Le recenti declinazioni performative dell'arte e della rappresentazione intrecciano nel tessuto sociale e dei luoghi vissuti dagli individui nuove complesse reti, curvature dello spazio fisico che pulsano al ritmo dello sviluppo tecnologico e che irrompono attraverso forme identitarie di difficile definizione. La città, in questo panorama fitto di immagini (e di irradiazioni che le emanano), si confronta con dinamiche di adattamento che appaiono sospinte dalla capacità di immaginazione più che dall'attitudine alla razionale lucidità che coinvolge e contempla la facoltà critica.
La ricerca artistica, in particolar modo nell’ambito dell’arte e dello spettacolo digitale emerge in forma di flusso. Vi scorrono assieme discipline tradizionali e visioni sperimentali che, attraverso lo spazio pubblico della città, scoprono forme progettuali e creative sconosciute, nuove dinamiche cognitive e di riconoscimento reciproco, inediti linguaggi. Si interpreta il ‘teatro dei media emergenti’ quale luogo della ricerca attraverso cui prefigurare e progettare concrete possibilità per l'evoluzione e il passaggio da una società dell'informazione etero-diretta, a una società in grado di dare forma all'informe. Ciò fa emergere l'ulteriore ipotesi di ritrovare una condizione realmente dialogica dello spazio pubblico e dell'interrelazione sociale contemplando le nuove tecnologie come rete mediale capace di produrre creativamente informazione.
Da queste constatazioni deriva l'ipotesi di Pasquale Direse, autore del progetto di ricerca artistica, performativa, di design non convenzionale delle tecnologie emergenti ‘Medialize.it’, di dar vita a nuove forme di comunicazione e di aggregazione degli individui attraverso la condivisione dell’arte e della creatività.
Diramazioni artistiche e performative nella cultura immateriale
Pasquale Direse nasce a Rovereto nel 1981, durante la formazione scolastica (Laurea in Arti e Scienze dello Spettacolo, Master of Fine Arts a Groningen, Paesi Bassi), sviluppa il suo percorso di artista e ricercatore indipendente nell’ambito della videografia e dello spettacolo digitale, delle pratiche performative mediate dalle tecnologie emergenti, delle possibili contaminazioni e interconnessioni tra arte e scienza, delle reti complesse e dell’interazione tra essere umano e computer. Tale percorso culmina nel 2011, in Olanda, attraverso la realizzazione di una scultura cinetica interattiva, #Love, che letteralmente segna e rompe le pareti delle gallerie e, idealmente, quelle dei circuiti ‘chiusi’ dell’arte, per progettare nuovi modi d’elaborazione e d’uso delle tecnologie elettroniche e digitali, linguaggi espressivi non lineari orientati a scoprire lo spazio aperto e pubblico come laboratorio di ricerca.
Tra le sue opere Architectural Dressing, Scenografie Urbane Immateriali (con circuitazione mondiale, tra gli altri Brasile, Messico, India, USA); la trilogia d’arte pubblica Migrations, in occasione dell’Estate Romana 2015; un inedito ‘Museo Aperto della Capitale’, Rome Open Museum Exhibition, evento internazionale di New Media Public Art interattiva che ha coinvolto problematiche periferie della città come Corviale o Tor Pignattara ed emergenze monumentali tra le quali la Fontana di Trevi, l’Area archeologica del Teatro di Marcello, la Porta del Popolo in Piazza del Popolo; i Festival delle Luci di Frosinone e della Ciociaria. Realizzazioni dedicate a trasformare lo spazio pubblico in luogo relazionale e narrativo, a rendere l’architettura ‘epidermide’ mediale e sensibile attraverso la quale generare nuove relazioni sociali, realmente partecipative, nel complesso panorama delle odierne forme e declinazioni della comunicazione. Tali sperimentazioni hanno concentrato l’attenzione sulla possibilità e sulle potenzialità di rendere il ‘personal computing’ uno strumento aperto e co-creativo. Un computer collettivo il cui mainframe diventa la capacità creativa di mettersi in relazione, prendersi cura del bene comune, condividere un’unica realtà nella quale operiamo responsabili e consapevoli delle nostre azioni.
What are you doing after the orgy?
L’arte al tempo dei nuovi media non segna tracce materiali ma genera flussi, jam sessions, partecipazioni, presenze. Il territorio di tale esplorazione, complesso e imprevedibilmente sconfinato, è individuato da Jean Baudrillard come ambito d'indagine sulla ‘transestetica’. Un luogo di passaggio a tutt'oggi attuale in cui l'arte è dappertutto e tutto è arte.
Tutti sono potenzialmente artisti e tutto può essere trasformato in ‘opera d'arte’ da esibire in vernissage, gallerie, musei, spettacoli dal vivo o tecnicamente riprodotti. In questo status rischiano di svanire le avanguardie, i flussi performativi generativi di orientamenti, poiché al tempo della circolazione dell'informazione alla velocità della luce tutte le possibilità sono avverabili simultaneamente e tutti gli orientamenti sono percorribili. Sulla mappa 1:1 dell'informazione e della conoscenza, nello streaming dell'era Internet e del sovraccarico di dati, tutto rischia di passare in trasparenza, nell'indifferenza più totale. Una mappa che copre il territorio che essa stessa rappresenta. Svanisce l'idea stessa di orientamento. L'icona del mouse sullo schermo punta un'unica direzione mentre potenzialmente può navigarle tutte.
In questo territorio complesso, caotico, mediatico, emergono le immagini, come continuo diluvio che tempesta lo sguardo attraverso i confini di schermi sempre più ‘altamente fedeli’. Viviamo l’era delle immagini post-prodotte, etero-dirette, dei continui condizionamenti e dei conflitti psicologici che esse producono. Compito dell’artista contemporaneo deve divenire quello di scoprire tali confini conflittuali per aprire nuove forme di senso, per scoprire e svelare la bellezza del reale attraverso la scoperta della capacità di generare realtà. L’azione dell’artista è la responsabilità sociale di scoprire nuove forme e linguaggi capaci di generare intelligenza e sensibilità, dinamiche di riconoscimento reciproco attraverso le quali riconoscersi, prima d’ogni altra classificazione come esseri umani capaci di trasformare la realtà. In questo senso siamo tutti potenziali artisti.
La cosiddetta ‘società dell’informazione’ mette in circolo dati alla velocità della luce attraverso nuovi formati tecnologici, di controllo e di standardizzazione delle forme di comunicazione interumana e della nostra capacità cognitiva, della nostra capacità di confrontarci con la realtà. Se per informare si intende dare forma a ciò che prima era inesistente tale azione deve essere in grado di innovare, trasformare, rendere disponibile alla condivisione con gli altri, alla creatività e alla rigenerazione. Gli orientamenti contemporanei, pur esaltando una democratizzazione della conoscenza e la liberazione dai condizionamenti sembrano, invece, diretti verso l’esaltazione delle differenze, dei confini, dei conflitti, che emergono in modo lampante in questioni annose come l’ecologia, il razzismo, la guerra.
La stessa realtà diventa un dilemma nel panorama di sviluppi telematici e tecnotronici come la realtà aumentata, le piattaforme virtuali, l’intelligenza artificiale e il mind uploading o l’ormai quasi-obsoleta, ma resistente, televisione. Temi complessi che impongono di investigare la nostra capacità creativa a partire dalla tecnologia più arcaica disponibile, la nostra intelligenza, ovvero, la nostra qualità di osservare la realtà, nella consapevolezza di poterla trasformare, condividere, creare.
Nelle ricerche e nelle pratiche artistiche di Pasquale Direse l’arte, il teatro, l’architettura dell’interazione, vengono concepite come tecnologie del reciproco riconoscimento e attraverso questo riconoscimento e la capacità di osservazione della realtà, di affermazione concreta della creatività individuale nel riconoscimento della libertà creativa di tutti. Attraverso le nostre capacità artistiche, creative, interattive siamo capaci di concepire e creare armonia nel caos della natura. Ne è esempio l’intera Storia dell’Arte.
In questi orizzonti si dirama una ricerca artistica che sperimenta la collaborazione creativa, estemporanea, la ricombinazione delle tecniche e dei linguaggi per elaborare opere delle quali sono autori anche soltanto inconsapevoli passanti.
La città museo aperto
La ricerca performativa di Pasquale Direse individua la possibilità di rintracciare un approccio sperimentale agli studi delle tecnologie per l'arte e lo spettacolo digitale quale declinato in direzione dello spazio pubblico. In particolar modo ipotizza la sperimentazione di forme espressive peculiari attraverso le quali definire il campo d'azione e di ricerca dell'arte pubblica dei nuovi media. Tale orizzonte d'indagine emerge nel territorio complesso dell'ambiente urbano pensato topologicamente capace di vedere la città non come luogo geografico bensì come spazio di condivisione, interazione e generazione di memoria.
L’Artista studia l'ecosistema complesso della città (e della società in essa emergente) come locus ludens, come museo aperto, nel quale generare nuove possibilità poetiche attraverso la combinatoria creativa offerta dalle tecnologie emergenti. La città museo aperto, nelle ipotesi di Direse, rappresenta il topos di una nuova urbanità co-creativa, interattiva, nella quale possa affiorare una società capace di trasformare lo spazio pubblico in luogo produttivo della creatività e dell'arte. In essa al solipsismo prodotto dalla diffusione del ‘personal computer’ si intende sostituire la possibilità di generare ‘computer collettivi’, aggregazioni creative grazie alle quali far emergere una nuova forma di comunità: dalla società dell’informazione alla ‘società degli artisti’ che collaborano creativamente.
Architectural Dressing
Nel progetto di ricerca performativa con la creazione di scenografie urbane immateriali site-specific, Pasquale Direse sviluppa un percorso di ricerca, quale complesso generatore di flussi di partecipazione attiva, che contempla lo studio e l'analisi di una peculiare pratica artistica ritenuta particolarmente rispondente alla produzione dell'informazione ‘dialogica’: ‘l'installazione urbana interattiva’ e la ‘projection mapping art’ quali forme espressive che permettono al pubblico di diventare co-creatore dell'opera d'arte, di ascrivere il proprio segno in una memoria sensoriale e collettiva, in esperienze tangibili. Opere, in altri termini, che non potrebbero esistere senza la partecipazione attiva del pubblico. Siffatta espressione è esplorabile nelle molteplici forme proprie dell'arte pubblica come pure della new media art.
L’obiettivo dell’Artista è quello di elaborare strategie practice-led, concentrate sulla progettazione, attivazione, trasmissione e presentazione al pubblico della ricerca prodotta. Un laboratorio sempre attivo inteso come spazio connettivo e pulsante, teorico e applicativo, che si attualizza attraverso pratiche performative condivise con altri artisti ed esperti, da realizzare presso le problematiche periferie urbane, piazze storiche o monumenti antichi.
La ricerca performativa di Pasquale Direse procede in particolare attraverso progettazioni site-specific che esplorano il tema del museo aperto mediato dalle tecnologie emergenti in forma di realizzazioni mirate alla valorizzazione del patrimonio culturale, architettonico e paesaggistico della città o di territori individuati in base alle emergenze architettoniche e storiche artistiche. Intende dar vita a pratiche speculative e performative con le quali deviare il ‘nubifragio delle immagini’ nella direzione di nuove possibilità di lettura e interpretazione delle capacità poietiche della società contemporanea: la città museo aperto diventa così il territorio d'indagine attraverso cui studiare il passaggio dalla società telematica alla Società degli Artisti.