Nel tardo pomeriggio, prima di rientrare a casa, spesso vado nella viuzza che percorre il fianco di San Vitale, lì mi siedo nei gradini della chiesa di Santa Maria Maggiore, guardo la basilica e il cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia. Credo che questo sia uno del luoghi più belli al mondo e qui mi piacerebbe abitare. È un'isola di silenzio e di bellezza assoluta.
Mentre osservo penso alla grandezza dell'architetto che l'ha realizzata e alle sue maestranze. Tutti gli elementi che sto vedendo - le lesene che s'ispessiscono agli angoli, la cornice che divide nel senso orizzontale la superficie in due ordini, le finestre, l'ampio tiburio che s'innalza al centro della fabbrica, il profondo presbiterio absidato con, ai lati, la protesi e il diaconico - mi indicano le strutture che reggono lo spazio interno. La mia mente rivede la pianta della basilica e nella pianta ritrovo la singolare autenticità figurativa e creativa dell'architetto. La complessità delle geometrie esterne pur risentendo del modo di costruire dei latini, mi suggerisce le dilatazioni spaziali interne.
Conosco bene le sue pareti rivestite di mosaici e il suo spazio indefinito. Voi ricoprite le pareti di mosaici e ogni elemento architettonico verrà riportato in superficie attraverso la rifrazione della luce e il colore. Conosco bene tutto l'intento spaziale volto a dilatare l'ottagono per negarne la forma geometricamente chiusa e ampliarlo e condurlo alle più tese lontananze.
In più di trent'anni d'insegnamento ho accompagnato centinaia - migliaia forse - di studenti a visitarne gli spazi esterni e la cassa muraria lucente e sfavillante dell'interno, e tutte le volte ne ho colto un nuovo particolare. Ho insegnato ad allieve e allievi ad abbassare lo sguardo per ammirare le decorazioni pavimentali, per poi risalire alle pressioni di uno spazio interno che conquista la sua concretezza in plurimi allargamenti e culmina con la luce dei mosaici che nella zona absidale annulla pesi e sostegni. E giorni e mesi e anni e pioggia e sole e notti fonde e la meraviglia della basilica sotto una coltre di neve è sempre stato potente l'annichilimento difronte a tanta bellezza.
Ci sono poi regioni che rendono questo luogo, per me, sacro. Infatti qui intrecciano le loro vite due donne che hanno contribuito a rendere Ravenna una capitale: Galla Placidia e Teodora. Quando mi siedo di fronte alla Basilica di San Vitale e, appena a lato, al cosiddetto Mausoleo di Galla Placidia, desidero "conversare" anche con loro. Per non essere confusa con quelle creature dai sensi potenti che sentono voci, vedono figure del passato - hanno apparizioni, insomma - dirò solo che in un certo punto della mia vita il nostro incontro è stato inevitabile. Mi è stato sufficiente lo studio delle loro vite per instaurare un rapporto di grande condivisione, a tal punto intenso da provare, a volte, una sorta di sovrapposizione e di condividerne lo stesso tempo e gli stessi luoghi. Le loro sono vite esemplari.
Sì, in un tempo diverso che coincide con il mio, condivido la vita di Galla Placidia, vita che oscilla tra il buon governo e la prigionia. Condivido la vita di Teodora, il suo coraggio, la sua spregiudicatezza. Spesso mi ritorna alla mente un suo viaggio attraverso il mediterraneo priva di danaro e di mezzi. E quando, nel 521, ritornò a Costantinopoli poteva solo incontrare e sposare Giustiniano, il futuro imperatore e diventare, insieme a lui, nel 527, imperatrice. Non sono mai venuti a Ravenna, ma per volontà loro anche nella nostra città hanno fatto erigere monumenti tra i più suggestivi che sia dato conoscere. Inoltre alcuni aspetti della vita di Teodora sono immortali. La sua immagine continua a ispirare l'arte, il costume, l'etica e l'estetica.
Nella contemplazione e nella visione delle architetture e delle vite che mi evocano non solo vedo, osservo, ricordo, io divento memoria e mi faccio sua testimone. Da tempo, però, se ci sono luoghi nei quali mi trovo bene, ecco che mi vengono tolti. E così è accaduto anche l'altra sera quando ho sentito il desiderio di ritirarmi nella contemplazione dei due monumenti e ho notato un insolito movimento. Sono distratta e mi ero dimenticata della programmazione di video mapping, proiezioni luminose nelle pareti esterne di monumenti giudicati dall'Unesco Patrimonio dell'Umanità. Sono proiezioni luminose di opere musive che si trovano nel loro interno. Non solo, a volte vengono rappresentati altri eventi storici come demolizioni e ricostruzioni o naturali come inondazioni o incendi. Sono andata a vedere l'evento e mentre guardavo in mezzo a gente rumorosa, mi sono chiesta il senso di tutta quella operazione.
Ho trovato anche la risposta che dimostra la sua insulsaggine. San Vitale rappresenta, come ho già scritto, una delle opere più suggestive che mente umana, nel corso dei secoli, abbia prodotto. L'essenziale fatale qualità della basilica sta proprio nella sacra conversazione tra lo spazio esterno ben articolato e la complessa e multiforme realtà spaziale interna. Allora cosa accade quando si proiettano mosaici o altro all'esterno? Si distrugge il pensiero architettonico, il quale partendo dalla forma planimetrica, si sviluppa negli alzati e sorregge e anima la fantasia poetica dell'artista e delle sue maestranze e insieme il valore spirituale dell'arte tardo antica ravennate che va dal lV al VI secolo. Si distrugge la sostanza dello spazio esterno e si deformano le immagini che sono nate per risiedere all'interno di questo e di altri monumenti ravennati. Le copie dei mosaici proiettate, infatti, sono fuori scala, vengono dilatate e deturpate da lesene, da pilastri, dalla cornice marcapiano. Per non parlare poi dei titoli di coda, della pubblicità istituzionale e di un suono che invitava i giovani presenti a due passi di danza.
Lo so, è un evento che ha un periodo breve, ma si ripete anche in estate ed è dilagante. Inoltre al MAR rimarrà fino alla fine della mostra attuale la proiezione dell'opera di Picasso Guernica. Anche qui la proiezione altera completamente l'opera e offende la bella struttura muraria che la ospita. Ho visto in alcuni quotidiani e in trasmissioni televisive che le proiezioni sui monumenti stanno diventando una moda. Queste e altre iniziative sono sintomi, denunciano un malessere culturale e artistico. La stragrande maggioranza dei turisti viene a Ravenna per visitare i monumenti nella loro integra bellezza. Se poi verso sera, nel periodo natalizio, capitano nella zona di San Vitale, guardano anche le proiezioni e sono sicura che a molti possa piacere. Perché no? È qui che la progettualità culturale mostra vuoti paurosi e procede verso livelli visivi e concettuali sempre più bassi. Non riesco a comprendere - forse un mio limite - l'aggressione al preesistente come necessità per azioni che, al massimo, raggiungono l'effetto di una "meraviglia" che per sua natura vola sempre in superficie.
Le cose intorno a me in effetti sembra stiano prendendo una brutta piega. C'è in atto una strana ingordigia che ci conduce rapidamente -ci siamo già - alla cecità e all'ignoranza. Come tutte e tutti noi, esseri imperfetti, ho molti limiti. Tra questi la lentezza non mi permette nessuna forma di accelerazione. Già l'espressione "in tempi brevi" mi crea angoscia. Sì, sono lenta. Come una lumaca. E come una lumaca mi guardo attorno. Mi fermo. Entro in relazione con ciò che mi circonda. Vedo e riconosco. L'accelerazione dei tempi permette solo l'azione dello sguardo. E lo sguardo viaggia in superficie, velocemente, come avviene ad esempio, nelle immagini proiettate nelle facciate di questi luoghi "sacri".
Non c'è più tempo per fissare, per mettere a fuoco la vista. Per vedere è necessario scendere in profondità e per farlo ci vuole tempo e concentrazione. Insomma è un'operazione - quella del vedere - ormai scomparsa anche nella logica di quegli amministratori culturali che dovrebbero prendersene cura e trasmetterla a noi tutti. Una proposta. Perché invece di "offendere memoria e bellezza" non si invitano, nel periodo natalizio, le e gli artisti ravennati a illuminare le vie del centro storico, come da tempo fanno altre città, prima tra tutte, Torino? Infine vorrei ricordare che "piace ciò che piace ed è bello ciò che è bello".