Ho incontrato Dante Isella per la prima e - purtroppo - ultima volta l'11 Gennaio del 2006 a Cremona, nel Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell'Università di Pavia. Introdotto da Claudio Vela e Giorgio Panizza - i miei maestri - e da Francesco Frangi; il filologo varesino avrebbe presentato il suo Lombardia stravagante, un libro seducente almeno quanto l'originale titolo. Durante l'intervento accennò alla presenza di un capitolo sulle Antiquarie prospetiche Romane (APR), un testo che aveva attratto generazioni di studiosi, più che per la qualità dei suoi quattrocento versi, per l'identità del dedicatario del poema.
È un testo a stampa composto di un doppio foglio in-quarto di 8 pagine, di cui esistono solo due esemplari: quello noto dal 1876 alla Biblioteca Casanatense a Roma, l'altro a Venezia nella Fondazione Giorgio Cini. Esiste inoltre un descriptus nella Biblioteca di Monaco di Baviera. Dei due esemplari, assolutamente identici nella lezione, non esistono note tipografiche: ci sono ignoti il nome dello stampatore, il luogo e l’anno in cui il testo fu impresso. Nonostante ciò è verosimile che lo stampatore sia il 'romano' Johan Besicken, mentre la data di stampa si può ritenere avvenuta tra la fine del 1499 e il 1504.
L'autore racconta di essere stato a Roma (sul finire del Quattrocento) a vedere opere d'arte pubbliche e private. Tuttavia le sue descrizioni non sempre coincidono con le opere a cui fanno riferimento gli storici dell'arte, mentre - ancora più incomprensibili - sono le informazioni inventate di dettagli mai visti: come nella tomba bronzea di Sisto IV del Pollaiolo, uno dei monumenti più famosi e importanti delle Antiquarie, in cui segnala la presenza di figure allegoriche, tra cui le Muse, che su quel monumento non sono mai esistite, né allora, né oggi, né mai. Un po' come se qualcuno dicesse che sul Duomo di Milano c'è la statua di san Giuseppe e non la Madonnina!
Come se questo non bastasse a rendere tutto alquanto ambiguo e attraente, l'autore non aveva dichiarato la sua identità, coniando per sé il nome di fantasia Prospectivo Melanese Depictore, e dedicando la sua opera a Leonardo da Vinci, di cui si dichiara grande amico!
Riepilogando: avevamo uno sconosciuto che si firma come 'pittore milanese amante della prospettiva', che asserisce di essere a Roma a vedere opere d'arte (descritte in maniera confusa o errata) e che è un caro amico di Leonardo da Vinci.
Tuttavia non era solo l'impostazione generale a farmi sembrare tutto poco attendibile. Avevamo delle locuzioni che sembravano appartenere a categorie letterarie ben diverse da chi ha a cuore la storia dell'arte.
Un lemma sgraziato: entràculo
La parola è stampata insieme all'aggettivo che la precede con la tilde, grādentraculo, ed è oggi adattata alla grafia contemporanea con l’apostrofo, grand’entraculo. È posta alla fine del verso 138 (che chiude la terzina 46) e rima con spiràculo (134), abitàculo (136) e, come le colleghe sdrucciole, va letta entràculo.
Eppure, senza entrare nella musicalità del testo, senza farmi condizionare dalla metrica e dagli accenti, la prima volta che i miei occhi si sono posati su quelle nove lettere il mio cervello ha letto, ubbidendo ai dettami del mio tempo, entra culo. Ancora oggi non riesco a capacitarmi di come tutti gli studiosi dal 1876 a oggi, abbiano potuto leggere questo lemma scabroso senza sobbalzare. Dante Isella aveva tradotto grande apertura.
entraculo = apertura
Entraculo non era mai stato usato da nessuno. Mai. Anche oggi è l’unica occorrenza rintracciabile, e chi volesse fronteggiare quest'anomalia letteraria deve per forza leggere questo testo.
Ai miei occhi di appassionato del genere, evocava un frammento di autori toscani burleschi erroneamente caduto tra quei versi: mi sembrava di leggere Burchiello, Luigi Pulci, Cammelli o uno degli autori dei canti carnascialeschi fiorentini. Tuttavia l’autore di questo poema non è toscano, o almeno lui dice di essere di Milano, e non dovrebbe essere intento a scrivere cose per divertire o con un secondo inequivocabile significato (in questo caso osceno).
Lui è un pittore milanese trasferitosi a Roma dove descrive opere d’arte, è un appassionato di prospettiva e quando deciderà di usare entraculo non sta scrivendo un testo misogino e osceno come il Manganello, lui sta parlando della grande apertura da cui puoi vedere la volta celeste stando dentro il Pantheon...
Scelgo l'ineleganza di una ripetizione: entraculo è stato usato per descrivere l'oculo del Pantheon!
È possibile che l’uso di un lemma esplicitamente scurrile per descrivere l'enorme buco di un luogo sacro, utilizzato per la prima e unica volta nel corso di otto secoli di letteratura italiana, avesse colpito solo me?
[Avvertenza importante per il lettore: se essendo incuriositi dalle mie parole anche voi decideste di inserire questo lemma in un motore di ricerca, fatelo senza dei minori nelle vicinanze o perlomeno in orari protetti: vi verranno proposti solo ed esclusivamente siti pornografici.]
Nel Marzo del 2011 ho conosciuto Giovanni Agosti: desideravo avere notizie sul papà di Ascanio, Leonardo Botta, un cremonese che fu un influente ambasciatore di Milano a Venezia negli anni '80 del Quattrocento, grande collezionista di opere d'arte. Lo storico dell'arte milanese è una miniera d'informazioni che lui dispensa senza parsimonia a chi ha un po' di entusiasmo, a chi ha un briciolo di 'furore' per la ricerca. Ho il ricordo di mie mail scritte a mezzanotte con cinque domande numerate; al mattino alle 7 intanto che saliva il caffè, Giovanni mi aveva già inviato le risposte anche lui numerandole e citando a memoria nomi, titoli o rimandi attraverso i quali arrivare a destinazione. Un privilegio per il quale lo ringrazio ancora.
In uno di quegli incontri mi accennò a come, fin da ragazzo, fosse rimasto attratto dalle Antiquarie e quel componimento fosse stato per lui una sorta di ossessione. Ho il sospetto che a volte una parola, magari un suono (la doppia "doppia esse"), vada a colpire un lembo del cervello che metterà in moto cose non prevedibili. Giovanni Agosti aveva inavvertitamente trasferito la sua antica fissazione a me.
Ebbene quel tarlo si è oggi trasformato in un libro - Entràculo, la burla di Leonardo - con cui espongo le mie osservazioni sulle Antiquarie. Col mio lavoro intendo dimostrare che il testo ha due chiavi di lettura: la prima - ufficiale - che sembra la descrizione di una gita romana a vedere opere d'arte, la seconda - mimetizzata - tipica della letteratura toscana burlesca e oscena in cui si parla di amplessi, di sodomia, e di cose 'sconvenienti'.
Infine, dimostrerò che l'autore sconosciuto è proprio Leonardo da Vinci, che si è divertito a farsi beffa del lettore per 500 anni, in un gioco di specchi, di sdoppiamento, d'identità contraffatte, da far girare la testa.