Africa è donna. Sembra sia diventata la soluzione per sortire dalla lunga crisi etica, valoriale, politica, economico-finanziaria che attanaglia, da generazioni, il continente nero.
Le donne africane costituiscono il 70% della forza agricola del continente, producono l'80% delle derrate alimentari e ne gestiscono la vendita per il 90%. Insomma, sono le regine dell'economia informale.
In quella formale, che si basa più su patti che tradizioni, come istruzione di qualità, accesso al lavoro, contrattualistica regolare, gestione del risparmio, eredità, autorità sui figli una volta vedove, diritti civili... la strada è ancora lunga da percorrere. Però, vi sono alcune speranze che rendono l'Africa moderna e, in ordine, sono: Rwanda, Etiopia e Sudafrica.
Secondo i dati dell’Unione interparlamentare mondiale, lo Stato che conta più donne nel proprio Parlamento è il Ruanda con il 61,3% di presenze. Batte di gran lunga la Svezia - paladina dei diritti civili - che è al nono posto con “appena” il 43,6%.
La Repubblica Presidenziale rwandese è a elezione diretta con due Camere e il Senato. Proprio nel Senato gli uomini eletti sono meno della metà; appena il 38,7%.
La genesi di questa alta presenza femminile è meno prosaica. Il Presidente Paul Kagame – vincitore indiscusso del conflitto del 1994 – è un gran comunicatore e voleva dimostrare al mondo intero, rappresentato nei consessi internazionali, che il suo parlamento svettava in presenza femminile. Chiese agli ufficiali del suo fedelissimo esercito di candidare le mogli con l'intento, mai dichiarato, di governarle una volta elette. Il “gentil sesso” si accomodò nella stanza dei bottoni ed ebbe inizio la “rivoluzione dolce” fatta di opere semplici come centri di sanità territoriali, scuole primarie e secondarie, mercati coperti, grandi direttrici asfaltate con piste ciclabili, marciapiedi e scoli per le piogge torrenziali e zero corruzione. Certo, non si occupano di forze armate che rimangono saldamente in mano al presidente che valica la frontiera sin troppo spesso per assicurarsi le ricchezze, come il coltan, della Repubblica Democratica del Congo.
I dati economici del Rwanda non sono meno incoraggianti: negli ultimi cinque anni il prodotto interno lordo è cresciuto a un media dell'8% e secondo la Banca Mondiale il Rwanda è il secondo posto migliore dell'Africa per aprire un'attività di business. Da anni il Paese ha investito molto sui servizi e sull'Information Technology, divenendo il riferimento per l'Africa orientale in questo settore. Si vorrebbe offrire wifi a tutti i camionisti e ai turisti che attraversano il paese dalle mille colline.
Passiamo a un'altra buona pratica: l'Etiopia. A fine 2018 il premier ha dato vita al primo governo formato per il 50% da donne e il cui numero di dicasteri è sceso da 28 a 20. I posti chiave del governo, compresi i ministeri della Pace, del Commercio e questa volta anche della Difesa, sono stati affidati a donne.
A guidare il ministero della Pace è l’ex presidente dell’Assemblea, Muferihat Kamil. Si tratta di un dicastero importante in un paese in cui ci sono ancora forti tensioni tra le diverse etnie e che sta attraversando un periodo di radicali riforme politiche ed economiche.
A capo del ministero della Difesa invece l’ingegner Aisha Mohammed, mentre quello del Commercio è stato affidato a Fetlework Gebre-Egzihaber.
Il premier Ahmed ha anche deciso di affidare a delle donne il ministero dei Trasporti, quello delle Donne e quello delle Entrate. Il premier ha recentemente dichiarato: “Le nostre ministre confuteranno il vecchio detto secondo cui le donne non possono governare”.
Il Sudafrica non ha voluto essere da meno. Recentemente il presidente Cyril Ramaphosa dell'African National Congress (ANC) ha ridotto i ministeri da 36 a 28 affidando, cosa mai successa nella democrazia dell'alternanza, il ministero dei Lavori pubblici e delle Infrastrutture alla leader del partito di opposizione “Good”. Il Sudafrica di Nelson Mandela si dimostra ancora una volta di essere laboratorio democratico in grado di mantenere il bene più prezioso: la pace.
I 3 paesi leader (Rwanda, Etiopia e Sudafrica) sono di esempio per altri big africani. Come presenza in parlamento sono seguiti da Senegal, Namibia, Mozambico e Angola. Mentre per la presenza nell'esecutivo, dove si comanda, troviamo Uganda, Capo Verde, Zambia e Mauritania che vantano significative e crescenti presenze di ministre donna nei propri dicasteri.
In alcuni paesi di tradizione islamica come la Somalia le donne fanno oggettivamente più fatica a raggiungere posizioni rilevanti di potere ed è per questo che il Paese si è dotato di una “quota rosa” del 30%.
Insomma, alcune buone nuove dal continente nero che incoraggiano le giovani ragazze a resistere all'avanzata dello Stato Islamico sia in West che East Africa che, come sappiamo, relegherebbe ancora la donna in casa chiudendo ogni accesso alla formazione o al lavoro di qualità.