1918-2018: generalmente gli anniversari a cifra tonda sono una garanzia di successo, eppure non è esagerato dire che quello della fine della Grande Guerra è stato un centenario decisamente sotto tono, in Italia e non solo. Più in generale, è un po' tutto quel conflitto a ricevere scarsa attenzione da parte del pubblico odierno, anche a causa della concorrenza spietata, a livello sia documentario sia mediatico, del secondo conflitto mondiale.
Ecco allora che per un difetto di visibilità, la Grande Guerra si ritrova, insieme alle guerre balcaniche e al conflitto russo-giapponese, come proiettata indietro verso l’Ottocento, anziché essere sentita come la prima delle due parti di quella “guerra civile europea” che ha determinato la fine dell’egemonia mondiale del vecchio continente in favore degli Stati Uniti.
La Prima guerra mondiale, matrice tanto di fenomeni di lunghissimo corso come il comunismo sovietico quanto dei principali germi (fascismo e nazismo) della Seconda, è in realtà ancora in mezzo a noi molto più di quanto non si creda, attraverso epigoni la cui genitura è spesso ignota ai più: è come se, scavando chilometri e chilometri di trincee per quattro interminabili anni nel vano tentativo di darsi un riparo, i poveri fanti mandati al macello dalla vanagloria altrui avessero disseppellito un demone antico, fermamente intenzionato a rivalersi di una forzata esclusione sia su di loro sia sulle generazioni a venire.
I superstiti della carneficina uscirono quindi da quelle stesse trincee irrimediabilmente compromessi sotto molteplici aspetti, dai più palesi e superficiali ai più nascosti e subdoli. Furono circa 10 milioni i morti sul campo, e pressoché altrettanti i mutilati e invalidi, spesso orrendamente sfigurati o gravemente limitati nell'autonomia motoria: si deve allora alla Grande Guerra la prima grande diffusione sia della chirurgia estetica sia di certe forme di ginnastica, nate con finalità riabilitative e successivamente rielaborate, come il Pilates.
La catastrofe però non si era limitata ai danni fisici, per cui il dopoguerra segnò anche il debutto su larga scala della psicoterapia, necessaria a trovare un rimedio agli innumerevoli casi di “Shell-shock Syndrome”. Il demone dissotterrato però non era ancora sazio di vittime, ma non faticò molto a trovare ulteriore nutrimento: quello che negli USA era stato individuato e isolato come l’ennesimo ceppo influenzale, una volta giunto in Europa con il contingente statunitense e probabilmente mutato in una forma più aggressiva, ebbe facile gioco sulle fiacche e denutrite truppe locali prima, e sulla popolazione civile poi, anche a causa della censura militare che impose di parlare di generiche “febbri tifoidi” impedendo così una corretta profilassi: il risultato fu quella che ancor oggi, con più di 50 milioni di morti in tutto il mondo, viene annoverata come la più grave pandemia di tutti i tempi e continua a portare il nome fuorviante di “influenza spagnola” perché, a guerra ancora in corso, poté darne notizia solo la stampa della neutrale Spagna.
Dal canto loro però gli Americani pagarono pegno al demone in un altro modo: la prassi di imbottire di superalcolici la truppa prima di lanciarla all'attacco (in Italia valeva il detto: “Grappa dentro e Carabinieri dietro”) ebbe ripercussioni disastrose: gli States, improvvisamente ritrovatisi a dover gestire una massa di reduci alcolisti, di lì a poco avrebbero accolto le istanze proibizioniste facendo approvare al Congresso il famigerato Volstead Act.
C'è però un trauma della guerra così forte da essere diventato addirittura un tabù: i gas tossici, un'arma sporca ufficialmente bandita poco dopo ma destinata a ricomparire lontano da occhi indiscreti, magari contro nemici ritenuti indegni di rispetto per motivi più o meno apertamente razziali: è il caso della campagna franco-spagnola contro la repubblica berbera del Riff, della repressione italiana in Cirenaica e dell’invasione dell’Etiopia. Arma imbarazzante prima e spauracchio poi: per tutto il corso della Seconda guerra mondiale l'eventualità di un’escalation chimica venne tenuta in conto da entrambi gli schieramenti, per opposte ragioni; se da parte alleata si temeva che la Germania, per disperazione, potesse provare a ribaltare le sorti del conflitto con i gas, dal canto loro i Tedeschi non escludevano che i nemici, per vincere prima, decidessero di usare yprite e simili, tant’è vero che anche quando per la Wehrmacht era chiara l’imminente sconfitta, i suoi soldati ormai privi persino degli elmetti continuavano ad avere in dotazione la maschera anti-gas.
Ed è proprio questo oggetto, nato a corredo della guerra chimica, che divenne simbolo di angoscia, disumanità, orrore. Elemento di spersonalizzazione del singolo nella massa attraverso la negazione del suo viso, la maschera contribuì alla costruzione propagandistica della figura del Nemico, anonimo e mostruoso assassino da annientare a ogni costo. Immagine potentissima, questo alter ego del demone rimase impresso nella memoria dei reduci e verosimilmente, in età avanzata, popolava ancora i loro racconti del dopocena. Fra i tanti nipotini che ascoltano le storie dei nonni, ce n’è sempre uno in particolare che ne viene ammaliato. Se poi costui, crescendo, diventa un cineasta d'avanguardia che, come tutti gli sperimentatori, conosce fin troppo bene la forza subliminale della rievocazione, è quasi ovvio che, in concomitanza con il bicentenario della Guerra d’Indipendenza americana (1776-83) egli porti sugli schermi una trilogia fantascientifica incentrata, guarda caso, sulla vittoriosa ribellione contro un Impero.
In questa operazione ricca di riferimenti all’epopea americana lontana e recente, dagli abitacoli di astronavi ispirati alle fortezze volanti alle battaglie decisive vinte per pochi attimi di scarto come Midway, non può non ritornare lui, il mostro, il “nuovo Unno” come lo chiamavano i manifesti di propaganda: quel Nemico, visto dai nonni sbucare fra nubi di yprite con lo Stahlelm e la maschera antigas, ricompare sessant'anni dopo da una coltre di fumo, in un silenzio di morte interrotto solo dal rantolo del respiratore artificiale. A distanza di due generazioni, lo sturmtruppen del kaiser Guglielmo II si reincarna in Darth Vader, confermandosi come il (non) volto del Male per le successive generazioni. E il demone sghignazza ancora.