Ho iniziato facendo dell’arte una tana nella quale sopravvivere, nel sottosuolo, rimanendo estraneo e protetto da una realtà che ho sempre vissuto come insopportabile. […] Di fronte a uno stare nel mondo […] che percepisci sempre aggressivo nei confronti di tutto ciò che sei e come sei, solo l’arte mi ha offerto la possibilità di creare una silenziosa bugia che si è trasformata nella mia unica verità.
Sono queste alcune frasi tratte dall’articolo di Pepe Espaliù pubblicato sul quotidiano El Paìs il 1° dicembre 1992, 11 mesi prima che l’artista morisse dopo una dura lotta contro l’AIDS.
Espaliù è uno dei più importanti artisti spagnoli contemporanei famoso soprattutto per aver posto al centro della sua pratica artistica le riflessioni sulla sua stessa identità. “La mia omosessualità è stato il mio primo segno di esclusione da questo mondo. Noi omosessuali abbiamo accettato da codardi di vivere in uno schema sociale imposto, dal quale siamo esclusi e con il quale non abbiamo niente a che vedere. […] Il mondo che circonda non ci riguarda minimamente: non ci riguarda il suo modello di struttura sociale, basato fin da principio solo sull’idea di famiglia. Non ci riguarda il suo modello giuridico, che non considera in nessun momento la possibilità dell’esistenza legale della coppia omosessuale e che non contempla in maniera più assoluta i nostri diritti. Non ci riguarda il suo modello religioso […]. Non ci riguarda il suo modello politico, nel quale non ci vediamo mai rappresentati come collettività. Non ci riguarda il suo modello pubblicitario, dato che i mezzi di comunicazione sono il riflesso di una sola forma di relazione di coppia, escludendo dalle sue immagini la nostra maniera differente di essere ed amare”.
Dunque, l’analisi di Espaliù nasce dal non riconoscersi nella struttura sociale data e l’arte diventa per lui la “tana” nella quale trovare una dimensione vitale. Una dimensione però parallela alla realtà almeno fino a quando non subentra la malattia. È la malattia, infatti, a dare a Espaliù la forza di uscire fuori da quella “tana” e affermare a testa alta la sua diversità. Indimenticabile, a proposito di questo uscire fuori e cercare un “sostegno”, la performance Carring del 1992 dove nel giorno internazionale dell’AIDS una catena umana porta in braccio Espaliù, già gravemente malato, dal Parlamento di Madrid al Museo Reina Sofia.
È proprio questa performance a diventare il punto di partenza della mostra L’ultimo Espaliù e il contesto italiano tenutasi recentemente presso la Real Academia de España en Roma dove Espaliù è stato borsista poco prima del suo decesso. Si tratta della prima mostra in Italia dedicata a Espaliù con opere provenienti dal Museo Nacional Reina Sofía, Centro Andaluz de Arte Contemporáneo, Fundación Coca-Cola España, Centro de arte Pepe Espaliú, Galería Pepe Cobo e Real Academia de España ed è stato un grande onore poterla curare insieme ai colleghi Rosalía Banet e Xose Prieto Souto.
Il percorso della mostra è stato segnato da diversi fili conduttori quali: la malattia, la vulnerabilità, l’isolamento, l’incomprensione e di conseguenza, il bisogno di sostegno. Quella di Espaliù resta ancora oggi una ferita aperta e basta leggere qualsiasi quotidiano per comprendere come i temi da lui affrontati sono ancora oggi, purtroppo, all’ordine del giorno.
La sezione della mostra intitolata semplicemente Il contesto italiano ha voluto ricreare un clima nel quale quelle stesse suggestioni sono state rielaborate in forme differenti. C’erano opere video, quadri, disegni, fotografie, installazioni. La parte video comprendeva opere di Bruna Esposito, Cesare Viel e Marinella Senatore.
In E così sia di Bruna Esposito l’artista ha disposto sul pavimento del museo legumi e cereali fino a formare una svastica sinistroversa con al centro un fornello e una ciotola di vetro con acqua e alloro. Una sorta di rito propiziatorio di positività e speranza.
Cesare Viel nella performance Dialoghi d’Identità intervista alcune persone nel centro di Milano facendo riflettere su temi come la modifica dell’uomo nella contemporaneità, l’omosessualità, i matrimoni e le adozioni da parte di persone dello stesso sesso.
La pratica di Marinella Senatore ruota attorno al tema della comunità, della creazione di comunità, delle relazioni sociali anche attraverso la forma della processione. Rosas, l’opera in mostra, è un’opera lirica in 3 parti che ha coinvolto un cast e una troupe di 20.000 persone.
C’erano poi le opere di Francesco Impellizzeri che si “traveste” in modo kitsch creando tableaux vivants per impersonificare personaggi stereotipati così come emergono dai media; due opere di Alessandro Moreschini che riflettono sulla forza rigenerante dell’arte provando a superare il binomio vita/morte in una dimensione armonica ed equilibrata dove il segno pittorico rivitalizza scheletri e teschi; infine Vincenzo Marsiglia ha portato in mostra un progetto relativo alla malattia e alla possibilità di creare uno spazio di socialità attraverso l’arte. Si tratta di un progetto che verrà realizzato nei prossimi mesi nei reparti con malati oncologici terminali (dopo l’AIDS, il posto di malattia horribilis è stato occupato dal cancro) creando spazi interattivi per alleviare il dolore.
Un contesto ricco di numerosi spunti di riflessione che spero possano essere approfonditi nei prossimi anni.