In Sardegna, i pastori stanno protestando da giorni a causa dell’eccessivo ribasso sul prezzo a litro del latte di pecora, componente fondamentale del pecorino sardo e di altri formaggi tipici della regione: dato rilevante per l’industria casearia che contribuisce in maniera considerevole all’economia agroalimentare sarda.
La crisi che in questi giorni è sfociata in rivolta, ha avuto inizio lo scorso anno, a causa della sovrapproduzione di latte (intorno al 30% in più). Questo esubero di latte ha portato i caseifici a produrre molte più forme di formaggio, senza che la richiesta del mercato fosse in realtà aumentata di pari passo.
Se non c’è richiesta - si sa - il prezzo scende
Da una parte l’esubero di produzione… dall’altra una domanda statica, che non aumenta, ma anzi diminuisce, soprattutto dal mercato estero. Gli Stai Uniti, ad esempio, buoni consumatori del prodotto caseario sardo, in vista del surplus produttivo hanno puntato al ribasso con offerte di acquisto a prezzi stracciati: parliamo di multinazionali della filiera alimentare, non certo del consumatore finale. Parliamo delle catene di supermercati che sono, ormai, l’ago della bilancia nel mercato alimentare.
I produttori che hanno accettato, loro malgrado, di vendere a ribasso hanno dato vita così alla spirale del sottocosto che ha portato oggi il prezzo del latte di pecora a raggiungere i minimi storici (inferiore a 60 centesimi al litro, al di sotto dei costi di produzione): insomma lavorare con le pecore, faticare per produrre quel latte, non vale più la pena.
I pastori e i caseifici in questi giorni si sono ribellati e hanno preferito inondare le strade di latte, buttare via tutto piuttosto che svendere il frutto del loro lavoro. Chiedono di portare il prezzo del latte a 1 euro a litro. Chiedono di non dipendere dalle multinazionali che non hanno nemmeno idea - o meglio non vogliono sapere - di cosa sia un latte genuino, pecore al pascolo, foraggio fresco.
Il latte sardo è al top o si può sostituire?
Il latte sardo è di alta qualità, tra i migliori al mondo, perché gli allevamenti ovini sono da pascolo, gli animali crescono liberi, all’aria aperta nelle colline dell’isola, alimentati con foraggio fresco, ma questa caratteristica così positiva non rientra nelle richieste del mercato industriale alimentare: le qualità richieste sono i parametri del grasso, caseina, proteine, cellule somatiche e carica batterica. Vengono tralasciati quelli che, invece, fanno la reale differenza: ad esempio, l’alta concentrazione di acido linoleico coniugato, un acido grasso polinsaturo che limita la crescita del colesterolo cattivo.
La crisi attuale deve far aprire gli occhi: altre realtà nel mondo si stanno muovendo per accaparrarsi la domanda di latte ovino; bisogna stare attenti affinché l’Italia e in particolare la Sardegna non perda questa Dop. In Europa si parla di Romania e Albania, ma sembrano voci infondate perché i loro allevamenti sono di ovini per carne, mentre la Nuova Zelanda sembra che si stia attrezzando davvero per riconvertire il suo patrimonio ovino da lana e carne, in allevamento da latte, investendo oltre 400 milioni di dollari.
Esiste poi il latte in polvere della Cina (ma non lo terrei nemmeno in considerazione) e ci sono Turchia e Iran che hanno già gli allevamenti pronti, ma manca loro la tecnologia adeguata per entrare nel comparto caseario.
Si chiede al ministero delle Politiche Agricole di intervenire in aiuto su più fronti:
- nell’immediatezza, rilevando almeno 30-40 mila quintali di formaggio da destinare a collettività di indigenti e onlus, con una spesa di 30-40 milioni di euro;
- nel medio termine, ristabilendo le quote di produzione dell’anno scorso, fissando la penalità di 1 euro per ogni chilo di formaggio prodotto in eccedenza;
- nel lungo termine, con un’operazione che punti a rivalutare il ruolo del Pecorino Dop e di tutti i formaggi Dop di pecora, attraverso una promozione del prodotto basata sulla valorizzazione di tutti i formaggi della Sardegna, creando una struttura unica che unisca le cooperative di caseifici sardi a tutela del loro prodotto regionale Dop.
Ma non siamo tutti pastori sardi?
In fondo, cosa c’è di diverso tra i professionisti, i negozianti, gli artigiani e i pastori? Nulla. Il professionista ha visto il proprio compenso scendere sempre di più per adeguarsi alla concorrenza… e l’artigiano? Ha visto il proprio manufatto svenduto a fronte delle grandi catene internazionali che producono a costo quasi zero. E il commerciante? Come può competere con il multipiano, il centro commerciale a pochi chilometri? E allora, giù i prezzi fino a svendere le nostre opere, il nostro ingegno e le nostre capacità… svendere per sopravvivere… in un mondo che è cambiato così tanto nell’ultimo ventennio che non abbiamo fatto in tempo ad adeguarci. E ora tocca impoverirci per arricchirci.
Io sono con i pastori sardi, perché la globalizzazione sta togliendo il privilegio dell’unicità a fronte di una generalizzazione preoccupante.