Platea del Teatro della Pergola, sabato pomeriggio, nell’intervallo. Un uomo-ragazzo possente e sexy chiacchiera con la sua vicina, una signora dall’aspetto tradizionale, la quale si lamenta dei contemporanei, specialmente di Ennio Morricone.
L’uomo-ragazzo possente e sexy è diverso da tutti gli altri spettatori, anche da quelli diversi: è un rocker che da un annetto ha scoperto la stagione degli Amici della Musica di Firenze e si è immerso nella malia della musica da camera. Roberto Terzani da bassista dei Litfiba ha riempito gli stadi, ora freme con Brahms, Schubert, Schumann, e non certo perché dimentica gli adorati Led Zeppelin e i loro colleghi geniali. Amplia, amplia, vola. “Questi concerti hanno un effetto terapeutico - spiega -. Mi occupo ancora di musica, anche se non vado più in tournée, e nelle sale prove sento i ragazzi in difficoltà, invece venire qui ad ascoltare musica bellissima, elaborata, strutturata in modo atipico per quella che è la mia cultura rock, è interessantissimo, mi apre la mente oltre che il cuore e purifica le orecchie e l’anima”.
Terzani desidera dare una testimonianza della sua nuova, esaltante esperienza: “Sarebbe bello che i giovani musicisti frequentassero di più questo genere di concerti per ascoltare della bella musica, che tutti i giovani lo facessero, ma mi rivolgo soprattutto ai giovani musicisti che affollano le sale prove di Firenze. Sarebbe bello se dedicassero del tempo ogni tanto per venire a teatro ad ascoltare della musica diversa da quella che ascoltano di solito perché penso che sarebbe un ampliamento di orizzonti e, probabilmente, se tutti facessero così ci sarebbe in giro molta meno musica spazzatura”.
Continua, per favore
Ho a che fare con ragazzi che sempre meno conoscono la musica: si affidano ai computer, ai programmi di elettronica che risolvono le questioni che invece un musicista dovrebbe risolvere da solo. Sarebbe come se un pittore non usasse più i colori e i pennelli. Vedo che i giovani musicisti sanno suonare sempre meno, tanto poi le cose si aggiustano al computer, e sempre meno hanno le cognizioni della musica, che ne so: il rivolto di un accordo. Non c’è più una ricerca sull’armonia ma semplicemente sul suono, tutti i dischi di oggi mirano ad avere un suono pazzesco, ricercatissimo, ma alla fine, siccome tutti usano gli stessi plug-in, gli stessi programmi, al di là dei generi tutto è uguale. Invece la musica suonata è un’altra cosa, qui alla Pergola si avvicendano una serie di musicisti ognuno con il suo suono, e poi la bellezza della ricerca armonica. Abbiamo sentito stasera Schubert (concerto di Francesco Piemontesi, primo dicembre 2018 n.d.r.) che spazia dalle cose più orecchiabili a quelle più difficili fino a rasentare veramente l’estremo. Quindi se uno viene qui con le orecchie aperte, ma soprattutto con la mente aperta, accede a un grande insegnamento, a una grande scuola. Potrebbe essere uno stimolo per fare delle cose interessanti poi, nel genere musicale che scegli.
Il tuo incontro con la musica?
Vengo da una famiglia dove la musica era sempre stata un bello svago, ma per vivere “devi fare qualcos’altro”. Però avevo un fratello più grande di me di dodici anni che nei Sessanta se ne andava in giro a suonare nelle sale da ballo e che diceva: “Quando morirò mi dovete seppellire con la mia chitarra”. Poi lui è morto, ma la chitarra ce l’ho io ed è una bellissima Fender. A un certo punto mio fratello portò a casa un pianoforte, avevo circa sei anni e per una dote innata, non un merito, ho capito subito come funzionava e ho cominciato da solo a imparare le canzoni che sentivo alla radio. Oltre alla radio e ai due canali della televisione, non c’era altro: ascoltavi le cose, ti rimanevano impresse. Dopo un mese che avevamo il pianoforte in casa sapevo suonare Il piccolo montanaro a due mani, non accennato. Poi sono arrivati i dischi pop e rock dall’America e dall’Inghilterra in tempi nei quali ci permettevamo il lusso di parlar male di dischi-capolavoro perché ce n’erano talmente tanti, un momento talmente creativo… Era inevitabile che mi buttassi nella musica, un po’ contro il volere della mia famiglia, anche perché mio fratello morì in un incidente dopo aver suonato, quindi: vai in giro a suonare, torni tardi la notte, sei a rischio, è pericoloso. Ho dovuto combattere, però poi mi sono rifatto, negli anni dei Litfiba, quelli del successo eclatante, ho beccato mio padre nei camerini che firmava autografi ai miei fan. Fu bravo ad ammettere: “Avevi ragione tu e io avevo torto”.
Com’era la vita con quel successo?
Il primo anno è stato folgorante: ti ritrovi che improvvisamente ti riconoscono per la strada, la gente viene ai concerti, riempie tutti i posti. Dopo, non dico che ci fai l’abitudine perché comunque l’emozione di suonare davanti a tanti è bellissima, cominci però a sentire il peso della gente che invade la tua privacy quando non sei sul palco. È l’aspetto negativo che chi non c’è passato non può capire, pensa che il successo… Il successo è stupendo: ho girato il mondo in serie A, in grandi alberghi, visitavo le città da un altro punto di vista che non era quello del turista, velocemente però da privilegiato, avevo dei tecnici bravissimi che mi cambiavano le corde ogni giorno, mi pulivano gli strumenti che non sono mai stati così bene come quando erano in tournée perché io invece sono un cialtrone di indole. Tutto l’aspetto folcloristico delle ragazzine in delirio è vero, verissimo, ma non è mai stata neanche all’epoca roba che faceva per me, potevi avere l’imbarazzo della scelta ogni sera però… che fatica. Il mio atteggiamento non era troppo rock and roll quindi ero invitato a non fare questo tipo di dichiarazioni, come non era apprezzato se in un’intervista parlavo della mia famiglia o di mia figlia perché sciupava l’idea del rockettaro.
Invece di tua figlia parliamo
Alice è completamente anti-musicale, ma è davvero fortissima e ha anche doti artistiche in altri campi, e sicuramente è figlia di questi tempi dove l’ascoltatore non viene invitato a soffermarsi, anzi è sempre più distratto, non solo nella musica. Leggevo giorni fa un articolo che faceva questa considerazione sul cinema. Da quando è cominciata la pubblicità che interrompe i film in televisione, piano piano, in qualche modo, si è scatenato un meccanismo per cui lo spettatore oggi ha bisogno di essere interrotto perché non ce la fa a star lì concentrato. Nella musica è così: sono tutti abituati ad ascoltare dei suoni iper-dinamici a scapito delle idee perché oggi quello che manca sono soprattutto le idee.
Incontri indimenticabili?
Prima ti parlavo di Eric Clapton. Andavi a cenare al Pavarotti International ed erano tutti lì, magari ti capitava Liza Minnelli al tavolo di fianco.
Qualcuno ti ha colpito umanamente?
Tantissimi. Il primo che mi viene in mente non è tra i miei idoli, ma comunque un personaggio stra-famoso: si tratta di Bon Jovi. Al Festivalbar, dove tutto è in playback, noi facevamo il nostro pezzettino, lì a far finta di suonare, e mentre scendo dal palco mi sento battere sulla spalla, mi giro ed era Bon Jovi che mi fa: “Yeah, man, great!”. Entusiasta della nostra performance, mi fece effetto. Partecipare al programma televisivo di Celentano, stare per tre giorni con lui e dirti che allora esiste veramente Celentano. Avevano allestito gli studi a Milano, dentro dei capannoni, nei camerini c’erano delle telecamere e si vedeva quello che succedeva nella sala principale, anche durante le prove: sembrava di vedere un film di Celentano invece era lui che viveva normalmente. Morandi, un altro personaggio carinissimo.
Dalle stelle dello spettacolo alle stelle vere e proprie
Invecchiando molti si buttano nella religione io mi sono buttato nell’astronomia perché sono ateo da sempre: l’astronomia è collegata alla scienza e mi fa sentire un ateo integralista e anche celeste. Si parla del cielo, lo stesso argomento della religione, ma mi piace di più come ne parla la scienza perché si basa su cose reali. Mi affascina molto, ora sto seguendo questa spedizione su Marte. L’obiettivo principale è capire se c’è o c’è stata vita, è chiaro che si parla di vita in termini di embrioni e non di civiltà extragalattiche. Ci sono dei satelliti di Giove e di Saturno che sembrano avere una grossa presenza di acqua e di conseguenza possibilità di vita, ma da lì a dire ci sono civiltà emancipate come la nostra nell’universo… ci saranno però chissà dove e poi date le enormi distanze sarà molto difficile che possano venire in contatto l’una con l’altra. A vedere come si comporta è più probabile che la razza umana piuttosto che essere la razza eletta, come tante religioni sostengono, sia un virus infettivo, un grosso errore: mi è capitato di vedere delle immagini della Terra dallo spazio di cinquant’anni fa e di oggi. Cinquanta anni fa c’erano due o tre cazzatine che ci giravano intorno, oggi una discarica. È molto probabile che se ci sono delle altre civiltà siano degli altri virus che distruggono tutto.
Hai fatto anche il solista e pubblicato il CD Roberto Terzani Hits
Ho fatto un disco da solo mi e sono sfogato a fare un po’ quello che mi pareva. Sono intonato, ma non ho le caratteristiche di un cantante, però erano cose mie, avevo voglia di liberarmene e l’ho fatto, purtroppo mi sono scontrato con la realtà italiana. In America e in Inghilterra, il musicista di una band così famosa avrebbe continuato ad avere una dignitosa carriera. In Italia non sono riuscito a portare in giro questo disco perché i gestori dei locali volevano la roba dei Litfiba: sennò la gente non viene nel locale, non consuma, bla bla, lo stesso meccanismo lo vediamo anche qui alla Pergola: il giorno che c’è all’ultimo momento per qualche problema un cambio di programma il pubblico protesta. Adesso seguo i giovani in sala di incisione, faccio il produttore artistico, nello studio Golden Factory, a Seano. Il produttore artistico è come l’allenatore in una squadra di calcio: il mister. Colui che in base agli uomini che ha cerca di farli rendere al meglio del loro potenziale e di creare la squadra migliore. Si fa un po’ di sforzo a spiegare ai giovani musicisti che una figura come questa è importante, ma quando la provano, non riescono più a farne a meno, naturalmente questo mi dà grande soddisfazione.
Quanto sono giovani i giovani musicisti?
Venticinquenni, trentenni. Poi è relativo: in Italia c’è gente che vive col babbo e la mamma anche a quarant’anni. Vorrei aggiungere una considerazione finale: oggi per qualche motivo, probabilmente complici anche i programmi di cucina che si vedono in televisione, la gente e di conseguenza i ristoranti, mettono una grande attenzione al cibo naturale, ai sapori di una volta, alla qualità, al km zero. Perché non facciamo la stessa cosa anche con la musica? Il km zero, magari no, ma riprendere la qualità di una volta: l’ovetto fresco, il latte da bollire. Di programmi di cucina ce ne sono un’infinità, anche buoni, per la musica ci solo i maledetti XFactor, The Voice, Amici, che lobotomizzano.