Senza l’inferno viene meno ogni ‘verticalità’ dell’esistenza, ogni apertura al Cielo, e inizia a dominare la scena della mente un’orizzontalità galleggiante, fluida, senza peso, né direzione. Il concetto di ‘peso’ teologicamente indica la ‘psicostasìa’, cioè il giudizio sulle anime, espressione della sovranità di Dio sulle sue creature. Anche nella lingua latina la ‘sub-stantia’ è ciò che sorregge dal profondo l’esserci. Cristianamente questa ‘sostanza’ che regge tutto è il sacrificio di Cristo, massima gloria di Dio. Un pensiero scettico ovviamente non può comprendere né tollerare una vita quale militia, quale prova, cioè giudizio e impresa, ma al massimo celebra una vita quale otium e autoaffermazione fine a se stessa.
Se la morte è giudizio sul peccato originale, frutto naturale dell’aver reciso la perfezione divina originaria, l’inferno non è altro che la ‘seconda morte’ di cui parla san Francesco nel suo Cantico, citando l’Apocalisse di Giovanni. L’inferno è la ‘morte dell’anima’, che diviene eterna in quanto dopo la morte si esaurisce il tempo e l’essere umano vive per sempre in una dimensione di eternità. Questo si comprende bene se si ricorda che secondo il Cristianesimo l’uomo è già eterno, per volere di Dio. La differenza fra l’eternità dell’uomo e quella di Dio è facile da definirsi: quella di Dio è congiunta al Sommo Bene ed è sia verso il futuro che verso il passato. Quella umana ha una data di inizio ed è soggetta a debolezze e imperfezioni derivanti dal peccato originale e dalla morte che ne è conseguita.
La morte stessa, tuttavia, grazie alla Morte e Resurrezione di Cristo, non è che una fase temporanea di separazione dell’anima dal corpo. Alla fine dei tempi ci sarà la reintegrazione dell’uomo nella sua naturale unità di anima/corpo nella Gerusalemme celeste. Lamentarsi razionalisticamente contro l’ingiustizia dell’Inferno, conseguenza della Giustizia divina in rapporto alle prime colpe creaturali, è come lamentarsi dell’esistenza di una malattia contro il medico che reca la medicina. Non ha senso! Il ‘sistema cristiano’ appare al suo interno molto logico e coerente: o lo si rifiuta in toto o si è chiamati a comprendere le ragioni teologiche rigorose ed eque dell’Inferno; la cui presunta non esistenza rende vano e inutile sia il compiere il bene che il ruolo stesso di Dio. Il peccato non offende, come il reato, una normativa umana, di potere, politica, ma lede l’essere stesso dell’uomo, il quale, dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, appare chiamato alla divinizzazione e ogni attimo di vita terrena esprime in questa visione un valore infinito e sacrale. Come in Cristo natura divina e natura umana sono unite nella medesima persona, per cui Cristo è eterno e storico nel contempo, così l’umanità è come un albero le cui radici sono in Cielo e i rami sulla terra. Ogni azione e opera umana ha un valore sia umano che un riflesso nei mondi divini. Per questo ogni atto e ogni scelta umana ha effetti animici e cosmici.
La stessa Chiesa ha senso in quanto esiste un Inferno da cui le anime vanno salvate con l’insegnamento, i sacramenti e una vita vangelica. L’esigenza di ‘un’evoluzione spirituale’ oltre la morte è già assicurata nel e dal Purgatorio e Paradiso cristiani, in quanto la stessa santità non sarai mai totale e rigidamente ‘ferma’ ma è apprezzabile anche quale ‘movimento di continua salita’ e continua relazione verso Dio e dentro l’infinità di Dio. Se infatti Dio è da sempre già perfetto e infinito, la sua gloria ‘relazionale’ evolve e cresce, come la sua Chiesa e come l’Apocalisse ci insegna quanto ci parla della fine di tutto: quando in ogni cosa Dio sarà ‘tutto in tutto’. L’apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse ci conferma del carattere militante della visione cristiana e santifica il ‘grido di giustizia’ che i martiri elevano verso il trono di Dio.
Il pensiero scettico rifiuta tutta questa visione in quanto propone un ‘Dio dei filosofi’, astratto e impassibile, del tutto differente dal Dio cristico-vangelico, incarnato e personale. Già Lattanzio ci insegnava che il Dio cristiano non è ente impassibile ma è un Dio che può e sa ‘sdegnarsi’ e arrabbiarsi, altrimenti farebbe torto alla giustizia e sarebbe un Dio che ama la tenebra o che parifica giusto e ingiusto, alla maniera del manicheismo.
Qui occorre operare un’inversione ermeneutica rispetto al pensiero scettico per comprendere l’identità specifica del Cristianesimo: non è l’uomo che inventa Dio, ma Dio che inventa l’uomo e lo crea a ‘Sua immagine e somiglianza’. Questo significa che l’umanità esiste dall’eternità dentro Dio, modello vivo e perfetto dell’umanità storica, non solo quale ‘pensiero di Dio sulla nostra nascita’ ab aeterno ma anche quale umanità come ‘aspetto intimo della natura divina’. Lo dimostrano chiaramente tre passi: la figura umana di Melkisedek, re e sacerdote eterno, superiore ad Abramo padre della fede, la visione di Ezechiele (2,1) e di Daniele (7,13) sulla figura di ‘uno simile a figlio d’Uomo’, ripresa identica nell’Apocalisse di Giovanni, e la visione giovannea dei quattro Viventi che reggono il trono di Dio e che ne esprimono l’intima natura: Quello simile a Leone (la gloria e la regalità), Quello simile a Toro (il sacrificio), Quello simile ad Aquila in volo, (la sapienza e l’omniscienza) e Quello simile ad Angelo, e, quindi, all’Uomo (Ap. 4,7). ‘Poco meno degli angeli ci hai creato’ (Salmo 8,6).
Se tutto ciò appare irrappresentabile secondo il pensiero scettico occorre ricordare ad esso la visività fortissima delle Sacre Scritture e la ancora più intensa irrappresentabilità e ‘non pensabilità’ di concetti scientifici come ‘l’anno-luce’ o il ‘quark’ o le altre particelle sub-atomiche. ‘L’invisibilità’ non dovrebbe essere più una questione dirimente se la fisica più avanzata opera quasi completamente in mondi non visibili neppure al microscopio, fondandosi quasi solo su ipotesi matematiche! Naturalmente il pensiero scettico, in quanto pensiero ideologico, ha cura di non ricordarsi della teologia concreta e salvifica dei sacramenti e della teologia della misericordia di Dio, in quanto svaluterebbero e disinnescherebbero l’operazione polemista di messa in crisi del Cristianesimo tramite la messa in crisi dell’idea di inferno.
L’operazione culturale scettico-agnostica oltre a non uscire dal paradosso di giudicare ingiusto un Dio per natura perfettamente giusto, anche in quanto punisce l’ostinazione nella malvagità, veicola altri due ultimi problemi ermeneutici: come sia possibile razionalmente giudicare Dio, che è l’unico sommo Giudice nella visione teologica, e come sia possibile negare la libertà umana di dannarsi. Secondo il primo aspetto lo scettico giudica Dio senza credergli e senza considerare la voce di Dio: le Sacre Scritture, le tradizioni profetiche, il fenomeno del miracolo (fatto scientificamente attestato) e i santi cristiani, altro fatto storico e umano concreto. Sarebbe come se uno scienziato volesse studiare la luce chiudendo gli occhi. Può uno storico studiare la storia negandone i documenti perché non graditi? Per il secondo aspetto rifiutare la realtà teologico-metafisica dell’inferno significa volere un Dio-Padrone che ‘costringe al bene’ gli uomini, come un dittatore o un ideologo. Può essere giusto e buono Dio se costringe l’uomo come un fantoccio o un animale ad essere o fare qualcosa? Nel campo semantico dello spirito la vita interiore è costringibile? Non sarebbe una patetica contraffazione del vero bene? Non solo: può la grazia, e la misericordia divina, operare se è rifiutata? Un dono è ancora un dono se viene rifiutato prima di essere conosciuto?
È esattamente quello che fa il pensiero scettico di origine settecentesca: rifiutare il Cristianesimo e nel contempo non volere conoscerlo! L’assenza dell’inferno rende tutto relativo, precario, incerto, compresa l’ontologia del reale e del vero. Tutto assume i contorni dell’apparenza, della recita, dell’ipocrisia. Il regno dell’inferno è il regno del moralismo, dell’uomo senza Dio ma che vuole essere come Dio. L’anticristo è semplicemente il volere il Paradiso ma senza Cristo, il volere un Paradiso da soli, il riversare su Dio la colpa angelica e quella umana, come se Dio avesse dovuto impedire la libertà alle sue creature. Non a caso il Dio che apprezza, come idea, il celebre Vallauri, è un Dio ‘seduttore’. Non è un caso che il professore usi questo termine, scritturalmente attribuito a Satana e non a Dio. Se infatti l’avversario se-duce, cioè conduce se stesso nella mente dell'avversario da soggiogare, Dio invece per sua natura ad-trae, cioè attira a se stesso, alla propria divina vita. Il pensiero scettico relativizzando la libertà e la dignità umana concepisce il bene solo quale seduzione, cioè illusione vincente.
I due movimenti sono opposti e non conciliabili. Gli scettici ideologici antropizzano Dio e idolatrano le loro convinzioni intellettuali. Museificano il Paradiso, rifiutano la differenza fra eternità e temporalità, rifiutano il concetto di giudizio. Nietzsche fu più vasto di pensiero e riconobbe che ‘tutto è giudizio’ nella vita umana. L’inferno è uno dei piatti dalla bilancia cosmica che Dio tiene nelle mani. Ma non lo ha costruito Lui! Il senso del peccato, e il connesso tema della responsabilità, va infine apprezzato secondo la visione cattolica per quello che è, e non per le sue deformazioni folkloristiche ridicolizzate dallo scetticismo. C’è, quindi, peccato mortale, che indebolisce e corrompe l’anima ponendola in uno stato di malessere pre-infernale, solo in compresenza di tre condizioni:
a) una materia grave (un allontanamento grave da una delle dieci indicazioni delle Tavole);
b) la piena consapevolezza;
c) un deliberato consenso.
Tutto ciò ha un senso in relazione alla dimensione del libero arbitrio e della vita quale vocazione divina da Dio e verso Dio. Il pensiero scettico ideologico usa la ragione contro il Logos, usa aspetti del Dio cristiano contro altri aspetti della visione teologica, comportandosi come il seduttore nel deserto che per tentare di separare Cristo da Dio citava, pervertendole, le stesse Sacre Scritture (Luca, 4).
Vallauri non parla del valore rieducativo dei sacramenti e della via della conversione quando critica l’assenza di ‘rieducatività’ nella pena infernale, e finge di scordarsi del tema essenziale della Croce, nella quale Dio si pone come ‘all’inferno’ al posto nostro, e immagina un assurdo e ridicolo mondo ultraterreno dove Dio discute all’infinito con il peccatore incallito, come in un mercato di contrattazione, ‘umano, troppo umano’!
Tutto ciò è logico perché il pensiero scettico volterriano è il pensiero liberale della tolleranza assoluta (purché non intacchi il proprio egoismo individualistico, unico dogma), del relativismo indifferenziato e indifferenziale, del compromesso e della negoziazione totalizzante. Un pensiero mercantilista che ha un unico idolo tirannico: il benessere individuale e immediato. Per cui tutto ciò che mina una possibile ‘empatia’ è visto come non ragionevole, in quanto non liberale e, quindi, oscurantista. L’inferno è l’antitesi ‘dell’empatia’, ma non certo per colpa di Dio! Vallauri si inventa una necessaria quanto indimostrata necessità di empatia fra salvati e dannati, che non solo non è mai esistita nel pensiero cristiano, neppure eretico, ma non presenta alcun valore semantico. È autocontraddittoria! Si tratta di una semplice esigenze psicologica di tipo sentimentale e ‘buonista’ che non presenta alcun fondamento razionale o ragionevole.
I presupposti stessi di tale bizzarra percezione sono antinomici perché o si è manichei, ponendo bene e male, inferno e paradiso sullo stesso piano di valore o di importanza ma quindi pensandoli operanti in senso oppositivo e mai conciliativo, oppure si è panteisti-olisti in senso assoluto e allora non esistono più né inferno e né paradiso, posizione che possiamo definire di ‘socinianesimo estremo’. Il calvinismo polacco, infatti, degenerò in eresie antitrinitarie che portarono all’eresia dei due Socino, zio e nipote, i quali negavano la divinità di Cristo e, quindi, non possiamo neppure considerarli pensatori cristiani! La critica non cristiana e anticristiana di Vallauri (mascherata da critica razionale tramite la citazione di alcuni concetti/principi giuridici) alla visione cristiana dell’Inferno si fa acuta e delicata solo alla fine della sua breve dissertazione quando, riferendosi alla ribellione angelica, afferma che ‘essendoci un prima, un durante e un dopo’ allora c’è il tempo anche nell’eternità e pertanto non si può rifiutare in modo irrevocabile Dio; quindi, non ha senso l’irrevocabilità dell’inferno.
Si tratta naturalmente di un ragionamento sofistico che cita della Sacra Scrittura solo quello che interessa a favore della propria tesi preconfezionata ma rifiuta o dimentica altre dimensioni teologiche altrettanto importanti. Siccome solo Dio è totalmente Dio non è una contraddizione ritenere che nei mondi invisibili ed eterni vi siano dei ‘tempi’. La stessa Sacra Scrittura lo dichiara quando afferma che un giorno in Cielo equivale a mille anni sulla terra (2Pt., 3). Questo non c’entra con la natura angelica che non è la natura umana, sempre libera di fronte a una scelta, e quindi è tale da essere capace solo di atti non revocabili. Siccome gli angeli sono creature spirituali e vivono dentro Dio, nei Cieli, in un ‘tempo eterno’, cioè all’interno di mondi invisibili creati da Dio, allora non è possibile per loro ritornare su di una scelta così fondamentale come quella di obbedire a Dio o non obbedire alla sua volontà. Il Cielo, infatti, è il ‘luogo della Volontà di Dio’, pertanto non può esistere un luogo in Cielo dove si possa essere un po' per Dio e un po' contro Dio, per una creatura angelica.
L’uomo e solo l'uomo ha un ‘tempo di libero arbitrio’, che è la sua vita terrena, ma non gli angeli, che lo hanno consumato tutto in una volta di fronte alla scelta di accettare o meno il progetto di salvezza divina per l'uomo tramite l'Incarnazione nel tempo dell'eterno Gesù Cristo. In quell'attimo sorge Mi-ka-el con il suo nome-grido di battaglia e Lucifero si autodegrada in Satana con il suo opposto grido: Non serviam! Grido che lo rende per sempre l'oppositore contro Dio, non più angelo ma contro-angelo, per sua natura sconfitto per sempre. Poteva Dio costringere tutti gli angeli a obbedire alla sua visione di salvezza per l'uomo, mostrata a loro nell'eternità prima della caduta umana dall'Eden?
Per Dio ogni tempo è presente e fermo di fronte a Lui. Questo è un mistero che non possiamo concepire ma solo avvicinare, eppure a sua volta logico, conseguente al concetto stesso di Dio. Vallauri continua il suo de-lirio ritenendo che ‘una foresta’ sia più concreta del battesimo, oltrepassando il senso del ridicolo. Di una foresta pochissimi possono avere esperienza mentre il battesimo è proprio il fatto concretissimo dell'atto compiuto con l'acqua e con le parole che salva dall’inferno secondo la visione cristiana!
Tutto ciò dimostra come sia molto difficile uscire senza le ossa rotte in un ragionamento non cristiano dentro la metafisica cristiana e proprio alla fine del suo breve e provocatorio saggio il nostro imprudente professore compie un totale autogoal semantico-logico giungendo a sostenere che l’incontro con Dio è ineludibile e che il fuoco eterno, che è Dio, per alcuni sarà quello dell’Inferno, per altri quello del Purgatorio (più dolce e temporaneo) e per altri ancora quello beatifico del Paradiso. Ma proprio questa è la dottrina teologica cattolica che il pensiero scettico tanto disprezza! Tutto è in Dio e tutto si fonda su Dio, anche il suo più radicale rifiuto, quello angelico. Dio, infatti, non si contraddice in quanto è Dio dell’Essere e Creatore della vita, e quindi non annulla o elimina le creature angeliche cadute (demoni) né lo stesso diavolo né chi ha scelto l’inferno. Ma neppure può dar loro accesso alla beatitudine eterna che ha preparato per i suoi amici, per coloro che hanno accolto i suoi doni e seguito la via da Lui indicata.
Siccome Dio per natura è eterno, è eterno anche il suo regno, il Paradiso, ed è quindi eterno logicamente anche il mondo di tenebra delle sue creature angeliche e umane che lo rifiutano, restando così sole a vivere la loro ontologica negazione. E siccome solo Dio è Sommo Bene e nel mondo dell’eterno non ci sono più relatività ma solo il Sommo Bene, chi lo rifiuta si relega nella somma privazione del Sommo Bene, cioè nel terribile luogo che si può descrivere solo in negativo quale luogo di disperazione, assenza di luce, dolore e violenza. Tutto questo anche perché lo scopo della creazione divina è proprio quello del ritorno glorificato della creazione stessa nella sua origine: Dio.
Se esiste un luogo chiamato Dio e se è un Dio personale, creatore e salvatore, allora deve esistere un luogo che include le persone che hanno rifiutato Dio. Lo esige non solo la logica e la giustizia divina, espressione a sua volta del medesimo amore divino, che se non fosse anche giusto non sarebbe amore per i giusti e quindi non sarebbe vero amore, ma lo richiede persino la dignità creaturale dei dannati. Il Dio cristiano non è un Dio dialettico, processuale e impersonale che ‘riassorbe’ le ‘scorie’ in modo industriale-fantastico, ma è un Dio persona che conserva l’eternità personale anche in chi lo odia. Non può contraddirsi essendo Sommo Bene!
L'errore di base di tale pensiero anticristiano lo sintetizza proprio il nostro professore quando scrive nel suo articolo che ‘Dio è inferno’, elaborando un'equazione del tutto errata in quanto fondata sulla supposta ed errata equivalenza tra Creatore e creatura, bene e male, alto e basso, amicizia con Dio e odio verso Dio. Cristo resta Cristo quando scende negli inferi e c'è una grande differenza fra ostilità contro Dio, il peccato mortale ostinato, e caduta nell'inferno, mera conseguenza dell'ordinamento del cosmo.
Il pensiero appiattente e nichilista che confonde Dio con i suoi attributi (la Giustizia) e i suoi attributi con le conseguenze della loro trasgressione (l'Inferno) si rivela un ‘non pensiero’ che celebra la confusione e l'indifferenza. La pena infernale poi per sua stessa natura è perfettamente proporzionata, giusta e corrispondente al tipo e all’intensità del peccato mortale in cui si è vissuti in quanto solo Dio è giudice infallibile e in quanto tale pena non è altro che la condizione d’esistenza senza Dio che continua nell'eternità privata però di ogni illusione o suggestione o autoinganno, perché Dio è Verità e non esiste inganno nelle dimensioni ultraterrene.
Per cui i dannati avranno esattamente quello che hanno perseguito e desiderato per la gran parte della loro vita: una vita pienamente senza Dio, cioè solo con se stessi e con il massimo dispiegarsi degli istinti di ferocia, predatori, sopraffattori e sadici propri delle dimensioni umane più animali e inferiori. Ora possiamo comprendere appieno il fiero sdegno con cui Dante ricaccia via nella sua pena il dannato violento Filippo Argenti, ricacciando pure da se stesso ogni tentazione di pietismo.