Del Gattopardo, dei simposi interminabili dove lo invitano a parlare per ultimo, e così non può fuggire, dei luoghi-tempio di Tomasi di Lampedusa “dove anche gli alberi di ulivo si chiamano Tancredi e Fabrizio”, non ne può più. Basta Angeliche.
Antonio Presti si è rotto della Sicilia imbalsamata, dei cognomi altisonanti e dei delinquenti ma, almeno per questi ultimi, ha in mente una redenzione: si ripromette di trasformarli in fiori e giardinieri. Secondo lui il boss che diventa una rosellina “è fottuto”. Compiere un reato è togliere bellezza e per essere riaccettati bisogna restituire la bellezza rapita, poi bisogna farla coincidere con la propria persona.
Antonio Presti, siciliano fra Castel di Tusa e Catania, vive, sogna, protesta, educa, riscatta, sveglia, inventa e risolve con la bellezza e per la bellezza perché non c’è scelta: il contrario della bellezza non è la bruttezza, ma la morte.
Presti già collezionava arte contemporanea quando morì suo padre e lui lo volle ricordare nel 1986 con un’opera monumentale di Pietro Consagra “La materia poteva non esserci”, eretta nella fiumara del torrente Tusa sulla costa nord della Sicilia, fra Cefalù e Santo Stefano di Camastra. Nel tempo, dopo guerre culturali ed estetiche di chi, in terra di abusivismi, sosteneva che quelle cose erano inguardabili, dopo minacce e attentati, Fiumara d’arte è diventato il più grande parco europeo di installazioni, una piramide di Staccioli compresa, alle quali si è aggiunto l’Atelier sul mare, un albergo-museo a Castel di Tusa, che ha venti camere da letto ispirate e ispiratrici pensate e realizzate da artisti e intellettuali che con Presti, autore a sua volta, hanno una relazione feconda (Mario Ceroli, Paolo Icaro, Hidetoshi Nagasawa, Michele Canzoneri, Maurizio Mochetti, Maria Lai, Mauro Staccioli, Dario Bellezza, Adele Cambria, Raoul Ruiz, Renato Curcio, Agostino Ferrari, Piero Dorazio, Graziano Marini, Luigi Mainolfi, Fabrizio Plessi, Agnese Purgatorio, Danielle Mitterand, Cristina Bertelli, Vincenzo Consolo, Ute Pika, Umberto Leone, Sislej Xhafa, Mimmo Cuticchio, Pepi Morgia, Tobia Ercolino).
Un albergo affacciato sul mare oppure un mare affacciato sull’albergo? Dipende dal punto di partenza che si sceglie per viaggi interiori da svolgersi in ogni direzione. In quelle stanze dai letti giganteschi, dalle fogge disparate, si può fare l’esperienza del buio, della luce, dell’acqua, del nido, della claustrofobia, della preziosità del rame e dell’oro, della rivolta, dell’opposizione, del silenzio, del mistero, della disinibizione. Dello stare comodi nella scomodità della coscienza ritrovata che diventa la comodità vera, l’agio dell’anima. Chi vuole può fare una passeggiata simbolica sulla televisione e farla a pezzi calzando immaginarie scarpe chiodate, con un pensiero a Pier Paolo Pasolini e a suoi anticipatori “Scritti corsari”.
Da mezzogiorno all’una e un quarto, fra le partenze e gli arrivi degli ospiti, Paolo Romania, accogliente collaboratore di Presti, accompagna i visitatori a fare il giro delle camere, proprio come in una galleria d’arte. E, merito dello spirito del posto che è quello dell’incontro, si possono vedere anche le camere occupate perché gli abitanti di solito danno il permesso. Se non lo concedono, beh, è pur sempre un hotel e ne hanno diritto.
Poi c’è Librino, un quartiere di Catania con un alto tasso di criminalità giovanile. Squallido e scoraggiante come molte zone marginali degradate dalla nascita: illogiche, polverose e spelacchiate allevano gente incolpevole che cresce nella bruttezza e bruttezza restituisce. Una periferia disgraziata che sembra “inevitabile”, ma non lo è e Presti lo ha dimostrato da quando se ne occupa con la sua Fondazione. Nel 2009 è stata inaugurata “La porta della bellezza” che secondo i rinunciatari non avrebbe passato ‘a nuttata e dopo quattro anni è integra e smagliante. Era un chilometrico e anonimo muro di cemento che divide in due Librino, adesso è una pennellata azzurra costellata di terracotte fatte e messe in opera dagli artisti e dagli studenti del quartiere che hanno collaborato in armonia. La porta è intatta perché sono i ragazzi che si identificano con essa e la difendono, non vogliono che sia violata, non vogliono essere violati nella dignità conquistata.
E adesso, nell’agosto siciliano a tratti un po’ sciroccoso, Presti studia la prossima impresa e che i capi mandamento si preparino a fare capolino fra le corolle dei fiori. “Anche se si riabilita, il detenuto è sempre un ex detenuto, un delinquente, e la società non se lo riprende – spiega Presti-. Se tu coltivi piante nelle periferie disastrate e rendi la bellezza che hai sottratto, se tu diventi quel fiore, allora sì che ti riabiliti”.
I fiori del riscatto saranno piantati il prossimo marzo, ma a settembre si comincia ad “arare” il terreno: “Organizzo un mantra collettivo per centomila persone”. Sì, centomila, dice con lo sguardo scintillante, ci riesco. Di scena a Librino i bambini delle scuole, i nonni, gli scultori, gli artisti del paesaggio, gli artisti della luce, i figli dei boss “ce li voglio, mi sono simpatici”. Presti racconta con bravura di affabulatore concreto: “Su una montagnetta di cinque ettari si fa un paradiso terrestre, quello con Adamo ed Eva, il serpente, la Madonna. Ma questa volta eliminiamo la Madonna, anzi eliminiano tutti”. Qualcuno suggerisce che si lasci solo la mela. "Ecco, sì, lo riempiamo di alberi di mele. Alle 8 e mezza di sera, al momento del passaggio dalla luce al buio, un artista della luce farà in modo che si senta il respiro della luce. La vittoria sull’oscurità. Il processo artistico creativo e sociale diventa opera d’arte, la Sovrintendenza vincola e non si tratta più di manutenzione, ma di conservazione. E se il boss diventa una rosellina ed è fottuto”. Fottutamente felice di essere tornato bello.