Immaginatevi un hippie venticinque anni prima che esistessero gli hippies. Immaginatevi un tizio che vive in una tenda sotto la prima L della gigantesca scritta che sovrasta Hollywood con moglie e figlio. Immaginatevi che componga una canzone nel 1947, la porti al manager di un cantante famoso, e che, visto il successo, con i diritti di quell’unico pezzo campi per quarant’anni, mantenendo per scelta lo stile di vita sobrio di un vegetariano dedito allo yoga e con la passione di correre da una parte all’altra degli Stati Uniti, tanto da ispirare uno dei momenti esilaranti del film Forrest Gump. Bene, quello che avete immaginato non è lo screenplay di uno sceneggiatore licenziato da Terry Gilliam perché troppo eccentrico, è (quasi) tutto vero, e al netto di qualche arrotondamento per eccesso, è la storia di Eden Ahbez, di cui voglio scrivere oggi.
L’occasione me l’ha offerta un bel concerto che ho sentito qualche settimana fa al mio amatissimo Serravalle Jazz. Quello di Mauro Grossi, pianista livornese bravo, colto e curioso, che si inventa sempre progetti interessanti sia sul piano musicale che su quello storico-narrativo. Nel 2012 ci aveva portato, sempre a Serravalle, gli inediti di Chet Baker raccolti da un compagno di carcere e arrivati a lui dopo mille peripezie, stavolta ci ha proposto il suo lavoro, a cui si è dedicato per anni, Eden, un cd uscito nel 2012 per l’ottima abeat e incentrato interamente su “Nature Boy”, la canzone di Ahbez portata al successo da Nat King Cole. L’avrete già sentita di sicuro, è questa.
Il lavoro di Mauro Grossi è svolto come Tema e variazioni. Significa che nella prima traccia del disco si può ascoltare una versione di Nature Boy (quasi) fedele all’originale. Dopodiché seguono quindici variazioni, alcune appena accennate, altre elaboratissime, tutte molto diverse fra loro per atmosfera, sapore, ispirazione e linguaggio. Vanno dalla tristaniana Lenny Boy alla yddish Alex der Yossem, alla Garcon Naturel in salsa francese, fino all’irresistibile contraffazione del tema in stile bepop di Naturology e alla ballad Goodbye, Goodboy.
Quello che si apprezza in questo cd, al di là dell’ottima musica, mai veramente ripetitiva nonostante la scelta di fondo, e di una band che suona meravigliosamente, è il rigore misto a curiosità con cui Grossi si tuffa in questo genere di esperimenti, passando anni a comporre (e in questo caso anche scomporre) i pezzi, a coinvolgere i musicisti, a convincere le case discografiche e poi a portare in giro il risultato in concerti sempre apprezzabili, anche per l’approccio simpaticamente didattico che mette nel rapporto con il pubblico, specie quando non è formato unicamente di incalliti appassionati di jazz, notoriamente tuttologi.
Al progetto su disco hanno partecipato, oltre a un’orchestra di ventiquattro elementi in alcuni brani, ottimi musicisti in pianta stabile, da Nico Gori (clarinetto) ad Ares Tavolazzi (contrabbasso), da Andrea Dulbecco (vibrafono) a Walter Paoli (batteria), il tutto sottolineato alla perfezione dalla voce elegante e sempre equilibrata di Claudia Tellini. La stessa Tellini è stata con Grossi e con il contrabbassista Nicola Vernuccio, protagonista del trio che ha deliziato il pubblico di Serravalle Pistoiese nell’ultima serata del festival agostano, chiuso (per inciso) dal magistrale concerto di Rita Marcotulli e Luciano Biondini, che meriterebbero un articolo a parte. Tornando a Eden, sia il disco che il concerto sono l’ennesima occasione per ricordarsi che la musica “suona” bene soprattutto se è fatta con passione e sincerità. In modo naturale, avrebbe detto Ahbez.
Mauro Grossi, Eden, Abeat Records, 2012.