Finita la guerra nel novembre del 1918, era necessario tramutare l’armistizio in una pace definitiva con trattati specifici. Iniziò così, il 18 gennaio 1918, la conferenza di Parigi che, con alcuni intervalli, durò un anno, fino al 21 gennaio 1920.
La situazione europea era catastrofica, con intere aree da bonificare dagli effetti del conflitto, la disoccupazione dilagante a seguito del termine delle forniture per gli eserciti; l’indebitamento europeo alle stelle, generi alimentari scarsissimi; mutilati, invalidi, orfani e vedove in proporzioni enormi e senza assistenza; le promesse di guerra disattese sia per i vinti che per i vincitori, essendo impossibile per i governi mantenere quanto utilizzato per convincere a continuare a combattere.
Inoltre, la situazione politica europea era completamente cambiata, con interi imperi sgretolatisi. Era il caso dell’impero austro-ungarico, che si vide ridotto alla sola Austria. Dell’impero russo, che non esisteva più per effetto della rivoluzione. Dell’impero ottomano, ridotto alla sola Turchia. Dell’impero tedesco che si vide sostituito dalla Repubblica di Weimar: la Germania fu costretta a pagare il pegno più alto, essendo di fatto considerata colpevole del conflitto.
Sulla scena politica europea entravano poi prepotentemente gli Stati Uniti che, con il loro presidente Woodrow Wilson, furono protagonisti delle proposte più accettate della conferenza di pace parigina.
I quattordici punti di Wilson, infatti, stabilivano la linea di demarcazione agli imperi centrali che non dovevano più avere ampio potere in Europa, allo stesso tempo ponendo un argine al dilagare delle idee, e del potere, di Lenin (peraltro erano già state imposte forti sanzioni alla Russia, uscita dal conflitto nel marzo 1918).
I punti prevedevano l’autodeterminazione dei popoli, rispondendo alle esigenze nazionaliste più volte ribadite, ma cozzavano con le richieste dei Paesi balcanici e con le stesse rivendicazioni italiane che lamentavano il mancato rispetto dei punti del trattato di Londra stipulato con la Triplice Intesa ben prima dell’ingresso in guerra, e sulla scena politica europea, degli Stati Uniti.
La Francia in particolar modo, con la Gran Bretagna, voleva la punizione letterale della Germania, alla quale bisognava imporre il pagamento delle spese di guerra. Impossibile sorvolare sull’attacco dal Belgio neutrale, i milioni di morti, soprattutto a Verdun e alla Somme, gli attacchi anche alle navi passeggeri americane. La delegazione tedesca fu costretta ad accettare quell’accordo.
In realtà, la conferenza di pace di Parigi fu un vero e proprio scontro diplomatico fra le potenze europee, Stati Uniti e Giappone, senza risparmio di colpi.
Ad esempio, uno dei punti più spinosi fu la ripartizione delle colonie tedesche, che vennero spartite tra Francia e Gran Bretagna tralasciando il Belgio e scontentando l’Italia, che venne messa in secondo piano.
Il Belgio, in particolar modo, fiorente prima della guerra e attaccato malgrado fosse neutrale, aveva visto il suo Re in esilio, ma non si sentiva ripagato delle perdite subite, dato che non venne tenuto nel debito conto dall’alleato inglese che pure gli aveva fatto molte promesse per quattro anni.
L’Italia, invece, si trovò contro Wilson che non ne voleva sapere di uno Stato italiano forte della posizione dalmata, per non favorire l’avanzata delle idee bolsceviche, con relativa apertura al mare tramite Trieste. In contrasto con l’Italia anche il neonato Regno serbo-croato-sloveno.