Nell’opera di Lorenzo Lotto possiamo avvertire scorrere dentro i suoi meravigliosi dipinti una sottile tensione, una sorta di magica inquietudine. Ma da cosa è originata? Per i ritratti si tratta evidentemente di codici simili al modello del “rebus”: oggetti accostati a persone senza una relazione chiaramente identificabile, come appare nel massimo grado nel Ritratto di gentiluomo di Casa Rovero esposto alla Galleria dell’Accademia di Venezia, dove accanto al nobile malinconico appaiono petali di rose, un corno da caccia e un ramarro. Per altri ritratti, apparentemente più consueti e meno “popolati” da allegorie ed elementi allusivi forse la causa di tale sensazione viene proprio dall’impossibilità di semantizzare in modo immediato posture ed espressioni facciali. Nel Ritratto di Laura da Pola e nel Gentiluomo con i guanti della Pinacoteca di Brera, ad esempio, accade il medesimo effetto tipico di Lotto: un’espressione criptica, non schematizzabile, appare nel volto dei personaggi dipinti, come a sfidare colui che guarda nell’intendere lo specifico contesto presupposto, velato. Lotto appare rivoluzionario proprio in questo, perché per la prima volta nella storia della pittura gioca con la capacità allegorica e allusiva individualizzando l’allegorismo, personalizzando un’ermeneutica del “criptato” che prima appariva decrittabile all’interno di immaginari e linguaggi condivisi come quello religioso o letterario-mitologico.
Il senso unitario e specifico della composizione sembra restare un rebus appannaggio del committente e dell’artista. Da ciò il senso di smarrimento, e la conseguente tensione-inquietudine, in chi guarda e immediatamente ci si accorge della percezione di un livello semantico non decostruibile, non narrabile. In altri casi la magia inquieta di Lotto traspare da altri elementi, come in un’opera conservata nel Museo del Santuario di Loreto: La caduta di Lucifero. Qui l’inquietudine indotta raggiunge il suo apice ma la causa generativa appare evidente: Lotto raffigura Lucifero con il medesimo volto di San Michele e lo fa nel dipingere la scena più fatidica e più tragica che vede vicini i due angeli, cioè la scena in cui San Michele scaccia dal Cielo Lucifero il quale, ribellandosi a Dio, assume ora un ruolo opposto e invertito di vertice del male. L’Apocalisse di Giovanni descrive bene questo episodio di portata cosmica, perenne: “Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli” (Ap. 12,7). Questo “massimo male” dato dal più potente angelo che sceglie di rifiutare il piano di Dio, di uscire dall’amicizia con Dio, viene reso da Lotto nelle aggraziate ed efebiche sembianze di un giovane, del tutto simile al volto dell’angelo più fedele cioè quel Michele il cui nome ebraico è un grido di battaglia: “Chi come Dio”? L’inquietudine indotta ci parla proprio di questo e sembra dirci: ma se Lucifero è caduto nel male, lui che era così vicino a Dio, come possiamo noi far qualcosa di bene?
I dettagli della scena pittorica sono altrettanto inquietanti. Non solo il volto ma lo stesso corpo dell’angelo decaduto viene raffigurato identico a quello dell’angelo fedelissimo, come in uno specchio. La posizione delle gambe è, infatti, identica ma invertita. La teologia di questa scelta forse affonda le sue radici nella riflessione di Sant’Agostino sull’assenza di radice ontologica autonoma del male. Solo il Bene ha radice in se stesso, mentre il male è “diminuzione del bene”, suo deterioramento, come il buio è diminuzione della luce. Altro elemento di uguale natura angelica fra San Michele e Lucifero appaiono le ali, entrambe di un color celeste intenso. Eppure, proprio all’interno di questa terribile angoscia cosmica che esprime l’inizio del male all’interno del Cielo (può esserci qualcosa di più angoscioso?) possiamo ricavare un grande insegnamento spirituale dai dettagli che connotano l’inizio della caduta, e, quindi, l’essenza del male stesso. In primo luogo, l’inversione posturale dell’angelo ribelle: ciò che dovrebbe stare in alto ora è capovolto. Le celesti ali sono poste verso in basso e le “vergogne” sono quasi nude verso l’alto, chiaro indice di blasfemia, come il gesto del dantesco Vanni Fucci ricorda. Non solo: Lucifero è nudo, e siccome biblicamente le vesti indicano il decoro, la dignità e l’onore di una persona, qui la nudità indica la perdita della dignità angelica, l’impoverimento e lo svuotamento dei doni di Dio di cui ora non è più degno. Resta solo la sua caduta. Di “suo” c’è ora solo un’eterna caduta che mai finirà, come ci conferma l’Apocalisse nell’immagine dello stagno di fuoco, che durerà anche quando sarà discesa la Gerusalemme celeste (Ap. 21,8), impedendone l’ingresso a determinate tipologie di anime viziate. Ora Lucifero non porta più la luce divina ma è “colui che cade”. Perfetta teologia cattolica in quanto per il Cattolicesimo non esiste una “natura demoniaca”, poiché Dio crea ogni natura buona, ma l’origine angelica del male deriva dal volersi separare da Dio.
Lucifero nel dipinto di Lotto è già il diavolo, in quanto essere perduto, sradicato da Dio, prigioniero nella massima alienazione che si è scelto ribellandosi alla volontà di Dio. Se San Michele appare composto, armonioso e controllato nel suo muoversi angelico e aereo, Lucifero iniziando a cadere inizia a mostrare i segni epifanici del male: solitudine, vuotezza, assenza di luce, disarmonia, inversione dell’Ordine della natura stabilito da Dio. I suoi occhi appaiono vuoti, freddi e spaventati. Non possiede più nulla e vicino alla sua figura, ondeggiante nell’aria, appare spezzata e fumigante una grande torcia, a indicare il perduto ruolo di portatore della luce di Dio. Torcia anch’essa invertita, con l’estremità un tempo fiammante rivolta verso il basso. L’unica connotazione “attiva” del diavolo viene espressa da Lotto in quelle mani spianate e tese a tentare di respingere l’azione di San Michele, azione confermativa-annunciativa, in quanto la caduta è già iniziata, è già in corso. Ecco l’essenza del male: il rifiuto del bene, la negazione della realtà. Lucifero ora non è più Lucifero ma il dia-volo (da dia-ballein), cioè colui che ostacola, che si mette di traverso, in altre parole colui che non sa più ardere né illuminare ma resta per sempre “fumigante”, come la Babilonia distrutta dell’Apocalisse (Ap. 18,9).
L’inquietudine resta comunque ed è data dalla nostra difficoltà di accettare che il massimo del male sia raffigurato con un volto ancora bello e simile al suo ex fratello angelico. Segno del sottile confine, per l’uomo, tra bene e male e della facilità del perdersi l’anima nella vita? Ma teologicamente il rigore è perfetto: il fu Lucifero resta creatura di Dio, che non può annullare la sua creazione (altrimenti si contraddirebbe), ecco il perché del volto ancora riconoscibile, ma ora la sua vita è solo “in perdita”, in rovina. Il non controllare più se stesso nel luogo dove Dio lo aveva posto, il Cielo, esprime visivamente la medesima essenza del male: l’anarchia, l’anomia, la perdita di “peso”, cioè del proprio ruolo divino. La visione dell’inferno nella prima visione della rivelazione di Fatima riprende il medesimo concetto dell’inferno quale luogo dove le anime non hanno più peso, né equilibrio ma sono in balìa della tenebra. Nel momento della ribellione e dell’immediata caduta (poiché la dimensione angelica è eterna quindi tutto è “immediato”) Lucifero si degenera in Satana, nel diavolo, perde anche il “nome”, cioè la profondità della sua essenza, ma si tratta anche del medesimo episodio che vede sorgere l’identità opposta di Michele, il cui nome appare trionfale in questa celeste cacciata, mentre prima era nome non conosciuto fra le miriadi di angeli della corte celeste. E se il diavolo è ora senza più peso, né controllo e, quindi, “cade dal Cielo” Michele appare con la spada della giustizia, della Parola di Dio e verrà mostrato fin dal medioevo quale angelo “pesatore di anime”, con in mano una psichica bilancia.