16 giugno 2013
Questa mattina, dopo aver fatto una lunga nuotata in un mare dall'acqua ancora fredda, sono andata nella valle sicura di incontrare Vitaliana e Ramon, il poeta barcaiolo. Infatti erano lì, con altri due amici, pronti a salpare.
In questi ultimi miei lavori (Giuliana Anicia è qui?, Gli alberi erano Dei e Splendore e oscurità, realizzati in occasione del Festival "Donne verso il mare aperto"), il processo creativo segue il percorso del fiume. Parto da sola, preferibilmente, in bicicletta e mentre osservo la natura che mi circonda "vedo" il lavoro. In realtà non sono sola, l'esperienza mi ripete che siamo in tre; Ildegarda, io, la bicicletta. Insieme " ...cadiamo nello stesso tempo e nello stesso spazio... e formiamo un'unica entità nella quale il visibile e l'invisibile sono la stessa cosa... " Allora più correttamente dirò che partiamo in tre e formiamo la sorgente.
Il luogo della sorgente, devo riconoscerlo, devo comprendere il segreto dell'acqua appena nata, ancora nascosta agli sguardi. Ma sono una figura dell'acqua e sento nel suo canto una voce che mi indica ciò che determina la sua essenziale qualità. Appena individuo il percorso da seguire informo Graziella e Claudia. Allargo poi il cerchio ad artiste e artisti amici disposti a condividere con me il viaggio. E sono Gigi, Michela ed Elena, Selina, Caterina, Valeria, Sara, Riccardo, Gilberto, Stefano. Poi si crea il miracolo della moltiplicazione. Claudia mi fa vedere un video che narra tumulti e passioni condivise; la performance è di Vitaliana.
Vado ad ascoltare il concerto Lavorare stanca e rimango incantata dall'azione di Valentina. E così Vitaliana e Valentina allargano il letto del fiume che continua a scorrere con forza sempre maggiore perché si crea una forma spontanea di reclutamento. Nel coro, che coro non è, vorrei tutte le amiche e gli amici e gli amori di una vita come pure parenti stretti e lontani. Vorrei la mia genia al completo.
L'evento si svolge in piena estate e naturalmente nel percorso ci sono anche le secche provocate dalla mia ansia e dalla mia paura di non riuscire a realizzare tutto ciò che la mia mente continuamente produce. Lavoro sulle azioni; disegno scene e movimenti, creo percorsi alternativi, sempre più semplici. Vorrei inserire anche la citazione della Cacciata dal Paradiso terrestre di Masaccio, ma dove trovo un ragazzo e una ragazza disposti a spogliarsi per reali questioni artistiche? Dopo le secche, però, ecco le rapide dei grandi fiumi. Come questa mattina.
Chiedo a Vitaliana, che, in mezzo alle vie dell'acqua, nella valle, dava ordini da grande regina, se quei marinai erano suoi amici. E lei, ridendo, "No, li ho conosciuti questa mattina". Ramon scende dalla barca e mi chiede se può partecipare anche lui perché è un poeta. Può partecipare a che cosa?
A metà degli anni '50 mio babbo, nei giorni festivi, come questo 16 giugno, portava le mie sorelle, mio fratello, me e alcuni nostri amici in un capanno da pesca, nella valle di Marina Romea. Di fronte alla casa dove abito ora in estate. Credo anche di averla individuata. Non era proprio un capanno perché era in muratura, aveva stanze per dormire e una grande camera con il camino. Arrivavamo da Cesena fino a Marina di Ravenna e lì c'era ad attenderci il custode che con la barca ci accompagnava al capanno.
Il viaggio in barca, attraverso i canali della valle, è rimasto impresso a tal punto nella mia memoria che ora, dopo sessant'anni, sono qui a tentare, ancora una volta, una risposta. Allora ero un'adolescente e l'adolescenza è il tempo dell'errore veggente, dell'illusione. Nella ricerca del confronto tra me e il mondo, l'adolescenza è la storia dei miei errori; di pensieri e di emozioni che costantemente mi trascinavano nell'altrove. Un errore.
Quando, a notte inoltrata ripercorrevamo i canali della valle, di fronte a noi, come una grande cattedrale artificiale piena di luci, risplendeva il polo industriale e io ne ammiravo la fredda bellezza senza comprenderne il grande danno. Velocemente ha cancellato la strada che da Ravenna portava al mare costeggiando il canale e ricordava ai ravennati che la loro gloria, fin da tempi remoti, ha avuto origine dalle vie dell'acqua. Ma nonostante gli errori e la confusione, mi è rimasta quella stretta al cuore che da diverso tempo tiene il mio sguardo ancorato alla valle. E il suo inizio ha origine proprio nel tempo della mia adolescenza.
E ha avuto la sua origine da una dicotomia che si ripete, moltiplicata, anche oggi. La strada che dalla città porta a Marina Romea, a destra accompagna la cloaca industriale che come puttana senza pudori sputa liquami e forme portatrici di sventura; a sinistra invece la visione della valle evoca il tempo delle piante, dell'acqua e delle sue creature. Percorrendo la strada non posso dire: "Sto un po' qua e un po' là".
Ho scelto la valle. Ho scritto delle sue metamorfosi e dei suoi tramonti. Ho scattato centinaia di fotografie, ho realizzato acquerelli che ne traducevano, allo stesso momento, luci e atmosfere diverse. Ho messo la valle al centro delle mie giornate come fonte di continua ispirazione. Ho esteso a tal punto il suo e il mio orizzonte che sin dalla prima luce mi raggiunge in tutti i percorsi. Cresce con me nei miei lavori e con loro si ingrandisce, si dilata. Ora, sempre insieme, abbiamo preso la via dell'evento, dell'azione. Mi sono presa una porzione di valle e su questa lavoro.
Oggi è il 21 giugno e domani il plenilunio sarà rosa.
Ieri la valle mi ha posto il suo enigma. "Guarda, il tuo evento sarà un controluce". Devo aver esagerato. Ho realizzato con troppa fedeltà il pensiero di Ildegarda: " ...lo Splendore dell'innocenza si Oscurò e gli occhi divennero ciechi." E gli occhi divennero ciechi. Ecco il rischio che corre il pubblico.
Ho portato a estreme conseguenze il desiderio di quegli artisti che vogliono coinvolgere gli spettatori. All'enigma della valle rispondo che, senza difese, tento di rivelare l'essenza delle visioni che quotidianamente mi dona. Anche contro luce. Come negli altri due eventi, memoria e contemporaneità, si confrontano con l'empatia di amiche e amici disposti a lavorare in luoghi per me fatali. In Giuliana Anicia è stato il mare che continua inesorabilmente a rispecchiarsi nella mia persona e non lo posso dimenticare, a meno che non dimentichi me stessa. Anche questa mattina, quando sono entrata in acqua, e ho visto il suo colore di puro cristallo e la sua vastità, mi sono sentita beata e ho ringraziato, ad alta voce, l'eventuale creatore.
Io stessa mi sono meravigliata di questa forma di ringraziamento. Mi sono subito ripresa e ho pensato che l'eventuale creatore mi dovrà spiegare l'ingiustizia nei confronti delle donne. Fin dall'origine. In Gli alberi era Dei è stata la passione e il lutto per la pineta colpita a morte. In questa trilogia sono presa da una profonda caritas verso gli altri esseri viventi. Ecco. Non potrei realizzare un evento in un luogo che non mi appartiene, che non conosco. In montagna, ad esempio, dovrei riappropriarmi di un territorio che da tanto tempo non frequento più e pur nella sua grande bellezza mi vede estranea.
Lo so. Sono ammalata. Quando, raramente, soprattutto in estate, mi sono trovata in un luogo di montagna o in città d'arte, guardavo l'orizzonte, alla ricerca del mare. Rientro nella valle che ho qui di fronte. In questi pomeriggi solitari, ascolto il silenzio profondo della vita in terra. Ancora. Come negli altri due eventi non userò effetti speciali, amplificazioni, fonti luminose artificiali; sono elementi esterni che non giungono fino a me, mi trovano assente. Per dire quel tanto che c'è da dire sono sufficienti qualche secchio, abiti di rossa passione e di nero lutto, canne e sagome di uccelli. Suoni, canzoni, parole, piume, stormi in volo, in una valle che dal ricordo dello splendore di armonie sognate si trasforma, attraverso figure e azioni inquietanti, nell'oscurità di una colpa e nel luogo di una perdita collettiva. Siamo uccelli senza ali sperduti tra l'erba. L'assurdo corteo della fine segue, in reciproche cecità, suoni di inverosimili illusioni.
12 settembre 2013
Mi sta accadendo ciò che ho già vissuto nel racconto Tappeti d'acqua. E così ogni tanto nella mia vita qualcosa o qualcuno mi si mette di traverso; e io inciampo, cado e per un po' la mia anima vola via. Nei Tappeti d'acqua erano i veleni che il fiume Po scarica nel mare. Ora sono le pubbliche relazioni che non so gestire. Gli avvenimenti esterni non mi prevedono; come io sono fuori di loro, così loro sono fuori di me. Non solo non dovrei mai comparire nelle pubbliche relazioni o nei luoghi dove ci sono le cosiddette manifestazioni culturali e artistiche, ma le mostre, soprattutto quelle collettive, andrebbero eliminate perché essendo avvenimenti esterni sono avvenimenti superflui nei quali è sempre assente lo sguardo buono per guardarsi attorno.
Si crea invece il gioco perverso delle apparenze, nel quale si insinua una visione distorta e malevola delle persone e delle cose. Così lo sguardo deforma tutto e vede in modo distorto anche l'azzurro del cielo e la rossa meteora della mia passione che ha la sua origine da Passus, participio passato di pati, patire. Patire l'assenza di una libera e traboccante distesa di stagioni di Alcione, di campi arati, di chiare lune e di infuocati tramonti africani qui nella mia valle. Patire, come dice il filosofo Roberto Barbanti "...nel "mondo dell'arte" la perdita di nozione di dimora... Essere a casa... e quando sei a casa sei in un contesto dove ti senti sicuro, in uno stato di tranquillità emotiva, affettiva, intellettuale... ".
È dall'inizio degli anni '80 che tento di costruire "la mia casa". È dall'inizio degli anni' 80 che tento di inserire le relazioni al centro del mio lavoro, per costruire un rapporto inedito tra gli esseri; lontano dai luoghi precostituiti e autoreferenziali dell'arte. Bene. Ci sono riuscita solo ora, ma ce l'ho fatta. Le mie amiche e i miei amici, per me, hanno fatto miracoli. Valentina, meravigliosa cantante e violinista è venuta, il pomeriggio del 21 luglio, in bicicletta con zainetto e violino compresi, da Cesena fino qui e sono cinquanta chilometri sotto il solleone.
Michela, Graziella, Selina, Franco, Gigi, Valeria, con le loro auto sempre pronti ad accompagnare e riaccompagnare. E due famiglie intere a collaborare nei vari settori. Infine mio nipote Federico e mia figlia Marcella. Mentre scrivo mi commuovo ancora perché a una certa età le lacrime scendono più facilmente. Ma la presenza di Federico e Marcella, lì nella valle, testimoniava la potenza degli affetti nella loro totale e disarmante autenticità.
Ancora. Vitaliana ha realizzato la sua performance con una barca traballante piena d'acqua e di questo problema non si è vista traccia. Selina, coreografa e direttrice di scena, è riuscita a trasformare con la sua potente azione, le deliziose allieve del Liceo artistico, in esperte funambole e con uguale impegno ha animato il coro. Per i musicisti poi sono state sufficienti una o due prove per comprendere le vie dei loro suoni.
Tutte e tutti sono artisti erranti che abbandonato, per poco, il loro luogo, sono venuti nella mia valle. Con la loro collaborazione credo di avere realizzato questa idea dell'essere insieme, del fare insieme che è il senso vero e proprio di fare le cose. E infine, nei tre eventi, ho tentato di dimostrare che ciò che accade attorno a noi è in noi.
Foto di Nicola Strocchi
Video di Giacomo Banchelli