Son morto con altri cento, son morto ch’ero un bambino, passato per il camino e adesso, sono nel vento.
Sono i versi di esordio di Canzone del bambino nel vento di Francesco Guccini. È composta nel 1967 quando gli italiani impazziscono per Fausto Leali che canta A chi, per Al Bano con la sua Nel sole, per Nico e i Gabbiani che gorgheggiano Parole e per Don Backy che sogna con la sua Poesia. La canzone di Guccini, con il titolo Auschwitz è affidata all’Equipe ’84 come il lato “B” di un quarantacinque giri che sul lato “A” reca la più orecchiabile Bang Bang, che riscuote un enorme successo. Ma poco dopo Guccini incide il suo album Folk Beat n.1 dove la sua canzone è presente con l’originario titolo.
Guccini confessa di averla composta dopo aver letto il libro di Vincenzo Pappalettera Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen. “Tu passerai per il camino” - come ricorda l’autore, sopravvissuto alla prigionia iniziata nel 1944 - era la minacciosa frase ripetuta dai kapò e dagli aguzzini di quel campo. Il libro pubblicato nel 1966 da Mursia vince il Premio Bancarella.
Comincia con questa canzone per Guccini un periodo di fervida attività di cantautore in collaborazione con i Nomadi e col suo leader, l’indimenticabile Augusto Daolio, con brani che non sempre incontrano il favore del grande pubblico dei giovani, degli adulti di mezza età e soprattutto della censura. Dio è morto, Canzone del bambino nel vento, Canzone per un’amica propongono testi di rottura, di impegno sociale e morale, che non di rado si misurano col tema della morte, ai quali si preferiscono l’allegria di Celentano e di Azzurro o il vago colore romanticheggiante dei Camaleonti, che lanciano una versione italiana di Homburg dei Procol Harum con la loro Ora dell’amore.
Ma il tempo darà ragione a Guccini che nei concerti fatti insieme ad Augusto Daolio, fino alla sua prematura morte nel 1992, riproporrà spesso e con molto successo la Canzone del bambino nel vento. Canzone che è presente ora in rete accompagnata da video agghiaccianti, attestata intorno al milione di visualizzazioni. Poche rispetto a quelle raggiunte, tanto per citarne una delle più cliccate, da Imagine di Lennon che è intorno ai 90 milioni.
Poche visualizzazioni, dunque, a conferma del fatto che il grande pubblico preferisce ancora il sogno e l’immaginazione alla ruvida denuncia. Meglio godersi le effusioni fantasiose e fiabesche di John Lennon e Yoko Ono, che scorrono sul video del computer, piuttosto che inorridire con le foto di bambini segnati con la stella di David davanti ai cancelli di Auschwitz sotto la beffarda scritta Arbeit macht frei, il lavoro rende liberi.
Eppure, quest'anno come mai bisognerebbe riascoltare spesso questa canzone e rivedere questi filmati, questi volti, questi fili spinati, questi binari percorsi da vagoni blindati e il fumo dei camini sotto la neve. Perché questo anno, 2018, ricorre l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle reggi razziali in Italia, firmate da un re che al momento del pericolo fuggì.
A riascoltarla forse verrebbe la necessità di seguire - è pur esso su You Tube - il discorso del Duce a Trieste del 18 settembre del ’38, che, di fronte a una folla osannante, annuncia clamorosamente la nascita di queste leggi o di leggere alcune tragiche testimonianze di Primo Levi, di Elie Wiesel, di Zvi Kolitz. Potrebbe scaturire il bisogno di visitare posti come Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen o Bergen Belsen; o, per chi non ama viaggi lunghi oltre confine, andare a vedere le celle della risiera di San Sabba vicino Trieste o i fili spinati del campo di internamento di Ferramonti di Tarsia in provincia di Cosenza. Per evitare il rischio di dimenticare.