In una notte del 1737, da sola e con una fiaccola in mano, Maria Luisa dei Medici s’inoltrò nella chiesa di San Lorenzo (la basilica fiorentina che per secoli era stato luogo di sepoltura dei componenti della nobile famiglia) per accompagnare senza seguito le spoglie dell’ultimo granduca mediceo della Toscana: quell’infelice Gian Gastone che, per propria inclinazione e perché costretto a sposare una nobildonna tedesca dal carattere opposto, non aveva saputo assicurare al trono un erede maschio.
Maria Teresa, moglie dell’elettore palatino, non poteva sostituirlo per antica disposizione imperiale. Dopo lunghe trattative presso le corti europee il Granducato toscano fu assegnato ai Lorena e fu destinato a ricoprirlo il secondogenito dell’imperatore d’Austria che, con la co-reggenza di Maria Teresa, governava l’ancora Sacro Romano Impero.
Per la Toscana fu un grande evento e, si può dire una grande fortuna: perché basta esaminare i ritratti dei due regnanti, Gian Gastone e Pietro Leopoldo, per capire la differenza fra di loro. Quelli del primo sembrano dover dare nobiltà a un volto che tali caratteristiche non aveva, spesso coprendo con un’abbondante parrucca lineamenti piuttosto ordinari; quelli di Pietro Leopoldo mostrano un giovane diciottenne snello, appena sposato (“giovane d’età, ma vecchio di mente” si diceva) che sostituiva il padre Francesco Stefano sul trono toscano intendendo governare direttamente (e non attraverso la reggenza) il Granducato.
Nei 25 anni in cui vi rimase realizzò tutte quelle riforme che fecero di forza entrare la Toscana nell’età contemporanea e quindi nella modernità: nei diversi campi dell’economia, del fisco, degli approvvigionamenti alimentari, delle giurisdizioni con l’abolizione di quelle corporative, dei mercati, dell’aumento della produttività necessaria per ridurre il debito pubblico che aveva trovato assai elevato.
Politiche efficaci furono condotte anche nel campo amministrativo, dell’assetto territoriale e dell’autogoverno locale; riforme come la soppressione della mano morta ecclesiastica e del diritto ereditario. Promosse anche una riforma ecclesiastica che trovò peculiare applicazione in Pistoia e Prato con la collaborazione attiva del giansenista vescovo Scipione de’ Ricci.
Ma la riforma che è stata presa come esemplare per definire ogni 30 novembre la Festa della Toscana, proclamata nel 2001 dal Consiglio regionale della Toscana, fu quella del diritto penale. Pochi anni dopo la pubblicazione del testo di Cesare Beccaria (1777) infatti, Pietro Leopoldo abolì – primo sovrano in Europa – la pena di morte, il ricorso alla tortura e il reato di lesa maestà: pubblicamente fece bruciare nel cortile del Bargello il palco di condanna e tutti gli strumenti esecuzione. La Toscana fu anche il primo Stato a imporre ai giudici la “massima possibile sollecitudine” per l’esecuzione dei processi e fu istituito un fondo d’indennizzo per gli errori giudiziari.
Con il 1790 Pietro Leopoldo dovette lasciare la Toscana per sostituire il fratello maggiore sul trono di Vienna. Il suo terzogenito (il sovrano ebbe da Maria Luisa di Borbone ben 16 figli nel corso della sua esistenza) salì al trono col nome di Ferdinando III e coll’ultimo granduca, Leopoldo II detto Canapone, si chiude la vicenda degli Asburgo-Lorena nella reggenza della Toscana, la quale con il plebiscito confluì nel Regno unito. Ma la loro memoria e in particolare quella di Pietro Leopoldo, non a caso definito “un grande riformatore” dal suo maggior biografo, Adam Wandruszka, è rimasta nei festeggiamenti che ogni anno si tengono il 30 novembre per ricordare i valori di pace, giustizia e libertà.