Oggi è il 31 dicembre 2024.
Sono le 22,35 e sto guardando su Rai 2 Gli Aristogatti, un film di animazione del 1970. Quindi è l’ultima notte dell’anno e la sto trascorrendo come tutte le altre sere: semi sdraiata a letto a guardare qualche programma alla TV. In realtà mentre guardo faccio altro; in questo momento sto scrivendo, ma altre sere m’impegno nella soluzione di SudoKu di facile o, quando mi sento mentalmente in forma, di media difficoltà. Mentre penso, sento Manlio tossire. Soffre di reflusso gastrico che in genere si risolve prendendo medicine in bustine, facendo camminate ed eliminando alcolici e altri alimenti. Manlio invece cammina poco -proprio lo stretto necessario- beve birra e mangia con appetito soprattutto quello che non dovrebbe mangiare; viaggia in compagnia di una pigrizia perfetta -può la pigrizia raggiungere la perfezione? In Manlio sì. Ha demandato ad altr* il governo della propria vita. Lui se ne sta. Lui se ne sta seduto o sdraiato in attesa che Rosa, Ida, Marcella, io, Valentina, ci prendiamo cura di lui.
Anche questa sera potrei essere o in realtà vorrei proprio essere altrove, invece sono qui. Ma se penso ai Capodanni della mia vita posso proprio dire che mi sono sempre annoiata. Cene e feste fanno parte di quegli avvenimenti collaterali, legati a convenzioni tradizionali e ripetitive. Sono nell’ordine di quelle cose che devo fare, ma non ho nessuna voglia di farle.
Ma, io siamo molte persone.
A Fano, in via Forcole 132, a casa dei nonni, ho messo in campo quelle difese che mi proteggono anche ora. In via Forcole, in eccesso di solitudine, anziché rimanere composta come mi dicevano le zie, la nonna e la mamma, mi sono scomposta in una moltitudine di bambine che condividevano un corpo solo, il mio. Operazione forse un po’ schizofrenica però da più di settant’anni continuano a salvarmi da situazioni imbarazzanti. Lo stanno facendo anche ora; la mia ribelle e la mia custode, insieme alle altre sono ancora qui. Resistono.
Questa sera teniamo ben sveglia la memoria.
In origine, a Fano, la ribelle dirigeva e orientava le altre dentro e fuori casa. Dal giardino, dal mare, dall’aia, dai campi, dalla fucina, quelle innumerevoli bambine creavano un singolare andirivieni dall’albero, sull’albero, nell’albero e depositavano ai piedi della custode della mia casa in cima all’abete, il loro lavoro di quotidiana conservazione. E la mia custode, accumulava e sedimentava in tutto il corpo, fin nelle periferie estreme, tutto il sapere che quotidianamente le veniva donato.
La mia ribelle ricorda così, la lunga notte del Rosario:
“Nel momento del rosario il nonno si ritirava in biblioteca a leggere. Quindi recitare il rosario era un obbligo divino imposto alle sole donne della casa per volere della nonna. Quella sera non avevo voglia di recitarlo, volevo andare fuori, nell’aia a sgranare il granoturco con i contadini o a guardare le stelle. Invece anche quella sera le donne erano tutte lì in cerchio. Al centro la nonna. La sua era la voce recitante, noi eravamo il coro. E si partiva, ma io non sono mai arrivata alla conclusione; tutte le sere chiedevo a me stessa e regolarmente ottenevo rifugio altrove.
Questa pratica dell’esserci ma non essere, l’ho messa a punto proprio nell’evento serale del rosario. Lì si ripeteva, si ripeteva e si ripeteva tante volte la stessa cosa, fino ad arrivare al limite dell’infinito. E per sopravvivere alla ripetizione ho compiuto il miracolo. Una sorta di caduta o fuga dell’anima dal luogo precostituito alla sua salvaguardia -il luogo della preghiera. Non sopportando più la cosa ecco la fuga da quel luogo e la reincarnazione altrove. Due contemporaneamente. Una apparente in cucina, l’altra reale in riva al mare.
Si formarono così due fazioni. I parenti lontani giuravano di vedermi tutte le sere in riva al mare. La nonna e le zie, in via Forcole, erano sicure di avermi con loro. Nelle notti del rosario eravamo in due, poi siamo divenute innumerevoli”.
Come ora.
Il mio corpo è qui a letto, ma in realtà sono nel terrazzo dello studio a guardare dall’alto i fuochi d’artificio dalla pianura alla collina. Lo so. Dovrebbero proibirli perché inquinano e il loro rumore impaurisce gli animali, ma a me le luci natalizie e i fuochi incantano.
Ed ecco arrivato il 2025. Fuori cannonate e fuochi d’artificio in piena regola, con conseguenti allarmi di case e di auto, anche loro impazziti. Un signore da mezz’ora sta chiamando “Teooo!”. Deve aver perduto il cane. Potrei infilarmi cappotto e berretto e scendere in strada per vedere i fuochi ma anche le altre da me sono talmente alla deriva che non hanno la forza di scendere in strada ma neanche di salire. Sono qui tutte con me e continuiamo a scrivere.
Ancora botti e allarmi in funzione. Sono le 24.45 e Valentina che è con Stefano in una casa sperduta, in collina, non si è fatta sentire e quindi inizio il 2025 già in stato di ansia e ho la scusa buona per prendere una pillola intera di Lorazepan. Le ho telefonato e ha risposto la segreteria telefonica. Panico. E ancora non sapevo che il 10 gennaio mi avrebbero rubato dalla sacca della bicicletta una stupida borsa di tela con dentro una bottiglietta d’acqua, un pacchetto di fazzoletti e il nuovo paio di occhiali da duemila euro. Non ho più voglia di scrivere quello che ho in mente. Credo che anche questa volta interrompo e non vado più avanti come mi accadeva nel 2024.
Tale e quale.