Lo stiamo salutando, piano piano, poco a poco. Va e viene, non si decide, però. Era arrivato l’autunno, anche quest’anno, come ogni anno. Puntuale, come sempre. L’aria si era rinfrescata, il vento si era deciso ad aleggiare leggero fra i capelli increspati dal sole cristallino. Gli ultimi raggi illuminavano e salutavano le foglie che cadevano, foglie che davano un ultimo addio a una coppia di innamorati che passeggiava abbracciata lungo un viale da loro stesse avvolto. Ricordi moscoviti. Quelli che adesso riaffiorano, con prepotenza. La luce dell’estate aveva lasciato posto al colore oro del tappeto erboso, morbido, lucente, una coltre che si rifletteva nelle cupole dorate dei monasteri vicini. C’era quella consueta malinconia nell’aria, per un altro anno che se ne andava, ma ci si teneva per mano, guardando una statua che stava lì da più di cent’anni, che tanti volti aveva visto passare, tanti baci, tanti abbracci, tanti saluti affettuosi. Tanti anni e volti.
Guardavo quella statua con tenerezza, sembrava volermi raccontare tante storie, volermi dire che la vita è bella, che tutti viviamo le stesse emozioni, vediamo le stesse cose pur da angoli diversi, soffriamo le stesse paure, amiamo allo stesso modo, ci salutiamo con le stesse parole, ci rivediamo con lo stesso entusiasmo, ci abbracciamo con la stessa forza, ci prendiamo per le stesse mani, ci abbandoniamo allo stesso colore del cielo, ci ripariamo sotto gli stessi alberi, quando le nuvole piangono le stesse lacrime.
Mi piaceva camminare per le stradine di un parco poco frequentato, verso le dieci di domenica mattina, a Mosca, quando non si era ancora in tanti a passeggiare. Sarebbero bastate un paio d’ore e quelle stradine si sarebbero riempite di bambini vocianti, di ragazzi scalpitanti, di famiglie che si riunivano per un pranzo fuori, di cani che scodinzolavano.
Sotto quegli alberi dalle chiome ambrate scioglievo le briglie dei miei pensieri, quelli ribelli che vorrebbero volare via, sempre, quelli stanchi che cercano riposo, quelli allegri che vogliono scrivere, quelli fantasiosi che pensano al balletto di domani sera. Quelli veri, quelli che sono tanti. La stessa sensazione mi pervade ora che la primavera sta arrivando.
Mi sentivo un po' come d’autunno sugli alberi le foglie, per la caducità della vita di quei rami ma forse anche perché non sapevo bene quanto sarei rimasta ancora lì, in quel luogo tanto amato. Speravo ancora un po’, ancora il tempo di vedere tante cose, di capire un’anima complessa come quella russa, anche se per questo il tempo non sarà mai abbastanza. Volevo vedere almeno un altro autunno, lì. Sarei partita presto, invece. Eccomi qui. E a Primavera.
Una vecchia signora che aveva già messo il capellino di lana fatto all’uncinetto (si era semplicemente fidata del calendario, perché faceva ancora caldo) zoppicava leggermente lungo il vialetto. Trascinava un carrellino malconcio di stoffa a quadretti, accompagnata dal suo cagnolino bianco e nero. Diretta sicuramente al mercato, quello della domenica, dove si possono comprare verdure fresche, dolci e croccante pane nero ben cotto. Un bambino correva dietro a una palla colorata, un ragazzo teneva per mano la sua dolce fidanzatina, una bicicletta gialla con le ruotine si impigliava nelle foglie svolazzanti, uno skateboard frizzante sfrecciava come se fosse solo. Un lampo quasi geniale.
Pochi si guardavano veramente intorno, passavano di lì come se fosse un giorno normale, era, in effetti, un giorno normale se non fosse che era il primo giorno d’autunno. Saluto ora quell’autunno che scompare per ritornare presto, ora, a pochi giorni dal primo giorno di Primavera. Un autunno di quelli veri, dove le foglie cadono veramente a ogni minimo alito di vento, dove il rumore del loro calpestio accompagna le note delle musica che si sente nell’aria, dove l’aria è fresca e frizzante. Alla vicina università si preparava una giornata di festa. Forse per scacciare la malinconia di una stagione che se ne va, di un inverno che arriverà, però, prendendoci per mano. Perché una mano calda sarà lì ad attenderci, vicino a un camino, accanto al fuoco dell’amicizia e dell’amore. E allora la malinconia se ne andrà via e le foglie cadranno senza fare alcun rumore. Aspettando di essere accolte dal candore della neve. Ed è di nuovo Primavera. Ora.