Le fiabe parlano sempre di noi. Del nostro mondo interiore, delle sue proiezioni nei comportamenti collettivi. Sono mappe per un viaggio metafisico. Su quel palcoscenico fantastico, i personaggi che abitano la nostra psiche recitano il loro dramma. Ma a volte raccontare una fiaba non è solo narrare una storia: è narrare la Storia.
Barbablù è un uomo ricco e crudele. Sei volte si è sposato, e per sei volte le mogli sono misteriosamente scomparse. Il suo obiettivo è irretire una nuova fanciulla. Lei è giovane e ingenua, priva di esperienza: intuisce le ombre che circondano il suo ricco pretendente, ma si fa abbagliare dallo sfarzo e dalle promesse. Al punto da convincersi che quella spaventosa barba blu, che mette in fuga tutte le altre ragazze, non sia poi così blu.
Qualche tempo dopo le nozze, Barbablù annuncia alla giovane sposa che si assenterà per un breve periodo, ma prima di partire le consegna un mazzo con le chiavi di tutte le porte del palazzo. Le è concesso esplorare ogni stanza: tutte tranne una, una piccola camera segreta, proprio in fondo a un lungo corridoio, di cui tuttavia le mostra la chiave. La ragazza, naturalmente, non riesce ad accontentarsi delle distrazioni lecite che il castello offre; il suo pensiero torna irreparabilmente a quell’unico luogo proibito. Incapace di reprimere la curiosità, infine percorre il corridoio e apre la porticina misteriosa. All’interno, uno spettacolo macabro si offre ai suoi occhi: i corpi senza vita, orribilmente mutilati, delle precedenti mogli di Barbablù. Il sangue è ovunque. Sconvolta da quella visione, lascia cadere a terra la chiave, che si imbratta di sangue. Inutile tentare di ripulirla: è fatata, e la macchia rimane indelebilmente impressa, come un marchio di colpa. Al suo ritorno, come prima cosa Barbablù si fa riconsegnare il mazzo di chiavi. La disobbedienza della moglie, evidentissima, lo manda su tutte le furie: con immediata sentenza la condanna allo stesso destino delle precedenti spose curiose. Lei riesce però a strappare all’orco qualche minuto per raccogliersi in preghiera prima dell’esecuzione, tempo che le sarà utile per sollecitare l’intervento tempestivo dei suoi fratelli, che sapeva in viaggio verso il palazzo, i quali le salveranno la vita e metteranno fine a quella di Barbablù, spezzando la lunga catena di orrori.
Questa fiaba ricorre nella tradizione europea in numerose varianti, dove gli archetipi si ripresentano e confondono in un gioco cangiante. Si tratta di racconti nei quali compare la proibizione imposta, la stanza inaccessibile, l’oggetto fatato. E a porre il divieto è uno sposo misterioso, oscuro. Barbablù è un uomo che nasconde dietro lo sfarzo delle ricchezze materiali una mancanza di vero potere. Questo lo spinge a prosciugare l’energia vitale delle sue mogli, la loro sorgente creativa, quella vitalità profonda che viene dalla curiosità per la vita, dal desiderio di conoscere e di esplorare. Il potere di Barbablù si alimenta e cresce quanto più saccheggia quello delle donne, quanto più ne inaridisce e sopprime quella natura selvaggia che minaccia l’effimera autorità esteriore che si è costruito.
Come ha agito Barbablù nella Storia? Nella figura di questo predatore archetipico si allunga un’ombra che per molti secoli ha oscurato i cieli d’Europa, calpestando i saperi, i sogni, i talenti delle donne. In alcune fiabe di questo tipo, lo Sposo è stato trasformato in Bestia dall’incantesimo di una strega: la strega è colei che è in possesso di una capacità di visione superiore, che scorge al di là dell’apparenza. Eppure, attraverso il sortilegio, rende possibile la redenzione. Questo avviene nelle storie; ma nella Storia, la posta in gioco è stata ben più alta. Barbablù ha avuto un’assoluta necessità di annientare il pericolo che la strega rappresenta; e come nella fiaba, le donne che hanno osato esplorare la vita hanno dovuto scomparire senza lasciare traccia.
Nel racconto mitico, molte donne hanno disubbidito all’ordine di Barbablù: lo ha fatto Eva, lo hanno fatto Pandora, Psiche, Euridice, Bella. Ma anche nella Storia molte donne hanno osato trasgredire. Attraverso quell’atto necessario di disubbidienza le donne di sapere hanno permesso alle tradizioni delle antenate di sopravvivere: spesso ne hanno ravvivato la fiamma nella clandestinità, a rischio della propria stessa vita. In quella ribellione hanno assaporato una libertà abusiva, quella di trasgredire per conoscere, nonostante la certezza di essere perseguitate. Hanno usato la chiave: quella che pone il quesito appropriato, la domanda-chiave che consente di sbloccare la serratura della creatività e del sapere.
Nella stanza segreta, la sposa di Barbablù ha avuto la rivelazione della storia sommersa di tutte le donne del passato, la distruzione del corpo e dell’anima del femminile straziata da secoli di predatori. Quegli scheletri e quelle ossa rappresentano ciò che è sopravvissuto dei corpi, ciò che il predatore non è riuscito a demolire: ciò che non può essere distrutto ma deve essere ricomposto, ricostruito e riscattato da colei che è in grado di spezzare la catena distruttiva, liberandosi della forza sanguinaria di Barbablù.
Nella Storia, molte donne sono state perseguitate per avere usato quella chiave. Nei tribunali dell’Inquisizione, molte innocenti processate come streghe hanno urlato, ma i fratelli non sono arrivati. La trappola era troppo ben congegnata. Quel sangue è il sangue che non smette di scorrere e di inondare la stanza: ci chiama a spalancare la porta, a non volgere lo sguardo, a raccontare molte e molte volte questa storia, per comprenderla e non dimenticarla. La chiave non potrà mai più essere ripulita dal sangue; può però essere utilizzata per fare le domande giuste.