Le vibrazioni della voce sono come molecole,
dei corpi puri che si inscrivono nella memoria del nostro organismo,
nella caratteristica tonale di ogni luogo.
Servirsene come strumento di armonizzazione e di guarigione
significa cantare l’essere e il rinascere
nelle sue energie creatrici e nei suoi silenzi interiori1.
È un respiro di pienezza quello che si emette per pronunciare la vocale A che risuona in pace, calma e serena; è un’espirazione liberatoria che apre alla vita e si insinua nei suoi flutti impetuosi fino a placarli.
Dà voce all’anima e ne lascia trapelare la sottile materia sonora. Aiuta a togliere i “veli oscuri” poiché nel dirla la voce si amplia e si affranca dalle paure che la tengono imbrigliata, dai pensieri inespressi che restano come pesanti fardelli che soltanto il respiro della fiducia può alleggerire.
La sua vibrazione si espande e permane quando esclama stupore, incredulità, agnizione, quando si invola dalla bocca come sfuggita al controllo della mente per inseguire la malinconia che se ne sta nascosta, silenziosa, nel nostro cuore, o la tristezza dell’aver atteso invano una risposta al nostro dubbio.
È un sospiro che sembra accordare per un infinitesimo istante il nostro canto con l’orchestra dei suoni cosmici inudibili al nostro orecchio.
La vocale A risuona nell’accento che ci ricorda la vicinanza della parola al canto ed eleva la nostra voce ad una inusuale sonorità capace di richiamare l’attenzione acustica ancor prima di apprendere con la mente.
Intonarla anziché pronunciarla rapidamente, senza alcuna attenzione, fa emergere qualcosa dal profondo e ci ricorda che in origine il verbo veniva modulato per avere più facilmente accesso all’incontro con il divino.
Dalla A scaturisce l’armonia, quel flusso vitale che non vede più divisioni o contrari, quell’energia che avvicina e accudisce con amore, quella sonorità di adamantina purezza, “splendente” e “solidissima” che intreccia bellezza e serenità del cuore.
La A si veste dell’autorevolezza, è affettuosa, attenta, accattivante; è accurata e affidabile, ma anche dotata di affabilità nel dire e nell’ascoltare con cortesia e benevolenza.
Attraversa l’aria del mattino quando l’aurora apre l’anima alla speranza; accompagna l’attesa, specie quella dell’amata.
Entra con forza nella libertà che la accoglie con quel potente accento che rimbomba come un colpo di tamburo.
Risuona nella pioggia che si adagia sui tetti, si raddoppia nell’acqua del mare che lascia sull’arenile la traccia di afasiche frasi.
Nell’antologia ci fa dono di un mazzo di fiori raccolti e apre l’anima alla poesia che si stende sulle pagine candide di un album che custodisce immagini antiche.
Nell’astrologia ci svela affascinanti segreti e ci accompagna ad indagare pianeti e costellazioni.
Nell’alchimia ci ricorda che c’è un magico potere della parola che, come pietra filosofale, può trasformare, divinare, guarire, farsi strumento e antidoto per mischiare emozioni e conoscenze capaci di attraversare le porte che conducono all’autentica gioia.
Algido è il dolore che fa rabbrividire l’animo in cui alberga da lungo tempo la paura: come l’eco di un atavico anatema continua a farsi sentire raggelando il gesto della felicità.
Altisonante si fa udire la voce del tempo che fugge, mentre il cuore cerca con audacia di esorcizzare il timore con una dolce e pietosa amnesia.
Assiste atleti e cavalieri nell’agone e non si sottrae al suo compito anche quando la tenzone conduce all’agonia che con l’agone condivide la radice.
All’attore fa dono dell’arte capace di accendere l’emozione che alberga nell’ancestrale bisogno di riconoscersi nell’altro, di avere accesso al segreto della parola che commuove e aiuta la catarsi.
Attraverso l’ambra levigata e trasparente fa mostra di sé un antico fiore, imprigionato in perenne meraviglia.
L’àncora attende il marinaio per trovare sosta e riposo nel viaggio periglioso dell’esistenza.
Ataviche radici affondano la memoria nella sapienza di un passato che fatichiamo a ritrovare.
Una piacevole brezza è quella che i Latini chiamavano aura: l’evanescente unicità, il soffio vitale che fa nascere e contraddistingue l’opera d’arte, ma anche la cangiante energia che avvolge i corpi dei maestri, illuminati di spiritualità.
Plasmata nell’argilla la A rimanda immagini degli idoli di arcaica, ancestrale bellezza e ne cogliamo le armoniche sfumature quando ci disponiamo all’ascolto.
Si fa alimento amorevole per arricchire la terra che accoglie i semi e li avvolge nel suo abbraccio.
È albero, è angelico annuncio, è androgino, ambiguo frutto di amplessi tra mitiche creature.
Ascoltare la vocale E nel silenzio aiuta a scendere nella propria interiorità per ritrovare quelle “grida del nostro corpo” che chiedono di lenire le tensioni, il turbamento provocato dalle emozioni. La E pronunciata come suono aperto ha la capacità e la forza di riconnetterci con lo spazio di purezza che sta dentro di noi.
Come l’onda circolare provocata da un sasso sulla superficie dell’acqua, si propaga e ci fa sentire la dolcezza avvolgente delle cure materne poiché la sua natura è femminile.
Era il suono aspirato della E a venire intonato gridando e battendosi il petto durante l’antico rituale in morte di una persona amata secondo l’affascinante ipotesi etimologica della parola elegia ovvero “pronunciare il suono he, he”, ma la parola accoglieva anche il rimpianto accorato per la giovinezza perduta e il tema d’amore in tutte le sue sfumature.
A questa vocale dobbiamo l’empatia che espande il nostro sofferto sentire fino a farci specchiare nelle emozioni degli altri.
Effimero è il segno di congiunzione che unisce l’io e il tu nella romantica visione di un vecchio melodramma.
Enigmatico il sorriso di chi attraversa il mondo senza permettere alle emozioni di lasciare segni, di velare lo sguardo con solitari pensieri di nostalgia.
Estatico silenzio è quello che circondava gli iniziati di Eleusi.
La E si unisce ogni giorno al divino Elio che percorre la volta celeste guidando il carro trainato da cavalli alati per illuminare il mondo.
Come ispirazione divina entra nell’entusiasmo fino a raggiungere quell’ardore immaginativo che consentiva il contatto diretto con il soprannaturale.
Nell’epica si esalta attraverso la musica che accompagna il cantore nella sua narrazione poetica fatta per essere ascoltata e detta nel silenzio.
Intonando la I acuta tutto il corpo tende verso l’alto come tirato da un filo invisibile e un sentimento di benevolenza sembra attraversare il cuore.
Pare che la si debba esprimere sorridendo, intonarla con dolcezza poiché il suo suono induce il desiderio di salire fino all’immensità, fino ad immaginare mondi, fino ad innamorarsi di ieratiche parvenze, di librarsi e di volteggiare: era questo il fonema che traduceva la gioia bambina di dondolarsi sull’altalena.
Il tintinnio della I nell’idillio ci conduce ad un ameno paesaggio campestre, allietato da un rivolo d’acqua, che fa da sfondo al dialogo, ritmato al suono di una zampogna, tra due pastori seduti sotto una pianta dalla compiacente ombra.
Esplode come un fuoco d’artificio la I che infonde la sua linfa all’idea e la accompagna con lungimirante ingegno.
Ineluttabile è il compiersi del destino che, anche con strenua lotta, non si può sconfiggere.
Gioco di specchi, gioco di doppi, dolce chimera, il falso che appare vero, ciò che c’è ma non si vede, caleidoscopiche immagini che eccitano gli occhi e la mente fino a farci vedere ciò che non c’è: è questo il fantasmagorico mondo dell’illusione.
La I spalanca l’idolo d’alabastro che contiene il frammento di giada: invocata, l’antica magia fa dono di un’immagine fugace.
Sale in alto nell’inno che intreccia parole di salvezza e guida le voci ad un intonato concerto.
La O è una vocale di passaggio, di trasformazione. Donare la voce alla O che scorre nella bocca come un rivolo d’acqua sorgiva comunica un senso di perfezione, di pienezza.
L’oceano infonde il suo potente respiro in questa vocale che evoca la perfezione del cerchio.
È un’esclamazione di meraviglia che pare sospendere il tempo per una frazione di eternità. La si pronuncia con la solenne levità dell’osanna nell’alto dei cieli, ma può rivestirsi della cupezza che emana dalla vista di qualcosa che ci addolora profondamente.
Ha la potenza di un’onda che si srotola a lambire la scogliera.
La O chiude il cerchio e conduce all’isola del ritorno il multiforme ingegno di Odisseo.
Come attraverso un piccolo, segreto pertugio l’occasione fugge dalle labbra a creare una inattesa opportunità.
Nell’oracolo offre alla profezia la sua sonorità che prelude alla conoscenza mistica.
È l’orizzonte sonoro quello nel quale la O si immerge come in un onirico riverbero.
È lieve l’orma lasciata sui petali screziati di peonie sfiorite ai piedi dell’obelisco.
Là dove cala il sole, nell’occidente, la O si perde come accarezzata dal soffio del tramonto.
La vocale U riunisce gli estremi esprimendo ad un tempo gravità e dolcezza. È un suono radicato alla terra e al tempo stesso capace di raggiungere i rami più alti dell’albero della vita. Gli stati emotivi indotti dalle sue vibrazioni sanno entrare nell’umiltà così come nell’utopia a ricordare la nostra duplice, contrastata natura di esseri aggrappati alla terra e proiettati ad un tempo nei territori dell’impossibile.
Le vocali sono creature che conoscono l’eufonia, la risonante bellezza che emana da tutte le forme della vita e, con gentilezza e forza, si uniscono alle consonanti, le lettere che per loro intima etimologia vogliono “suonare insieme” a loro.
“La consonante è la messaggera che trasporta la vocale verso un punto preciso nello spazio, che la scolpisce, che aggiunge il rotolamento di una R o il suono sibilante di una S per amplificarla, condurla a debita destinazione, quella dell’ascoltatore. La consonante sta alla materialità come la vocale sta al sacro. La vocale è l’essenza stessa del concerto della Natura2."
Porsi in ascolto, guardare e osservare, lasciarsi condurre nel meraviglioso mondo dei suoni è un modo per ritrovare e percepire le infinite vibrazioni che caricano ogni parola di energia e forza creatrice, è una via per guarire, per guarirsi nel cuore e nel corpo.
1 Philippe Barraqué, La voce che guarisce, Edizioni Il punto d’incontro, Vicenza, 2000.
2 Id. Ibid.
A cura di Save the Words®