In questi giorni la Giunta per le autorizzazioni del Senato dovrà esprimere la propria valutazione circa la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania, alla quale seguirà poi il voto finale dell’Assemblea, nel procedimento a carico del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
I senatori che si dovranno pronunciare sulla richiesta, alle insistenti domande della stampa di anticipare le loro intenzioni di voto, rispondono trincerandosi dietro al fatto che “non hanno ancora letto le carte” ed è per questo che il contributo che segue vuole offrire al lettore la possibilità di conoscere “le carte”, in modo da consentirgli di formarsi una propria convinzione libera da condizionamenti politici.
Salvini è imputato “in ordine al reato di sequestro di persona aggravato p.e p.dall’art.605, comma I,II n.2 e III,c.p.”,“per avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà personale 177 migranti di varie nazionalità giunti al porto di Catania a bordo dell’unità navale di soccorso “U. Diciotti” della Guardia Costiera italiana alle ore 23:49 del 20 agosto 2018. In particolare, il Sen. Matteo Salvini, nella sua qualità di Ministro, violando le Convenzioni internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione nazionali (Convenzione SAR, Risoluzione MSC167-78, Direttiva SOP 009/15), non consentendo senza giustificato motivo al competente Dipartimento per le Libertà Civili e per l’Immigrazione – costituente articolazione del Ministero dell’Interno – di esitare tempestivamente la richiesta di POS (place of safety) presentata formalmente daI MRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) alle ore 22:30 del 17 agosto 2018, bloccava la procedura di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale di questi ultimi, costretti a rimanere in condizioni psico-fisiche critiche a bordo della nave “U. Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania dalle ore 23:49 del 20 agosto e fino alla tarda serata del 25 agosto, momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Fatto aggravato dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonché per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori di età. Fatto commesso in Catania, dal 20 al 25 agosto 2018”. Il reato così circostanziato prevede una pena da tre a quindici anni di reclusione.
Secondo il Tribunale dei Ministri, si sarebbe in presenza non già di un atto politico del potere esecutivo, ma “lo strumentale ed illegittimo utilizzo di una potestà amministrativa di cui era titolare, consistente nell’avere omesso di autorizzare lo sbarco dei migranti soccorsi dalla nave Diciotti, nonostante la richiesta di sbarco del 17 agosto 2018, (Place of saferty ovvero il porto sicuro - Pos), senza che esistessero ragioni tecniche ostative allo sbarco, bensì la volontà politica del senatore Salvini di portare all’attenzione dell’UE il caso Diciotti, per chiedere ai partner europei una comune assunzione di responsabilità del problema della gestione dei flussi migratori, sollecitando una redistribuzione dei migranti sbarcati in Italia”.
Non è possibile in questa sede richiamare i passaggi dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Ministri, anche se il documento, di elevato spessore giuridico, lo meriterebbe; ne citerò alcuni passaggi fondamentali. È inutile aggiungere, tanto siamo abituati ad un simile scemenzaio, che i soliti cortigiani del potere di turno, non hanno perso occasione per parlare di sentenza politica, di toghe rosse, e così via. Al riguardo, in una rilevante pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent.14/1994), si legge: “Il carattere politico del reato, il movente che ha determinato il soggetto a delinquere, nonché il rapporto che può sussistere tra il reato commesso e l’interesse pubblico della funzione esercitata, proprio in conseguenza di quanto disposto dalla legge costituzionale16 gennaio1989 n.1 (modificatrice tra l’altro del citato art.96 Cost.), sono criteri idonei a giustificare la concessione o la negazione dell’autorizzazione a procedere da parte della Camera dei Deputati o del Senato della Repubblica, ma non sono certamente qualificabili come condizioni per la configurabilità dei reati ministeriali”.
In altre parole spetta al giudice ordinario stabilire l’esistenza del reato sotto il profilo oggettivo (privazione della libertà personale e di circolazione a persone soccorse in mare e per un considerevole lasso di tempo) e soggettivo (consapevolezza e volontà di compiere la condotta incriminatrice pur essendo consapevole della sua illegittimità), compiuto abusando dell’esercizio dei propri poteri ministeriali. Spetta invece al Parlamento la valutazione circa l’esistenza o meno di un rilevante interesse pubblico a fondamento del carattere politico del reato. “Il Tribunale dei Ministri, il quale, anche in ragione della sua struttura di sezione specializzata inserita nella giurisdizione ordinaria, è chiamato a compiere una valutazione di tipo tecnico-giuridico, applicando la legislazione penale comune, senza vagliare (a fini giustificativi) l’eventuale fine politico della condotta criminosa, spettando un tale giudizio esclusivamente alla Camera competente. Era stato semmai il Procuratore della Repubblica di Catania che, con la sua richiesta di archiviazione si era sostituito al Parlamento offrendo una giustificazione politica della condotta incriminata senza averne titolo.
E ancora, contrariamente a quanto si legge sulla stampa, il Tribunale dei Ministri non ha avanzato alcuna “richiesta di rinvio a giudizio” dell’imputato, ma ha emesso decreto di trasmissione degli atti al Senato (Camera di appartenenza del Ministro) perché valuti se concedere o meno l’autorizzazione a procedere e solo in caso positivo il procedimento potrà riprendere il suo corso davanti al Tribunale di Catania in composizione ordinaria. In particolare, la camera competente nega l’autorizzazione a procedere ove reputi, con decisione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo (art. 9, commi 1, 2 e 3 Legge costituzionale n. 1/1989).
Il decreto apre affermando che “va in primo luogo osservato come l’obbligo di salvare la vita in mare costituisce un preciso dovere degli Stati e prevale su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare. Le Convenzioni internazionali in materia, cui l’Italia ha aderito, costituiscono un limite alla potestà legislativa dello Stato e, in base agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione, non possono costituire oggetto di deroga da parte di valutazioni discrezionali dell’autorità politica (“pacta sunt servanda”), assumendo un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna (l’art.117 Cost. prevede che la potestà legislativa è esercitata nel rispetto, tra l’altro, dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali). Prosegue richiamando le Convenzioni e i Trattati internazionali in materia (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS–United Nations Convention on the Lawofthe Sea) che, all’art.98, sancisce gli obblighi posti in capo al comandante di ogni imbarcazione (comma I: “Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita quanto più velocemente possibile”). Parimenti “(comma II): ogni Stato costiero ha l’obbligo di “…promuovere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi”).
Tra le altre fonti di diritto internazionale, richiamate dal Tribunale, quella più importante è poi la Convenzione di Amburgo, denominata “SAR” acronimo di search and rescue, (che ha trovato in Italia concreta attuazione con il D.P.R.n.662/1994), che obbliga gli Stati parte a “…garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare… senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata” (Capitolo 2.1.10) e *a… fornirle le prime cure mediche o di altro genere e di trasferirla in un luogo sicuro” (Capitolo 1.3.2). Il tutto “avendo cura di limitare, per quanto possibile, la permanenza a bordo delle persone soccorse e di far subire alle navi soccorritrici la minima deviazione possibile dal viaggio programmato”. (Sia consentita un’osservazione: come si concilia con il rispetto di questa norma l’idea che la nave soccorritrice Sea Watch, battente bandiera olandese, giunta nelle acque antistanti il porto di Catania, avrebbe dovuto sbarcare le 43 persone soccorse in Olanda?!).
A fronte della normativa internazionale in materia di soccorso in mare, qui sinteticamente richiamata, corrisponde quanto disposto a livello nazionale dall’art. 10 della Costituzione, che, al primo comma, dispone che “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”. È utile ricordare che quando una norma di legge, e ancor più quella di rango costituzionale, usa il verbo presente “si conforma” equivale a stabilirne l’obbligatorietà. A conferma di tale doverosità costituzionale, l’art. 117, comma 1. della Costituzione, ribadisce che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Come opportunamente ricorda il Tribunale, le Convenzioni internazionali, recepite dall’Italia, hanno un valore gerarchicamente sovraordinato alle norme ordinarie e come tali non possono essere derogate con legge e tanto meno da decisioni amministrative di tipo politico. La loro modifica non necessita di procedura di revisione costituzionale, ma deve avvenire attraverso una consensuale modifica dei trattati stessi. L’obbligo dell’osservanza dei Trattati e delle Convenzioni internazionali impegna dunque Governo e Parlamento, e si estende, ovviamente, a tutti i cittadini, soprattutto a coloro che rivestono pubbliche funzioni. Ancora una volta, diamo la parola alla Carta Costituzionale, che, all’art. 54 ci ricorda che “1. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. 2. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
Altre norme di riferimento, disinvoltamente e consapevolmente violate dal Ministro dell’Interno, sono gli artt. 2 e 10 ter del D.Lgs.n.286/98 – Testo Unico Immigrazione. Il primo stabilisce “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai Principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. Il secondo, rubricato “Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare”, esclude qualsivoglia forma di costrizione dei migranti, essendo per essi prevista l’immediata conduzione in strutture ricettive per le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico e per la presentazione di istanze volte all’attivazione di procedure di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.
Per completare il quadro normativo applicabile nella fattispecie, come ha acutamente osservato il senatore Grasso, occorre richiamare la legge 3 agosto 2007, n. 124, che detta norme in materia di "Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto". Cosa c’entra la nuova disciplina dei servizi segreti e del segreto di Stato con il problema del processo a carico di Salvini? E invece ha una rilevanza superiore a quanto si possa pensare a prima vista. La legge 127, all’art. 17, ha regolato per la prima volta la possibilità che gli agenti dei servizi possano trovarsi nella necessità di commettere condotte previste dalla legge come reato, dichiarandole non punibili a condizione che siano state preventivamente autorizzate e che siano indispensabili alle finalità istituzionali di tali servizi nel rispetto rigoroso dei limiti di cui ai commi 2, 3, 4 e 5 del presente articolo e delle procedure fissate dall’articolo 18. Tra i limiti posti a tale possibilità, il comma 2 del medesimo articolo prevede che “La speciale causa di giustificazione di cui al comma 1 non si applica se la condotta prevista dalla legge come reato configura delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l’integrità fisica, la personalità individuale, la libertà personale, la libertà morale, la salute o l’incolumità di una o più persone”. Dunque, gli agenti dei servizi segreti, che si trovano spesso ad operare in situazioni estremamente rischiose, non possono derogare alla necessità, superiore ad ogni interesse o finalità istituzionale, di non ledere, neppure potenzialmente, i fondamentali valori costituzionali indicati nella norma sopra citata.
Il Ministro dell’Interno, invece, per finalità politiche opinabili, fuori da situazioni di emergenza, di pericolo per la sicurezza dello Stato e di ostacoli tecnici di qualsiasi natura, sarebbe legittimato a tenere in ostaggio, in uno stato di sostanziale detenzione, (anch’essa vietata secondo parametri di conformità rappresentati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo) varie decine di persone, al solo fine di esercitare pressioni sull’Unione Europea e sugli altri Stati europei al fine di ottenere misure di redistribuzione dei migranti giunti in Italia. Strumento di pressione, che il Tribunale di Catania definisce, a ragione, strumentale ed illegittimo, esercitandosi su persone soccorse in mare, comprese donne e bambini, in precarie condizioni di salute.
A proposito dei minori non accompagnati, la legge n.47/17 ed il D.Lgs.n.142/15 prevedono espressamente il diritto dei minori non accompagnati di essere accolti in strutture idonee, di ottenere il permesso di soggiorno per minore età, stabilendo il divieto assoluto – espressione anche di prescrizioni contenute in convenzioni internazionali – di respingimento ed espulsione dei minori extracomunitari non accompagnati. I minori non accompagnati erano ben 29 ed il loro sbarco, avvenuto il 22 agosto, fu dovuto all’intervento della Procura della Repubblica per i Minorenni di Catania, che con nota del 21 agosto indirizzata al Dipartimento per le Libertà civili e per l’immigrazione, aveva intimato l’immediato sbarco dei 29 minori non accompagnati, con conseguente benestare allo sbarco degli stessi da parte del Ministero dell’Interno. Le condizioni precarie dei migranti a bordo della “U. Diciotti” erano assolutamente note al Ministro, costantemente informato della situazione e a tale proposito il Tribunale cita le dichiarazioni dell’ammiraglio Liardo, quando riferisce che “la situazione a bordo resta sempre precaria e tende ad aggravarsi. I migranti dormono sul ponte adagiati su dei cartoni. Sono stati evidenziati dei casi di sospetta TBC e 11 donne hanno affermato di avere subito violenza durante la loro permanenza in Libia”.
Il Tribunale prende in considerazione la paventata possibilità che ricorressero, nella circostanza, ragioni di sicurezza, per poi escluderle dopo averne fatto oggetto di scrupolosa verifica sulla base del materiale probatorio acquisito. Si legge nel decreto che “nel caso di specie, va osservato come lo sbarco di 177 cittadini stranieri non regolari non potesse costituire un problema cogente di 'ordine pubblico' per diverse ragioni, ed in particolare: a) in concomitanza con il 'caso Diciotti', si era assistito ad altri numerosi sbarchi dove i migranti soccorsi non avevano ricevuto lo stesso trattamento; b) nessuno dei soggetti ascoltati da questo tribunale ha riferito (come avvenuto invece per altri sbarchi) di informazioni sulla possibile presenza, tra i soggetti soccorsi, di 'persone pericolose' per la sicurezza e l’ordine pubblico nazionale”. Dunque, la decisione del Ministro non fu adottata per problemi di ordine pubblico in senso stretto, bensì per la volontà meramente politica – “estranea” alla procedura amministrativa prescritta dalla normativa per il rilascio del POS (sbarco in porto sicuro)” -, di affrontare il problema della gestione dei flussi migratori utilizzando, come strumento di pressione, la condizione delle 177 persone bloccate a bordo della nave.
Avviandosi alla conclusione, il Tribunale dei Ministri concludeva per la trasmissione degli atti al Senato, sulla base dell’esito positivo dell’indagine in ordine ai tre punti fondativi della responsabilità del Ministro Salvini in ordine al reato a lui contestato: 1) La riconducibilità dell’omessa indicazione del POS e del correlato divieto di sbarco ad una precisa direttiva del Ministro dell’Interno; 2) L’accertamento del carattere illegittimo della privazione dell’altrui libertà, in quanto adottata contra legem; 3) L’assenza di cause di giustificazione con valenza scriminante ex art. 51 c.p.
Tutto lascia prevedere che, sia la Giunta per le autorizzazioni che l’assemblea del Senato, daranno risposta negativa all’autorizzazione a procedere. Le valutazioni politiche prevarranno certamente su quelle giuridiche. Irrilevante la condivisione di responsabilità da parte del Presidente e del Vice presidente del Consiglio dei Ministri, in quanto tardiva e inammissibile. Non risulta infatti che essi abbiano avuto un ruolo attivo nel corso dell’intero iter della vicenda, connotata peraltro dall’assenza totale di provvedimenti di tipo formale. Anche i ripetuti dinieghi allo sbarco da parte del titolare del Ministero sono stati comunicati con semplici messaggi informali trasmessi al suo capo di gabinetto, e da questi alla catena di comando del ministero, ma nessun ordine di servizio, nessuna nota formale è stata mai redatta, così come non risulta alcun verbale di sedute del Consiglio dei Ministri che faccia cenno alla vicenda. Un ulteriore strappo alla legalità amministrativa, quando si assumono decisioni che attengono alla vita ed alla libertà delle persone senza traccia documentale.
Chiudiamo, rifacendoci all’alto insegnamento della Corte costituzionale, nella sentenza n. 105 del 2001, relativa alla materia dell’immigrazione e precisamente alla legittimità costituzionale di alcune delle sue norme (art 13, commi 4,5 e 6 Decreto legislativo 286/1998), nella quale stabiliva che “non potrebbe dirsi che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari, degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.
Un messaggio di civiltà giuridica e politica posto a fondamento della nostra democrazia da non dimenticare, mai.