europa di cittadini e operatori sociali che in silenzio lavora, e in rete, per una buona gestione e accoglienza, con la consapevolezza che la migrazione va sì saputa condurre e amministrare, ma non si può arrestare. Così, in un innegabile quadro d’inasprimento sociale e politico, questa certa Europa ha spostato il dibattito su approcci, politiche, teorie e pratiche per una concreta inclusione che guarda al futuro e punta sulla conoscenza e consapevolezza di tutti: migranti e ospitanti.
Il progetto MigrEmpower - Itineraries and resources for migrants and refugees empowerment and integration finanziato dal Programma Erasmus plus, avviato nel settembre del 2017 e che termina il 31 agosto 2019, è un apprezzabile esempio.
Un pool di operatori sociali, con differenti competenze e appartenenti a sei diversi Paesi europei, lavora in sinergia per “promuovere le pari opportunità e favorire una migliore integrazione e convivenza nelle società che li ospitano, creando gli strumenti per l'orientamento, la valutazione delle competenze, l'autovalutazione e l'empowerment di migranti e rifugiati” considerando l’istruzione e la formazione (di migranti e di operatori) elementi indispensabili per una reale coesione e inclusione. Il progetto, che coinvolge Spagna, Cipro, Austria, Germania, Francia e Italia, nel nostro Paese conta su due partner: l’Associazione Nuovi Lavori, che ha coordinato la fase preliminare di ricerca, e la Cooperativa Sociale San Saturnino onlus, che ha realizzato l’esperienza pilota e operativa con 22 migranti beneficiari. Ho chiesto alle due responsabili del progetto MigrEmpower per la cooperativa San Saturnino - Angela Boccardi psicologa di comunità e Gabriella Fabrizi psicologa ricercatrice e formatrice del progetto per l’Italia – di raccontare l’esperienza e i risultati di questi due anni di lavoro.
Iniziamo da lei, Gabriella Fabrizi: quali attività avete svolto?
Siamo partiti da una ricerca comune nei diversi Paesi sulle politiche e buone pratiche rivolte all'integrazione sociale e lavorativa dei migranti e rifugiati. Abbiamo creato una mappa di esperienze già in atto, per comprendere quali siano le più e le meno efficaci facendone esperienza comune, sia in corso di progetto sia per applicazioni future.
Qualche esempio?
A Cipro il progetto Urbagri4Women rivolto alle donne migranti, compresi richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale nella società di accoglienza. Obiettivo è consentire loro di sviluppare iniziative agricole innovative e autosufficienti che contribuiscano al risanamento urbano: riabilitazione delle periferie in abbandono o decadenza. L’avvio è stato fatto con laboratori pratici ai quali hanno partecipato migranti e cittadini locali uniti da uno stesso intento: città e comunità più sostenibili. E così facendo si è promosso un dialogo interculturale. Tra le aree coinvolte anche i giardini e i parchi delle scuole in quanto frequentate da bambini figli delle immigrate. Un progetto che ha avviato un reale cambiamento nella comunità locale.
Altro esempio, questa volta dall’Italia: Barikamà è una cooperativa sociale fondata nel 2011 da cinque migranti africani arrivati in Italia e finiti a lavorare come braccianti agricoli nelle campagne di Rosarno e di Foggia. Nata dopo aver vinto un bando di concorso indetto dalla Regione Lazio per il sostegno al micro-credito, la cooperativa opera nel comparto agricolo producendo ortaggi e yogurt bio. Un’esperienza di auto-impresa oggi in espansione e con evidenti risultati di inclusione sociale e lavorativa.
Buone pratiche certo, ma granelli di sabbia
In assenza di un'efficace politica d’integrazione nella UE si può agire solo all’interno e nel rispetto degli obiettivi comunitari nel campo dell'inclusione sociale e lavorativa. Queste buone pratiche operano in tal senso e ogni iniziativa di successo anche piccolo è un granello prezioso per indicare vie.
In effetti anche il microcredito, alla base di alcune buone prassi, ideato e realizzato dall’economista e banchiere bengalese Muhammad Yunus, all’inizio fu un tentativo e un granello, ma poi l’applicabilità del modello è valsa a Yunus il premio Nobel per la Pace 2006.
Serve seminare, darsi tempo e imparare, formandosi al nuovo. A questo scopo abbiamo prodotto un documento comune di linee guida, con raccomandazioni politiche e lavorato sulla formazione degli operatori, fronte principale nell’accoglienza dei migranti.
Angela Boccardi, in concreto come avete condotto i migranti nel percorso?
Il progetto, che ci permette di lavorare su un totale di 122 migranti di 38 nazionalità, riguarda attività di primo contatto. Esempio: situazione documentale, lingua, conoscenze digitali. Pertanto non erano gruppi da accompagnare in autonomia piena, ma da iniziare a un percorso di start up nel Paese di accoglienza. Un primo orientamento, che poi è quello a fare la differenza.
In che senso?
Nell’approccio ai migranti sono infinite le variabili da considerare, volendo generalizzare potremmo dire che “serve conoscere la loro cultura e rispettarla, per poterli condurre nella nostra e farla rispettare”. Per questo si è lavorato sugli strumenti utili a creare un format che possa determinare raccolta dati, sostegno psicologico e proiezione per il futuro.
Per individuare un percorso adatto a ogni individuo è fondamentale il metodo delle interviste in profondità. Questo dà a noi operatori un’idea molto circostanziata delle condizioni di partenza degli ospiti migranti – ci sono analfabeti quanto laureati, vittime di guerra e violenza quanto migranti economici – e la narrazione che loro offrono, se affiancata a una raccolta di dati individuali, porta operatore e migrante a trovare insieme le forme e le strade più adeguate al loro “potenziamento” (empowerment) e quindi al loro possibile inserimento. Per questo, prima di affrontare le interviste, si è passati dalla formazione di noi operatori.
Esempi?
Solitamente quando arrivano i migranti in una casa famiglia si lavora sul qui e ora: problemi sanitari, documenti da richiedere, asilo e scuola per i figli, ricerca di un’occupazione. Raramente ci si sofferma, per esempio, sulla ricostruzione della storia personale inclusa quella del percorso migratorio. Nel progetto MigrEmpower, invece, prima di tutto ci siamo fatti raccontare perché e come hanno lasciato i Paesi di origine. Questo crea una relazione di fiducia reciproca. Non sempre si riesce a ricostruire il percorso, serve delicatezza e flessibilità nell’ascolto e spesso è penoso da entrambe le parti perché sono storie dure e scioccanti, ma il risultato finale merita: con questo approccio e le conseguenti attività messe in campo con loro, i partecipanti hanno raggiunto maggiore consapevolezza di limiti, competenze, imparando a stabilire le priorità per costruire un progetto personale di integrazione; abbiamo registrato un aumento dei fiducia in se stessi, nella società che li accoglie e nella possibilità di superare le difficoltà, così come è stata concreta la crescita delle loro capacità di “mappare” le opportunità e selezionare le più adeguate a loro, in modo da impegnarsi continuativamente. Una pratica che speriamo possa diffondersi. Grazie a questo lavoro nella nostra cooperativa, su richiesta delle ospiti, oggi abbiamo stilato un calendario d’incontri settimanali per continuare a lavorare sull’empowerment.
Ostacoli incontrati?
In Italia è stato faticoso mantenere i rapporti di rete perché i centri di accoglienza per rifugiati di primo livello, con tanti ospiti, sono molto dispersivi ed è stata complicata la tenuta delle attività proposte. C’è confusione e spesso questi centri si trovano in località piccole e lontane da luoghi in cui sarebbe possibile trovare occasioni d’integrazione, opportunità di formazione, possibilità d’inserimento lavorativo.
Una sorpresa positiva?
I risultati concreti per gli ospiti migranti. E poi, negli incontri con partner europei, nonostante le tante differenze politiche, di cornice istituzionale eccetera, c’è sempre stata una grande intesa e compattezza sulla mission. Cosa che mi ha fatto dire: allora l’Europa esiste!