Il filologo Wilamowitz-Moellendorff, vissuto a cavallo tra due secoli, il XIX e il XX affermò che: “È indispensabile la conoscenza del mondo greco in tutti i suoi aspetti, letterari, filosofici, politici e scientifici, non tanto come disciplina in sé ma piuttosto come punto di partenza verso le diverse discipline”.
I Greci, comunque, in tutta sincerità appresero dalle civiltà orientali le conoscenze scientifiche; il matematico greco Pitagora avrebbe, infatti, conosciuto e imparato la geometria dagli Egizi, l'aritmetica dai Fenici e l'astronomia dai Caldei.
Tra le varie scienze, quella a cui spetta il compito di determinare che cosa sia la felicità, e come l'uomo possa conseguirla, è la politica; per il filosofo Aristotele, infatti, la politica è la scienza "architettonica" e "legislatrice", cui sono affidati il buongoverno e il benessere della città.
La politica deriva, quindi, dal concetto di polites, cioè del cittadino nel pieno possesso dei suoi diritti e doveri, che si sente coinvolto nella gestione della vita della sua città, proponendo, attraverso la libertà di parola il logos, quello che ritiene siano i consigli migliori per la comunità. La meta finale della politica era infatti conseguire “il vivere bene”, ed era intesa come l'arte di governare le società. Ma anche la scienza in quanto tale, si addentra nei meccanismi del conoscere per cercare quelle verità occulte che svelate consentono all'uomo di vivere bene, così come la politica: la prima con lo studio e la seconda con la parola. Ma allora quanto scienza e politica sono interconnesse l’una all'altra?
Può la scienza essere immune dalle influenze della politica? Può essere libera? E la politica quanto subisce dalla scienza? Rivali o alleate?
Scienza e politica possono entrambe rappresentare due mezzi di uno stesso fine, ciò potrebbe spiegarsi con il concetto che una è un sistema di conoscenze e l'altra le applica nella società.
Prendiamo l'esempio della medicina o della ricerca scientifica; queste hanno apportato benessere, aumentato la qualità della vita, portato all'interesse per la scienza e all'apertura mentale creando aspettative sempre più impegnative. Dall'altra parte però, l'innovazione scientifica porta i conservatori a temere un abuso della scienza, li porta al complottismo, con il risultato di un crescente controllo della politica sulla scienza. Forse il linguaggio è troppo astratto per la gente, quasi incomprensibile che se “tradotto” male porta a distorsioni della verità e a false convinzioni.
Il rapporto tra la scienza che deve fornire dati e la politica che dovrebbe utilizzarli per leggi volte alla tutela del benessere della società sta andando, invece, in direzioni diverse. Alcuni temi chiave degli ultimi anni, come gli OGM e i vaccini mostrano come la gente elabori il suo giudizio sulla base del preconcetto e del pregiudizio anziché capire il significato del dato scientifico.
Recentemente un politico ha posto in essere la questione relativa al fatto che la politica viene prima della scienza: “I politici devono ascoltare la scienza, collaborare, non farsi ordinare dalla scienza cosa è giusto e cosa è sbagliato… hanno dispensato sotto la definizione di ‘scienza’ le loro scelte politiche: valori soglia, immunità di gregge, obbligo, ricerche post-marketing, analisi prevaccinali, emergenze infettive, dosi e monodosi vaccinali, tempi di produzione e somministrazione, calendario vaccinale. Queste sono scelte politiche, badate bene. Non metodo scientifico”.
Al caro signore andrebbe suggerito che a ciascuno il suo: lo scienziato fa lo scienziato e il politico fa il politico, l'uno produce il dato, l'altro lo rende applicativo, come una collaborazione deve essere, anzi in un mutuo aiuto e sostegno. Gli scienziati devono mettere a disposizione le loro conoscenze nei processi politici, altrimenti esiste il rischio che questi possano prendere decisioni erronee su tematiche complesse.
Proprio per evidenziare queste necessità, nel mese di gennaio ha fatto notizia “Il Patto trasversale per la scienza”, sottoscritto da moltissime persone facenti parte di varie professionalità, il quale proponeva alcuni punti alla politica, tra cui: sostenere la scienza come valore universale di progresso dell’umanità; non sostenere o tollerare in alcun modo forme di pseudoscienza e/o di pseudomedicina; governare e legiferare in modo tale da fermare l’operato di chi crea paure e allarmismi e assicurare alla scienza adeguati finanziamenti pubblici.
La discrasia tra scienza e politica, comunque, è un fatto generalizzato, globalizzato per dirla in termini attuali, che il presidente degli Stati Uniti sta evidenziando con estrema pericolosità. La “Republican War On Science” rappresenta un grave colpo alla lotta per la mitigazione al riscaldamento globale, in nome ahimè, di una espansione economica immediata.
È necessario per una buona politica, ossia per una buona civiltà, ristabilire quel principio di equilibrio antico tra scienza e politica, ricordando come technè e logos siano entrambe proprietà dell'uomo concesse dal divino. Se riflettiamo sull’importanza e sull'origine religiosa e filosofica dei due mondi: la scienza e la politica, dominati dai rispettivi termini technè e logos, per la religione cristiana: “In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio”, quindi, un assoluto, una capacità superiore.
Ma se ascoltiamo i Greci antichi, per loro la technè era una concessione divina ai mortali, una capacità data di trasfondere la conoscenza dei principi che regolano le cose e codificarle per renderle riproducibili, quindi, anch'essa assoluta ed elevata.
Cosa accade però se la technè supera il logos; l'uomo agisce senza pensare e cosa accade se il logos supera la technè; si cade nel mito di Platone, cioè di una realtà metafisica che non ha attinenza con la realtà.
Il segreto della civiltà sta, quindi, nel bilanciare l'una con l'altra in una osmosi continua in modo che nessuna prevalga sull'altra ma siano i due poli di una coscienza collettiva.